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L'età del malessere

Scritto da Lorenzo Gaiani.

Lorenzo GaianiLa protesta cosiddetta dei “forconi” (ma in realtà c’è molto di più oltre a questo ambiguo movimento di origine siciliana) può essere letta in due modi: da un lato si tratta indubbiamente di una manifestazione di rabbia esasperata e primordiale di fronte al frantumarsi delle prospettive sociali di ceti medi, in altri tempi si sarebbe detto piccolo – borghesi (commercianti, “padroncini”, piccoli imprenditori, piccoli professionisti…).
Dall’altro lato, ma strettamente correlato al precedente, vi è il brodo di cultura di queste manifestazioni di piccoli numeri che sono però in grado di bloccare città intere, e che si esprimono in proteste violente su cui le forze politiche intrecciano le loro manovre con aspetti francamente eversivi come l’appello di Beppe Grillo a poliziotti e militari affinché si rivoltino contro i legittimi poteri della Repubblica.
E davvero certi comportamenti sembrano essere particolarmente preoccupanti, come il rogo dei libri imposto ad una libreria di Savona che fa venire in mente reminiscenze non felici di stampo nazista: è probabile che nessuno degli autori di quel gesto insensato si ricordasse più delle prodezze compiute dalla Hitlerjugend sotto la regia del dottor Goebbels, ma l’impressione rimane ugualmente forte.
Nello stesso tempo, non sembra d’attualità il timore di un colpo di Stato paventato ad esempio da Gad Lerner sul suo blog, ma è indubbio che il clima di malessere che pervade il nostro Paese possa giustificare timori irrazionali, sommandosi peraltro a quell’attesa dell’ “uomo forte” che è tipica delle fasi di crisi di democrazie non del tutto mature come la nostra.
Storicamente il malcontento dei ceti medi – cui si somma la perenne turbolenza di un sottoproletariato presente in particolare al Sud- è sempre stato il brodo di cultura delle svolte reazionarie, come insegna la parabola della nascita della dittatura fascista. Ma ciò non potrebbe accadere se non si sommassero due fenomeni negativi come una grave crisi economica senza via d’uscita (almeno nelle forme tradizionali, visto che è una crisi di sistema e non di congiuntura) e un’altrettanto grave delegittimazione delle istituzioni democratiche.
L’errore più grave che le forze politiche e sociali possono compiere è quello di pensare di poter separare la riforma politica da quella sociale ed economica, anche perché se i poteri pubblici (lo Stato, in sostanza) non sono percepiti come forti ed autorevoli difficilmente potrebbero esercitare quel ruolo di controllo ed indirizzo dell’economia che spetta loro e senza il quale si ricade nella pura e semplice anarchia, sia sotto il profilo istituzionale che sotto quello sociale, di cui profittano solo i poteri forti che hanno saputo guadagnare anche dalla grande crisi.
In fondo, è proprio questo il messaggio che ci manda l’ “uomo dell’anno”, papa Francesco, quando nell’Evangelii gaudium ricorda la mostruosità dell’attuale sistema sociale ed economico e ne denuncia l’assenza di fondamento scientifico e le pesanti ricadute sulla vita di tutti noi. E più recentemente, nel messaggio per la Giornata della pace 2014, in cui esorta alla redistribuzione delle ricchezze e alla trasparenza della politica.
Ma lui, occorre dirlo, a queste parole aggiunge la forza implicita dell’esempio personale, che è ciò che manca purtroppo alla classe dirigente “laica”.
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