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Cambi di giacchetta

Scritto da Emilia De Biasi.

Emilia De Biasi Governo al gran completo: mancano persino le seggiole, e la Ministra Kienge sceglie il low profile e si accomoda nei banchi dei senatori. Evviva la normalità, e anche la comodità, visto che gli altri suoi colleghi stanno vicini vicini, appiccicati gli uni agli altri.
Metafora di unità, voglia di apparire, forse di correnti, s’intende d’aria, ovviamente? Il fatto è che la nuova, ma sempre strana, maggioranza post B. sta per votare la fiducia al Governo Letta, dopo averla ottenuta al mattino dalla Camera.
Il premier, un filo provato dal recente viaggio per Mandela, espone il programma, asciutto e denso, consapevole degli errori e delle difficoltà, ma non per questo meno speranzoso ed europeista; il vicepremier Alfano, praticamente sotto l’ascella del premier, lancia sguardi serissimi, unica gestualità che gli è consentita dalla posizione.
I temi sono altrettanto seri. In primo luogo la protesta violenta dei forconi, l’inaccettabile minaccia di Grillo contro i parlamentari, la difesa della Polizia, di quei caschi levati non per connivenza ma per volontà di distensione, sia chiaro. Condivido tutto, e fino in fondo, e basterebbe già questo per accordare la fiducia, perchè la democrazia va difesa, eccome.
Applausi da quasi tutta l’Aula, opposizione di destra compresa, anche se tiepida; mutismo composto dei Cinquestelle.
Poi si passa ai ringraziamenti al presidente Napolitano, e condivido pure quelli.n Applausi da quasi tutta l’Aula, silenzio composto di Forza Italia e dei Cinquestelle. Ma come è possibile che si cambi giudizio in modo così repentino? Penso ai colleghi che con la giacchetta PDL hanno votato per Napolitano, e ora come Forza Italia non lo applaudono più… È la giacchetta che determina il giudizio, evidentemente, e non la propria convinzione, o coscienza che dir si voglia. Ma tant’è, questi sono i tempi, e non sono i migliori.
Finita l’esposizione del programma di governo, lavoro, sviluppo, scuola, riforme istituzionali e legge elettorale con il Parlamento, Europa, si apre il dibattito, invero sfinente.
Un senatore SEL attacca la Polizia, dice che o il casco si toglie sempre o non si toglie mai, come se la storia non esistesse e fossimo fiondati in un passato sessantottino di qualche gruppetto extraparlamentare. Penso che un’opposizione di sinistra si meriti qualcosa in più dello specchietto retrovisore. La Lega tenta di sferrare un attacco: i forconi hanno ragione, ma noi non siamo per la violenza; siamo da sempre antieuropei, perché è un’Europa ingiusta; i lavoratori pubblici sono dei mantenuti dai cittadini. Già, ma quando vai in ospedale a farti operare, caro leghista, o tuo figlio va all’asilo, o tua mamma ha bisogno di assistenza, allora il lavoratore pubblico non è un mantenuto, ma il tramite per la salute tua, di tua madre, del tuo bambino!
Mi viene in mente la giornata fantastica vissuta solo il giorno prima, in un incontro con il mondo della scienza e della ricerca, che ho organizzato con Elena Cattaneo e la Commissione Sanità, alla presenza di Giorgio Napolitano. Rivedo quei volti ansiosi e contenti perché finalmente si comincia a riannodare i fili interrotti fra scienza e istituzioni, ripenso alle bellissime parole del Presidente, che ha parlato all’improvviso, senza che noi lo sapessimo prima, e agli interventi di scienziati, ricercatori, filosofi appassionati e straordinari, pronti a dare una mano al proprio Paese. E mi intristisco per la ritualità di una politica che deve assolutamente cambiare passo, e uscire dai riti e dai miti. Letta e Renzi si sono parlati. Spero si siano capiti, e che il Governo acceleri e almeno un po’ inizi a cambiare l’Italia.
Ero immersa in questi nobili pensieri quando vengo risvegliata da un insolito trambusto. I leghisti si allontanano dai loro banchi, ohibò, perchè mai. Anzi no, stanno facendo il vuoto attorno a un loro senatore, che, visibilmente emozionato, dichiara il dissenso dal gruppo e dice a Letta che voterà la fiducia. Sensazionale! È la prima volta che capita che la falange leghista si incrini. I suoi colleghi lo insultano, i commessi si frappongono per evitare la rissa, gli strappano il distintivo di Alberto da Giussano dalla giacca, e lui lo raccoglie due banchi più in là. Il clima è teso, Grasso minaccia di sospendere la seduta. Siamo ormai a sera. Iniziano le votazioni, il Governo ottiene la fiducia. Per dovere di cronaca aggiungo che il leghista dissidente vota prima di me, ma non sente quando lo chiamano, e tutti ironizziamo su tanta fatica per niente. Lui, rosso in volto, ma coraggioso, guadagna il luogo del voto e dice sì. E così ci siamo giocati anche l’ultimo partito leninista. Siamo davvero nel nuovo secolo, e forse, nella nuova Repubblica.
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