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Il PD, le riforme e l'apertura ai territori

Scritto da Franco Mirabelli.

Franco Mirabelli
Intervento alla tavola rotonda conclusiva degli Incontri Riformisti 2017 (file scaricabile in PDF).

In questi anni, stando al governo, abbiamo vissuto nel partito un rapporto molto difficile, con una minoranza interna al PD che, oggettivamente, ha mirato più a delegittimare il gruppo dirigente che a confrontarsi sulle idee.
La minoranza interna ha indebolito il partito durante una delle battaglie fondamentali come quella del referendum costituzionale, ha preparato per tempo la scissione e oggi lavora da fuori per costruire un processo politico che si fonda sul delegittimare il PD e la sua leadership.
Questa riflessione, a mio avviso, dovrebbe farla anche Pisapia perché mi pare evidente che i tempi della scissione sono stati scelti esattamente per far fallire il progetto che l’ex sindaco di Milano stava costruendo. Pisapia, infatti, voleva avere un rapporto positivo con il Partito Democratico e la sinistra riformista e questo ha infastidito quel processo che D’Alema e altri volevano di rottura col PD e di delegittimazione del suo leader.
Sono consapevole del fatto che questo ha lasciato dei segni anche all’interno della nostra discussione.
Tuttavia, questa esperienza non ci deve far rinunciare a pensare che il pluralismo all’interno del PD sia una ricchezza, che sicuramente si deve esprimere correttamente e va governato ma non può essere messo in discussione.
Lo dimostra anche il fatto che chi, come i riformisti, è stato in minoranza in passato oggi è in maggioranza.
Il pluralismo non significa la delegittimazione reciproca ma significa pensare che culture diverse del riformismo italiano possano convivere ed è ciò che abbiamo voluto fare con il PD ed è una ricchezza.
Dobbiamo costruire l’unità del PD e dobbiamo rafforzarla.
L‘unità del PD è una precondizione per costruire un percorso che in campagna elettorale ci porti poi alla vittoria.
L‘unità, però, non può essere costruita se non dentro ad un confronto libero all’interno del partito.

In questi giorni di discussioni agli Incontri Riformisti abbiamo ascoltato molti dati e molti risultati: abbiamo rappresentato una stagione di governo lunga che ha visto il PD come protagonista importante. Cominciano ad esserci dati significativi che testimoniano il fatto che le riforme che abbiamo messo in campo stanno dando frutti.
Sono anche convinto che molte di queste riforme senza Matteo Renzi, senza la sua determinazione e senza la sua capacità di rompere con i condizionamenti che la politica per anni ha subito da alcuni mondi, non si sarebbero fatte: dalle unioni civili al Jobs Act.
Credo anche che Renzi abbia rappresentato una leadership che in Europa ha costruito una credibilità per il nostro Paese e per il nostro partito.
In campagna elettorale, quindi, avremo bisogno di spiegare le riforme fatte (sapendo che nei prossime mesi, queste produrranno altri risultati tangibili) e avremo anche bisogno di concludere le riforme ancora aperte e, quindi, dovremo investire sul Governo Gentiloni (anche in termini di comunicazione).
Adesso, ad esempio, stiamo chiudendo la riforma del Terzo Settore con i decreti attuativi che ci consentiranno di parlare con una parte importante dell’associazionismo e dei mondi che si occupano del sociale.

Ci sono però alcuni problemi da affrontare.
Il risultato elettorale delle amministrative e il risultato del referendum costituzionale dicono che tutto il lavoro fatto e i risultati che ne dovrebbero conseguire non sono percepiti dai cittadini. Questo significa che non si è costruito e consolidato un rapporto forte con l’opinione pubblica.
Non bisogna rinnegare nulla di ciò che abbiamo fatto ma, se vogliamo vincere le elezioni, dobbiamo anche porci il problema del perché l’opinione pubblica non ha percepito il valore delle riforme che abbiamo messo in campo e, anzi, è prevalsa e continua a prevalere l’idea di un Paese sempre più impoverito, in decadenza e senza speranza. In tanti, in questi anni, hanno lavorato per accreditare questa narrazione, sia nella politica che nell’informazione.
Qui c’è un tema che va affrontato.
Dobbiamo guardare dentro al voto delle elezioni amministrative per riuscire a comprendere meglio cosa sta succedendo e perché questo sforzo riformatore, anziché rafforzare e ridare credibilità alla politica e alle istituzioni, non impedisce che si continui ad alimentare un’idea antisistema.
L’unico dato certo delle amministrative, infatti, è che quasi ovunque hanno perso le forze politiche che governavano. Questo significa che non abbiamo fermato questa onda antisistema.
Il centrosinistra, inoltre, è sempre stato il riferimento del civismo sui territori. A questa tornata elettorale, invece, proprio nei posti in cui avevamo maggiori rapporti e reti sociali ci siamo visti sconfiggere da un’alleanza tra il centrodestra e il civismo, come è avvenuto a Sesto San Giovanni.
Qui c’è, dunque, un tema che riguarda la necessità di rilanciare alcune riflessioni su come il partito possa ritornare ad aprirsi sui territori. E poi c’è sicuramente anche un problema di alcuni gruppi dirigenti ma non credo che tutti siano pessimi, mentre sicuramente c’è un problema politico.

Un altro tema che si aggancia a questo riguarda il centrosinistra.
Le elezioni sono state perse con una coalizione di centrosinistra in tutte le nostre roccaforti.
Questo significa che quel tipo di alleanza non c’è più ed è anche inutile continuare a discuterne.
Quando c’è quel tipo di coalizione gli elettori scappano, come hanno dimostrato le ultime elezioni.
Siamo andati in campagna elettorale per le amministrative con un centrosinistra unito in coalizione ma per tutta la campagna elettorale c’è stata una parte del centrosinistra che ha continuato a spiegare che il PD (che è il soggetto più grande di queste coalizioni) è “di destra” e da escludere. È evidente che facendo discorsi di questo tipo si manifesta poi l’astensionismo e a rimanere a casa sono stati i potenziali nostri elettori.

Tra i temi da approfondire, ancora, c’è quello dell’identità perché sicuramente c’è un problema di governo dell’immigrazione ma l’insicurezza dei cittadini si fonda sul fatto che – come Europa e come Occidente – non abbiamo più un’identità positiva, per cui l’arrivo degli altri (diversi, musulmani) viene percepito come un qualcosa di pericoloso.
Un’identità che in qualche modo dica che c’è un’Europa in cui i cittadini comunque hanno un filo comune che li tiene insieme, un sistema comune di valori e di regole che guarda al futuro. Così sarà più difficile far passare messaggi come quelli di Salvini, che dice che siamo invasi e destinati a togliere crocifissi e presepi e sottostare alla cultura di altri.
A mio avviso questo è un tema vero che stava nella mozione congressuale e che in campagna elettorale dovremo affrontare.

Concludo questa riflessione sulla questione delle alleanze di cui si sta discutendo molto in queste settimane. Premesso che credo che la questione delle alleanze non interessi gli elettori e che credo anche che sarà molto complicato riprendere delle trattative per fare una legge elettorale, aggiungo che non credo che il tema sia la coalizione di centrosinistra, soprattutto se si parla di un centrosinistra come lo abbiamo conosciuto nel passato perché oggi non è più praticabile.
Non c’è da rifare quel centrosinistra o l’Unione o le trecento pagine di programma dell’Ulivo.
C’è un pezzo di sinistra che sembra che stia costruendo un partito senza essere d’accordo su niente ma con l’unico collante di considerare Renzi un nemico. È chiaro che è impossibile ragionare con loro di alleanze.
Il tema delle alleanze, però, c’è perché il giorno in cui andremo a spiegare ciò che vogliamo fare, in campagna elettorale, dovremo dire almeno che non vogliamo farlo con Berlusconi.
Probabilmente si andrà al voto con una legge proporzionale e, quindi, difficilmente ci saranno alleanze prima del voto, però non penso che il PD sia più forte se interpreta la vocazione maggioritaria come autosufficienza.
Non penso neanche che siamo credibili se facciamo la campagna elettorale contro tutti.
Credo, invece, che dobbiamo fare la campagna elettorale dicendo ciò che vogliamo fare e su questo vogliamo costruire un’alleanza sociale, civile e politica il più larga possibile che, dopo le elezioni, in Parlamento abbia anche i numeri per governare.
Occorre però cominciare prima a dirlo e a confrontarci.
Oltretutto, bisognerebbe ricordare che non abbiamo governato da soli in questi anni per cui sappiamo quali sono gli interlocutori, o almeno una parte di loro, non per fare la coalizione ma per tenere un filo di ragionamento. Se passasse l’idea dell’autosufficienza, invece, temo che non ci darà più forza in campagna elettorale ma anzi rischi di indebolirci.

Per seguire l'attività del senatore Franco Mirabelli: sito web - pagina facebook

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