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Nati per unire non per dividere

Scritto da Dario Franceschini.

Dario Franceschini
Intervista di Repubblica a Dario Franceschini.

“Quando perdi vuol dire che si è rotto qualcosa con il tuo elettorato, con il Paese, e devi capire cosa. Devi ricucire. I numeri di questa tornata amministrativa purtroppo parlano chiaro. Qui non ci troviamo solo di fronte a una sconfitta politica del centrosinistra, ma a un bivio. Che riguarda non solo noi, il Pd, il nostro campo, ma i destini del Paese nei prossimi anni. E su questo punto nel Partito democratico si deve aprire un confronto franco, senza ambiguità. La via da intraprendere non può essere che quella della ricomposizione del centrosinistra”. Metà pomeriggio, al ministero della Cultura di via del Collegio Romano, a due passi dal Pantheon, Dario Franceschini è nel suo studio in maniche di camicia, fuori Roma è arroventata.
Il tweet lanciato poco prima dall’ex segretario, cofondatore nonché “azionista” di maggioranza del partito, ha avuto l’effetto del macigno, più che del sassolino, nello stagno dem.
Imputa al leader il mancato riconoscimento della sconfitta, ministro Franceschini?
«Qui non è solo un problema di mancato riconoscimento della sconfitta. I numeri purtroppo ci consegnano il resoconto di uno scacco non solo del centrosinistra, ma anche del nostro partito. Detto questo, il tema è più ampio e ci interroga ben oltre i confini del nostro campo. E non possiamo procedere oltre, far finta di nulla».
Lei che idea si è fatto della debacle?
«Il dato che emerge è che il centrosinistra perde principalmente perché il suo elettorato ha imboccato la strada dell’astensione. Anche se la coalizione formalmente era unita, agli occhi dei nostri elettori politicamente non lo è più. C’è un fenomeno strutturale più profondo. Il populismo è entrato trasversalmente e prepotentemente negli schieramenti politici, tutti. E noi stiamo perdendo contatto con i ceti sociali che sono stati da sempre la base del nostro consenso. Ecco, tutto questo impone una riflessione in tutta chiarezza».
La rottura con Bersani e D’Alema è assai recente, avrà pesato anche quella.
«Abbiamo alle spalle le scissioni, i contrasti, le polemiche, questo ha influito, certo. Ma non può trasformarsi in un alibi. Bisogna fare un’analisi profonda di quanto avvenuto e voltare pagina».
Dice che Renzi farebbe bene a mettere da parte i veleni e aprire quella che Veltroni chiama una stagione nuova?
«Sia chiaro: io ho sostenuto Matteo Renzi segretario, l’ho sostenuto nell’azione di governo. Nei momenti positivi e in quelli negativi, come all’indomani della sconfitta al referendum e della dolorosa scissione nel Pd. Ne ho condiviso le scelte, talvolta tacendo dissensi. Proprio per quel che è stata la mia storia e la mia lealtà, con lui ho il dovere della schiettezza».
Pensa sia possibile convincere Renzi a tornare a dialogare con D’Alema?
«Non sto parlando di persone con cui andare in vacanza. Quelle per fortuna si scelgono. Sto parlando di ricostruire un campo politico. Sono quelle le forze politiche che hanno sostenuto i governi Letta, Renzi e infine Gentiloni. È il tradizionale campo del centrosinistra».
Sedersi a un tavolo con Pisapia e con Mdp, insomma?
«Sia chiaro. Io non do nessuna giustificazione a chi ha deciso di uscire dal partito. Capisco bene che ricomporre un campo attraversato da lacerazioni sia molto difficile. Però chi guida il Pd deve lavorarci, deve fare uno sforzo di ricomposizione. Sarà decisivo per riconquistare il consenso perduto e tornare a vincere. Gli esempi di Giuseppe Sala a Milano e di Leoluca Orlando a Palermo, che hanno vinto ricomponendo un campo, pur in due realtà molto diverse, sono illuminanti».
È il senso dell’ultimo appello lanciato anche da Prodi e Veltroni.
«Esattamente quello: il Pd è nato per unire, per superare le divisioni. Torniamo alla nostra missione originaria. Non regaliamo il Paese a Grillo o alla destra».
Faccia capire, concretamente da oggi Matteo Renzi cosa dovrebbe fare?
«Prima di tutto analizzare insieme con tutto il partito questa sconfitta, in direzione, nei gruppi parlamentari, cosa che mi sembra non stia avvenendo. Nel fine settimana poi ci attende un momento importante, l’Assemblea del partito a Milano. Mi sembra un’ottima occasione. Ricordate il “destino cinico e baro” invocato da Giuseppe Saragat quando doveva giustificare le sconfitte dei socialdemocratici? Ecco, in politica non esiste il “destino cinico e baro”. Quando perdi vuol dire che si è rotto qualcosa con il tuo elettorato, con il Paese e devi capire cosa. Devi ricucire».
Renzi sembra aver imboccato un’altra strada. Quella dell’autosufficienza nonostante tutto.
«Ha ancora tempo per riflettere senza soffermarsi su lotte interne e rancori».
La legge elettorale proporzionale non è un incentivo alla ricomposizione.
«Ma una legge elettorale dobbiamo ancora scriverla, al di là delle sentenze della Consulta. Siccome non è realistico pensare che il PD raggiunga da solo il 51% dei seggi, allora ci sono le condizioni per mettere mano ad una riforma che consenta di dichiarare la coalizione che governerà il Paese prima del voto e che consenta di farla dopo».
Premio alla coalizione, insomma?
«In un sistema tripolare con tre aree che si aggirano attorno al 30%, comunque una scelta di coalizione dopo le elezioni bisognerà farla. Allora forse è il caso di farla prima quella scelta, anche per chiarezza verso gli elettori. E il nostro campo non può che essere quello con cui abbiamo governato in questi anni».
Per la verità avete governato anche coni centristi di Alfano.
«Certo, ha rotto con la destra per sostenere i nostri governi. Anche di questo bisognerà tenere conto. E un campo ampio dì centrosinistra può puntare ad arrivare primo e a decidere i destini della prossima legislatura».
Andrà sabato all’iniziativa di Giuliano Pisapia, come altri nel suo partito?
«Io vado alle assemblee del Pd, ma mi porrò in ascolto con quel che verrà da quella piazza, con molta attenzione. Spero sia occasione per aprire un confronto sereno».
Ha letto Guerini? La invita alla calma, a evitare «esasperazioni».
«Forse Lorenzo ha letto un tweet diverso dal mio. Io ho solo detto, con molta calma e senza traccia di esasperazioni, che il Pd è nato per unire il centrosinistra, non per dividerlo».
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