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Abbattiamo il debito

Scritto da Piero Fassino.

Piero Fassino
Intervista pubblicata da La Stampa.

Piero Fassino considera la riduzione del debito pubblico una priorità non rinviabile per il governo Gentiloni. «Un governo che non è transitorio. Ha davanti a sè molte scadenze importanti. Una di queste è la legge di stabilità che dovrà avviare un percorso pluriennale di riduzione del debito pubblico. Questa riduzione è necessaria per liberare risorse, oggi bloccate per il pagamento degli interessi del debito, da destinare alla crescita e al rilancio degli investimenti».
Come si riduce il debito pubblico, con nuove tasse o con tagli robusti alla spesa pubblica?
«Si riduce non aumentando le tasse o chiedendo sacrifici ai cittadini. Ci possono essere altre strategie, ad esempio vendendo assetti patrimoniali e societari pubblici, rivedendo tutto il sistema degli incentivi e delle agevolazioni. Non puoi andare in Europa dicendo sempre che la riduzione la farai l`anno prossimo. Ridurre gli interessi del debito è vitale per investire e quindi invertire la tendenza alla bassa crescita e alla bassa produttività. C’è un dato sottovalutato: se si prendono gli ultimi 20 anni, il Pil pro capite negli Stati uniti è cresciuto del 1,4%, in Europa dell’1,2%, in Italia dello 0,2%. È chiaro che dobbiamo mettere in campo una strategia per uscire da una crescita troppo bassa».
In Parlamento si sta discutendo la modifica delle norme sui voucher per evitare il referendum della Cgil. Lei è d’accordo sull’abolizione di questo strumento?
«I voucher vanno meglio regolamentati per riportarli al loro uso originario. La commissione Lavoro alla Camera mi sembra orientata a circoscrivere il loro uso per i lavori domestici o saltuari. Hanno avuto la funzione positiva di far emergere il lavoro nero. Non vanno aboliti, vanno riformati».
Il Pd nei sondaggi perde voti. È possibile invertire la tendenza?
«Da qui a quando si voterà ci sono diversi mesi. I sondaggi oggi indicano problemi e difficoltà ma non fotografano la realtà elettorale. Certo, abbiamo perso il referendum costituzionale, c’è stata una scissione, come si può pensare che tutto ciò non incida? Ma dal Lingotto è uscita una proposta molto forte che consente di recuperare».
Dal Lingotto il Pd è diventato più plurale o è sempre il partito del leader?
«Il Lingotto ha prodotto almeno tre risultati. Il primo è la reciproca rassicurazione tra i 10 mila partecipanti e Renzi. Si è visto poi un gruppo dirigente articolato e plurale, non un solo uomo al comando. Sono intervenuti diversi ministri ed esponenti locali. Terzo risultato: abbiamo idee e proposte per rilanciare una strategia di riforme su Europa, Welfare, sicurezza, immigrazione e lavoro».
Legge elettorale: siete rassegnati al proporzionale e alla mancanza di maggioranze per governare?
«Io non mi rassegno. Sarebbe un errore il ritorno al proporzionale puro. Significherebbe esporre il Paese a una condizione di instabilità e fragilità che pagherebbero i cittadini. Per 60 anni siamo stati il Paese che cambiava il governo ogni anno. È necessaria una legge che garantisca rappresentatività delle opinioni dei cittadini, con una base proporzionale, ma anche un premio a vantaggio di chi vince le elezioni per garantire governi stabili e di legislatura. Il Mattarellum è la nostra proposta. Dicano le altre forze politiche come vogliono affrontare il problema. In ogni caso in tutta Europa ci sono leggi elettorali con meccanismi premiali, come in Germania con lo sbarramento del 5% o come in Gran Bretagna con il maggioritario secco. Apriamo un confronto e troviamo una soluzione che tenga insieme rappresentatività e governabilità».
Premio alla lista o alla coalizione?
«Per come si configura il sistema politico, meglio il premio alla coalizione».
Renzi non sembra ben disposto a fare una coalizione con gli scissionisti. Lei farebbe un’alleanza con Bersani e coloro che hanno abbandonato il Pd?
«Intanto bisognerebbe sapere quali sono le intenzioni di chi ha fatto la scissione perché per ora non si conoscono né il loro programma né gli obiettivi. Il Pd non rinuncia alla sua vocazione maggioritaria ma non significa autosufficienza. Nessuna pregiudiziale dunque, ma le coalizioni e le alleanze si fanno prima di tutto condividendo un programma. E non possiamo non vedere che in questi giorni i parlamentari della scissione hanno assunto posizioni molto lontane dal programma del governo Gentiloni».
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