Il ricordo di Umberto Veronesi
Riportiamo il ricordo di Umberto Veronesi fato dal sindaco di Milano, Beppe Sala:
Milano ha conosciuto tanti personaggi che, in modo diverso, hanno segnato il suo cammino. L’elenco è lungo e pieno di visionari, scienziati, politici, benefattori e creatori di istituzioni.
Milano ha conosciuto tanti personaggi che, in modo diverso, hanno segnato il suo cammino. L’elenco è lungo e pieno di visionari, scienziati, politici, benefattori e creatori di istituzioni.
Raro, anzi rarissimo, è il caso di chi racchiude tutte queste qualità in una sola vita: Umberto Veronesi è uno di questi rarissimi casi e questo è il motivo per cui il cordoglio per la sua scomparsa sta scuotendo Milano nelle radici del suo cuore.
Tutto quello che è stato e che sarà Veronesi per tutti noi è amplificato, a mio avviso, dal fatto che questa avvincente vita ha avuto origini assolutamente normali. Per intenderci, Veronesi non è stato “Veronesi” fin dalla nascita: il padre, come diceva lui “fittavolo della pianura lombarda”, i 4-5 chilometri a piedi tutte le mattine per andare a scuola, qualche insuccesso scolastico, si vedeva persino brutto e pensava di non piacere alle ragazze (qui esagerava...).
Milano era là, vicina e lontana insieme, una meta, una città da conquistare, meritandosela. Ma è proprio in questo percorso di avvicinamento, in questa partenza complicata che nascono in Umberto Veronesi alcune delle sue qualità principali: il senso della concretezza, il valore della natura, l’importanza dei rapporti umani.
Arrivò a Milano, la sentì subito sua e qui seguì la sua missione: essere medico. E così iniziò la battaglia contro il male del secolo, contro quella piaga che attacca l’uomo in qualsiasi parte del suo corpo e che tende a spezzare l’animo del malato prima ancora che la sua fibra. Tutto era all’inizio e si può dire che la medicina, e soprattutto, i medici non erano pronti ad affrontare questo terribile flagello che per moltissimi decenni non aveva neanche un nome: “il brutto male”, come lo chiamavano i nostri vecchi.
Umberto Veronesi studiò, ricercò e trovò rimedi che in nessuna parte del mondo si erano mai trovati, introdusse tecniche che riuscivano a curare rispettando il corpo del malato e assicurandogli una vita vera anche dopo l’intervento. Ma, soprattutto, il Professore fu guidato da una convinzione, da un’intuizione che divenne un credo, un nuovo modo di interpretare il mestiere del medico di fronte alla malattia grave e spesso incurabile: il malato è, e resta sempre, prima di tutto una persona.
In questa visione, Umberto Veronesi capì che il “curare” era solo una parte del mestiere di medico: ben più centrale è il “prendersi cura” della persona che è malata.
“Una carezza per guarire” è uno dei suoi titoli più belli dove racconta la necessità di una “rivoluzione etica” per fondare una medicina del futuro che non si fermi alla tecnica o ai protocolli. È l’uomo che conta, non la medicina in sé.
Da questa base, il pensiero di Umberto Veronesi andò alla radice del problema: riformare l’Università, valorizzando l’aggiornamento, riorganizzare gli ospedali, diffondere un nuovo linguaggio con e sul malato, garantire l’assistenza ai bisognosi e incrementare la ricerca.
E come tutti i Milanesi in gamba, non si limitò al rimprovero o al rimpianto: fece, costruì, partecipò alla vita sociale e culturale fino a diventare Ministro, anche se la politica non lo conquistò mai del tutto anche per la sensazione, che divenne convinzione, di non avere la possibilità di incidere sufficientemente nelle vite delle persone rispetto al suo lavoro di medico e di scienziato. Per questo non accettò mai la candidatura a sindaco di Milano, come invece fece un altro grande medico come Pietro Bucalossi (che peraltro lo chiamò all’Istituto dei Tumori).
L’Istituto Europeo di Oncologia ha rappresentato la sintesi della sua vita, delle sue idee e delle sue speranze. Un luogo dove ricerca e cura si sono fuse diventando un simbolo di quella nuova medicina che Umberto Veronesi, nei limiti dell’esperienza umana, voleva realizzare.
Milano, noi tutti, dobbiamo moltissimo a Umberto Veronesi e questa cerimonia ne è un piccolo segno. Gli dobbiamo molto per tutto quello che ha fatto ma anche per essere stato sempre, fino all’ultimo, protagonista della nostra vita con le sue proposte, le sue riflessioni, le sue idee, anche dure e provocatorie.
Da lui abbiamo imparato a modificare i nostri stili di vita in direzioni più sane ed equilibrate, da lui abbiamo avuto parole di pace che non verranno dimenticate, da lui abbiamo avuto una lezione di laicità convinta e piena di una costante attenzione per l’uomo, la donna e le loro qualità.
Su questi percorsi lui, ateo sin dall’età giovanile, si trovò in sintonia con un grande uomo di Chiesa, il cardinal Martini. E proprio il laico Veronesi scrisse in morte di Martini: “quando una medicina tecnologica che cura di più, ma di più non sa guarire, si ostina (qualcuno dice “si accanisce”) a intervenire con trattamenti che non hanno altro effetto se non prolungare una sofferenza e un’esistenza che non è più definibile come vita. In questo momento, ha dichiarato e scritto Martini, è lecito per ogni uomo, credente o non credente, rifiutare le cure eccessive. Così ha fatto quando è toccato a lui decidere, con coerenza, e con quel coraggio che viene dalla forza e dalla libertà del pensiero”.
Questi due grandi milanesi, così diversi per cultura, credo e vita, si sono ritrovati a condividere la stessa scelta nel momento supremo dell’esistenza. Entrambi hanno scelto di affrontare l’indicibile riaffermando il diritto alla dignità della persona umana. Umberto Veronesi resterà sempre per la nostra città un simbolo della dignità umana, sorretta e compresa di fronte al grande mistero del dolore.
Permettetemi, per concludere, una riflessione personale. Veronesi è stato il mio medico, mi ha aiutato a guarire, ma mi ha regalato anche un grande insegnamento. Una volta mi ha detto più o meno questo: "La malattia farà parte della tua vita. Non sbagliare, non la devi considerare altro da te. Non dirti mai "devo lottare contro la malattia", ma vivi e pensa in ogni momento che noi e le nostre malattie siamo la stessa cosa. E che ci si cura, ci si cura sempre. Da tutti i nostri mali, del nostro corpo e della nostra mente".
Grazie, Umberto, per tutte le volte che hai compreso e sostenuto il nostro dolore.