La resa dei conti
Diciamolo subito: non c’è, non c’è mai stata alcuna guerra dei vent’anni. Semmai ci sono stati, nella storia di questo Paese, vent’anni persi dietro ad un signore ormai ottantenne, ai suoi affari, ai suoi crimini (ora si può dirlo, ma lo si pensava da tempo), alle sue ragazzine, ai pagliacci che popolano il suo variopinto corteo.
La Corte di Cassazione ha fatto giustizia, non ha scritto la storia, perché la storia politica ha già riconsegnato nel resto del mondo - ossia fuori dall’atmosfera lisergica del nostro Paese - l’immagine di un ridicolo commediante di cui non si ricorda un solo atto politico positivo, ma solo una serie di barzellette stantie, di affari privati scambiati con quelli pubblici,
di sessismo greve, di antipolitica sparsa a piene mani…
Che il berlusconismo avesse un fondo criminale lo si intuiva, e lo manifestò anche la sua azione di governo come a Genova nel 2011 quando si vide che anche la tortura e l’omicidio potevano figurare fra le opzioni possibili non per arginare una minaccia inesistente ma per criminalizzare un intero movimento ed una generazione che si affacciava timidamente alla politica.
Ora che succederà? Difficile dirlo: in un Paese normale con partiti solidi e sicuri di se stessi e del proprio radicamento sociale e politico un leader impresentabile è un imbarazzo in primo luogo per la sua parte e lo si accompagna gentilmente all’uscita come fece la CDU tedesca con Helmut Kohl (uno che passerà veramente alla storia, l’artefice della riunificazione nazionale). Dubito fortemente che il PDL abbia la stessa forza, anche perché la CDU riconosceva in Kohl un capo, non un padrone, mentre il PDL senza Berlusconi semplicemente “non è”.
E’anche difficile dire che questa sentenza rappresenti la sanzione di una vicenda privata del Cavaliere, perché essa si riferisce ad un momento storico in cui Berlusconi era già in politica anche se non al Governo, con tanti saluti alla storiella della distinzione di funzioni fra il capo partito ed il capo azienda intervenuta fin dal 1994.
Per quel che concerne il PD la reazione istintiva sarebbe quella della chiusura immediata del rapporto di governo con una forza politica che non riuscisse ad emendarsi dal legame mortale con il suo padre/padrone. Nello stesso tempo, il senso di responsabilità (di cui pare alcuni debbano avere il monopolio, perché altri - ad esempio i berlusconiani - ne fanno allegramente a meno) spinge a considerare che il Governo Letta è allo stato di cose l’unico possibile e nuove elezioni con il “Porcellum” lascerebbero le cose più o meno come stanno.
E’ fuori discussione però che la responsabilità non può essere sinonimo di staticità, ed il Governo ha oggi il dovere, se vuole darsi una legittimazione agli occhi di un’opinione pubblica che oscilla fra neghittosità e sorda irritazione, di implementare la sua azione al servizio del Paese con atti concreti in campo economico e sociale ed anche in campo politico, sopprimendo in primo luogo una vergognosa e inconcludente legge elettorale.
Per il bene dell’Italia, non di uno solo.