Amore e guerra a Ferrara
Articolo dell'Agi sul nuovo libro di Dario Franceschini.
Quinta prova narrativa per l’ex Ministro della Cultura Dario Franceschini, tornato in libreria con ‘Aqua e tera’ (La nave di Teseo), romanzo d’amore, inclusione sociale e politica ambientato nel ferrarese tra la fine della prima e quella della seconda guerra mondiale, ma con il focus puntato sugli albori delle dittatura fascista.
Un misto di fatti accaduti, fiction e autofiction (tra i personaggi anche i nonni ed il padre dell’autore, con altri nomi) in cui certo riprendono corpo i racconti ascoltati dal Franceschini bambino e popolati da figure mitiche di partigiani dell’epoca. Con Mussolini, Matteotti e Balbo sullo sfondo, il proscenio spetta a donne e uomini che ormai, nell’immaginario collettivo, sono a volte diventati semplici odonimi, nomi di strade.
Fin dal titolo le intenzioni sono chiare: Ferrara, il suo territorio, le sue tradizioni e soprattutto le sue figlie ed i suoi figli sono al centro di tutto. Con l’espediente di uno stile asciutto e teso alla comprensibilità (seppur con l’uso del dialetto) e l’apparente adesione ai due topoi narrativi più in voga del momento, la saga familiare e la vicenda di empowerment femminile (tra l’altro legata a una relazione omosessuale), Franceschini ha in realtà scritto un romanzo storico, basato sulla certosina ricostruzione di eventi ormai quasi dimenticati. Lo scontro tra le Leghe Rosse e il nascente movimento fascista, che vide il secondo soffocare nella violenza la rivoluzione agraria, viene ricostruito per restituire luce ad una fetta fondamentale di storia d’Italia, rimettendo in cronaca eroismi e viltà e quindi dividendo con nettezza i buoni dai cattivi. Un come eravamo che a tratti sembra un western, ma attinge alla fonte originaria della nostra attuale democrazia.
Si legge Aqua e tera e si pensa bianco e nero, ed è forse l’effetto meno efficace di un’operazione narrativa ben più complessa ed articolata di quanto sembri. Esercizio d’esplorazione dell’animo umano, il romanzo ha a volte bisogno di grigi, incertezze e lacerazioni nelle coscienze dei suoi personaggi anche negativi, ma in ‘Aqua e tera’ scorre più forte l’urgenza, che poi è quella della rappresentazione di un conflitto in atto, di dare il giusto nome alle cose. Riannodando fili del ricordo che dall’attivismo eroico arrivano fino alla cultura (da Don Minzoni si giunge ad Antonioni e Bassani). Gli unici momenti in cui l’intensità nel restituire al passato valore di monito all’oggi cambia voltaggio riguardano il ruolo delle donne nella società ed il rispetto per le relazioni tra persone dello stesso sesso. Temi su cui l’autore non pratica sconti nel condannare senza distinzioni tutti gli uomini di un secolo fa.
Usiamo la memoria per non farci trascinare nel baratro di estremismi inumani, suggerisce con forza il libro. Siamo stati violenza, sopraffazione e odio, ma anche resistenza, coraggio e dignità. E proprio perché tutto è già accaduto, diventa un dovere non ripetere gli errori. Intanto, sarebbe inutile: l’amore sopravvive all’odio, si rigenera e ritorna in altra forma. Oltre qualsiasi divisione, conclude Franceschini, è sempre quello che resta.
Quinta prova narrativa per l’ex Ministro della Cultura Dario Franceschini, tornato in libreria con ‘Aqua e tera’ (La nave di Teseo), romanzo d’amore, inclusione sociale e politica ambientato nel ferrarese tra la fine della prima e quella della seconda guerra mondiale, ma con il focus puntato sugli albori delle dittatura fascista.
Un misto di fatti accaduti, fiction e autofiction (tra i personaggi anche i nonni ed il padre dell’autore, con altri nomi) in cui certo riprendono corpo i racconti ascoltati dal Franceschini bambino e popolati da figure mitiche di partigiani dell’epoca. Con Mussolini, Matteotti e Balbo sullo sfondo, il proscenio spetta a donne e uomini che ormai, nell’immaginario collettivo, sono a volte diventati semplici odonimi, nomi di strade.
Fin dal titolo le intenzioni sono chiare: Ferrara, il suo territorio, le sue tradizioni e soprattutto le sue figlie ed i suoi figli sono al centro di tutto. Con l’espediente di uno stile asciutto e teso alla comprensibilità (seppur con l’uso del dialetto) e l’apparente adesione ai due topoi narrativi più in voga del momento, la saga familiare e la vicenda di empowerment femminile (tra l’altro legata a una relazione omosessuale), Franceschini ha in realtà scritto un romanzo storico, basato sulla certosina ricostruzione di eventi ormai quasi dimenticati. Lo scontro tra le Leghe Rosse e il nascente movimento fascista, che vide il secondo soffocare nella violenza la rivoluzione agraria, viene ricostruito per restituire luce ad una fetta fondamentale di storia d’Italia, rimettendo in cronaca eroismi e viltà e quindi dividendo con nettezza i buoni dai cattivi. Un come eravamo che a tratti sembra un western, ma attinge alla fonte originaria della nostra attuale democrazia.
Si legge Aqua e tera e si pensa bianco e nero, ed è forse l’effetto meno efficace di un’operazione narrativa ben più complessa ed articolata di quanto sembri. Esercizio d’esplorazione dell’animo umano, il romanzo ha a volte bisogno di grigi, incertezze e lacerazioni nelle coscienze dei suoi personaggi anche negativi, ma in ‘Aqua e tera’ scorre più forte l’urgenza, che poi è quella della rappresentazione di un conflitto in atto, di dare il giusto nome alle cose. Riannodando fili del ricordo che dall’attivismo eroico arrivano fino alla cultura (da Don Minzoni si giunge ad Antonioni e Bassani). Gli unici momenti in cui l’intensità nel restituire al passato valore di monito all’oggi cambia voltaggio riguardano il ruolo delle donne nella società ed il rispetto per le relazioni tra persone dello stesso sesso. Temi su cui l’autore non pratica sconti nel condannare senza distinzioni tutti gli uomini di un secolo fa.
Usiamo la memoria per non farci trascinare nel baratro di estremismi inumani, suggerisce con forza il libro. Siamo stati violenza, sopraffazione e odio, ma anche resistenza, coraggio e dignità. E proprio perché tutto è già accaduto, diventa un dovere non ripetere gli errori. Intanto, sarebbe inutile: l’amore sopravvive all’odio, si rigenera e ritorna in altra forma. Oltre qualsiasi divisione, conclude Franceschini, è sempre quello che resta.