Commissione europea troppo a destra
Articolo della Stampa.
Elly Schlein ha l’aria per niente soddisfatta. «Di certo non siamo entusiasti di questa Commissione», conferma seduta su un divanetto di Montecitorio, tra una votazione e l’altra del ddl sicurezza.
Compulsa il telefono, scorre uno a uno i profili dei componenti della squadra presentata in mattinata da Ursula Von der Leyen: se il capodelegazione in Europa Nicola Zingaretti l’aveva già definita «un passo indietro», la segretaria del Pd la considera «più conservatrice di quella di prima», e dal suo punto di vista non è di sicuro un complimento, «dovuta anche ai governi che hanno espresso le nomine». L’impressione che arriva da Bruxelles è che la presidente tedesca, in una fase che vede Francia e Germania indebolite, la prima nel mezzo di una crisi politica e il governo di Berlino insidiato dalla crescita di Afd, sia stata molto attenta, anche troppo, a non inimicarsi gli esecutivi di destra dell’Unione.
«Ora valuteremo attentamente deleghe e portafogli», aggiunge, ma alcune scelte che considera errori le sono già saltate agli occhi: Nicolas Schmit, il commissario lussemburghese uscente al lavoro, che i socialisti e democratici avevano scelto come candidato alla presidenza e che avrebbero voluto nella squadra, non ne fa parte. «Non solo: non c’è più uno specifico commissario al lavoro. E l’Italia – sottolinea la segretaria dem - perde il portafoglio all’economia, che rimane sotto Dombrovskis, considerato un falco: dovremo batterci molto per difendere la prospettiva di investimenti comuni europei. Sull’immigrazione poi c’è il Popolare austriaco Brunner, ma noi insisteremo sulla solidarietà e l’accoglienza tra Stati».
Al rappresentante italiano, Raffaele Fitto, va la vicepresidenza esecutiva e le deleghe a coesione e riforme: «Useremo le audizioni senza fare alcuno sconto per verificare la sua adeguatezza al compito. Non è più il portafoglio economico, ma anche le politiche di coesione sono importanti per l’Europa e per il nostro Paese: speriamo che gestisca il Pnrr meglio lì di quanto ha fatto in Italia», giudica Schlein. Gli alleati di Alleanza Verdi e Sinistra hanno già dichiarato il voto contrario, e pure il M5S, molto critico, è su quella strada. Il responsabile esteri del Pd, Giuseppe Provenzano, già dal mattino non si era sbilanciato sulle intenzioni dem ma aveva premesso che «ascolteremo Fitto in audizione», con la speranza che cambi posizione rispetto alla campagna elettorale, «perché le cose che Meloni ha sostenuto alle elezioni europee non fanno bene né all’Europa né all’Italia: sciolgano le contraddizioni, sono al governo europeo e non hanno più alibi».
Anche la segretaria, a domanda su come voterà il Pd, insiste sull’importanza dell’audizione, un fuoco di fila di domande che è tutt’altro che una formalità: «Il voto si esprime sulla Commissione nel suo insieme, e noi useremo tutto il nostro peso nel processo delle audizioni per assicurarci che le priorità della prossima Commissione corrispondano a quelle che abbiamo indicato a Ursula Von der Leyen». Il tentativo sarà cioè quello di verificare che tutti i commissari siano coerenti «rispetto alle priorità politiche sulla base delle quali una maggioranza ha votato la presidente due mesi fa al Parlamento». Tutti, a partire dal rappresentante italiano Fitto. Perché è evidente che non le bastano le «note positive» che pure sottolinea, per farle guardare con ottimismo ai futuri anni di lavoro in Europa. Certo, dice che le sembra un buon segnale la scelta del commissario socialista danese Dan Jorgensen all’energia, «una battaglia per noi prioritaria», così come «il portafoglio robusto su Green Deal e concorrenza a Teresa Ribera», ma quando aggiunge che la spagnola è «persona di grande competenza e tenacia», chiosa pure che «la sua tenacia le servirà tutta, in questa Commissione».
Da ora e per il prossimo mese riflettori puntati sulle audizioni, una sorta di prova d’amore all’europeismo che i commissari dovranno superare. E che non sempre va bene: a Bruxelles come a Roma ricordano ancora la bocciatura del candidato Rocco Buttiglione vent’anni fa. «Storicamente ci sono stati anche cambi di deleghe e portafogli: io, da federalista europea, do molto valore e peso al ruolo del Parlamento in questo processo», aggiunge Schlein. «Non siamo in condizioni di anticipare niente», rimane cauta sulla posizione che il Pd vorrà assumere dentro ai socialisti e democratici, e che la stessa premier Meloni dichiara essere importante («escludo che il Partito socialista europeo possa prendere sul commissario italiano una posizione diversa da quella che indica la delegazione italiana, che è anche la più rappresentativa», dice in serata ospite di Bruno Vespa). Ma tutta la sua preoccupazione, Schlein la consegna a una frase: «Saranno anni difficili, non bisogna perdere le innovazioni arrivate dopo la pandemia: noi su questo vigileremo. Difenderemo le nostre priorità e non ci faremo dare per scontati mai». Ursula von der Leyen è avvisata.
Elly Schlein ha l’aria per niente soddisfatta. «Di certo non siamo entusiasti di questa Commissione», conferma seduta su un divanetto di Montecitorio, tra una votazione e l’altra del ddl sicurezza.
Compulsa il telefono, scorre uno a uno i profili dei componenti della squadra presentata in mattinata da Ursula Von der Leyen: se il capodelegazione in Europa Nicola Zingaretti l’aveva già definita «un passo indietro», la segretaria del Pd la considera «più conservatrice di quella di prima», e dal suo punto di vista non è di sicuro un complimento, «dovuta anche ai governi che hanno espresso le nomine». L’impressione che arriva da Bruxelles è che la presidente tedesca, in una fase che vede Francia e Germania indebolite, la prima nel mezzo di una crisi politica e il governo di Berlino insidiato dalla crescita di Afd, sia stata molto attenta, anche troppo, a non inimicarsi gli esecutivi di destra dell’Unione.
«Ora valuteremo attentamente deleghe e portafogli», aggiunge, ma alcune scelte che considera errori le sono già saltate agli occhi: Nicolas Schmit, il commissario lussemburghese uscente al lavoro, che i socialisti e democratici avevano scelto come candidato alla presidenza e che avrebbero voluto nella squadra, non ne fa parte. «Non solo: non c’è più uno specifico commissario al lavoro. E l’Italia – sottolinea la segretaria dem - perde il portafoglio all’economia, che rimane sotto Dombrovskis, considerato un falco: dovremo batterci molto per difendere la prospettiva di investimenti comuni europei. Sull’immigrazione poi c’è il Popolare austriaco Brunner, ma noi insisteremo sulla solidarietà e l’accoglienza tra Stati».
Al rappresentante italiano, Raffaele Fitto, va la vicepresidenza esecutiva e le deleghe a coesione e riforme: «Useremo le audizioni senza fare alcuno sconto per verificare la sua adeguatezza al compito. Non è più il portafoglio economico, ma anche le politiche di coesione sono importanti per l’Europa e per il nostro Paese: speriamo che gestisca il Pnrr meglio lì di quanto ha fatto in Italia», giudica Schlein. Gli alleati di Alleanza Verdi e Sinistra hanno già dichiarato il voto contrario, e pure il M5S, molto critico, è su quella strada. Il responsabile esteri del Pd, Giuseppe Provenzano, già dal mattino non si era sbilanciato sulle intenzioni dem ma aveva premesso che «ascolteremo Fitto in audizione», con la speranza che cambi posizione rispetto alla campagna elettorale, «perché le cose che Meloni ha sostenuto alle elezioni europee non fanno bene né all’Europa né all’Italia: sciolgano le contraddizioni, sono al governo europeo e non hanno più alibi».
Anche la segretaria, a domanda su come voterà il Pd, insiste sull’importanza dell’audizione, un fuoco di fila di domande che è tutt’altro che una formalità: «Il voto si esprime sulla Commissione nel suo insieme, e noi useremo tutto il nostro peso nel processo delle audizioni per assicurarci che le priorità della prossima Commissione corrispondano a quelle che abbiamo indicato a Ursula Von der Leyen». Il tentativo sarà cioè quello di verificare che tutti i commissari siano coerenti «rispetto alle priorità politiche sulla base delle quali una maggioranza ha votato la presidente due mesi fa al Parlamento». Tutti, a partire dal rappresentante italiano Fitto. Perché è evidente che non le bastano le «note positive» che pure sottolinea, per farle guardare con ottimismo ai futuri anni di lavoro in Europa. Certo, dice che le sembra un buon segnale la scelta del commissario socialista danese Dan Jorgensen all’energia, «una battaglia per noi prioritaria», così come «il portafoglio robusto su Green Deal e concorrenza a Teresa Ribera», ma quando aggiunge che la spagnola è «persona di grande competenza e tenacia», chiosa pure che «la sua tenacia le servirà tutta, in questa Commissione».
Da ora e per il prossimo mese riflettori puntati sulle audizioni, una sorta di prova d’amore all’europeismo che i commissari dovranno superare. E che non sempre va bene: a Bruxelles come a Roma ricordano ancora la bocciatura del candidato Rocco Buttiglione vent’anni fa. «Storicamente ci sono stati anche cambi di deleghe e portafogli: io, da federalista europea, do molto valore e peso al ruolo del Parlamento in questo processo», aggiunge Schlein. «Non siamo in condizioni di anticipare niente», rimane cauta sulla posizione che il Pd vorrà assumere dentro ai socialisti e democratici, e che la stessa premier Meloni dichiara essere importante («escludo che il Partito socialista europeo possa prendere sul commissario italiano una posizione diversa da quella che indica la delegazione italiana, che è anche la più rappresentativa», dice in serata ospite di Bruno Vespa). Ma tutta la sua preoccupazione, Schlein la consegna a una frase: «Saranno anni difficili, non bisogna perdere le innovazioni arrivate dopo la pandemia: noi su questo vigileremo. Difenderemo le nostre priorità e non ci faremo dare per scontati mai». Ursula von der Leyen è avvisata.