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Muri da abbattere nelle nostre teste

Scritto da Emilia De Biasi.

Emilia De BiasiArticolo pubblicato da Lettera43.
Per un muro che cade altri si innalzano. Sono passati 26 anni dalla caduta del Muro di Berlino, da quella notte incredibile e attesa, dalla fine del Checkpoint Charlie, da cui in modi rocamboleschi e drammatici tedeschi dell'Est tentavano il passaggio a Ovest, accolti da familiari da cui erano stati separati nello spazio di una notte, ma anche dal luccichio volgare di case da gioco, bordelli e locali notturni, segno di una libertà che faceva del consumo l'oggetto del desiderio.
LA FINE DI UN'EPOCA. Con la caduta del Muro infinite pagine di romanzi di spionaggio sono state archiviate nella sezione classici del passato, e la surreale Terra di Nessuno, fra Est e Ovest, si è a lungo percorsa con il sottofondo del ticchettio incessante della distruzione dei resti del Muro da parte di singole persone, in una partecipazione di popolo alla grande storia che credo non abbia avuto precedenti. Speravamo fosse finita coi muri, e in Italia ancora di più, pensando all'abbattimento di quello del manicomio di Trieste di molto anni prima e alla legge Basaglia, che in fondo affermava una grande verità, e cioè che da vicino nessuno è normale. Ma l'umano è imperfetto, non sempre sa apprendere dall'esperienza, anzi sembrerebbe quasi mai, visto che dopo la speranza è sopraggiunta la crisi, e con la crisi la paura, e con la paura il muro. Muri dovunque: in Ungheria, e non solo, per non far entrare l'esodo biblico dei rifugiati dai Paesi della guerra, delle torture, della fame e del terrore; muri sulle coste del Mediterraneo - la culla della civiltà! - per impedire il flusso infinito di uomini, donne e bambini nell'indifferenza, fino al pugno in faccia alle nostre coscienze di europei ben pasciuti del cadavere di quel piccolino in riva al mare.
OGGI CI SONO I MURI VIRTUALI. Muri materiali, muri virtuali, quelli che predicano la paura nella speranza di raccogliere voti, che inneggiano ad armarsi e a rinchiudersi nelle proprie case, nelle sicurezze dei propri egoismi. Muri che si rialzano di fronte al diverso da sé, dall'altro che è lo specchio delle proprie fobie. Muri che si erigono attorno a una sola idea di famiglia, a un solo modo d'amare, a un unico modo di generare, pensiero unico che ha la pretesa di tramandare la conservazione spacciandola per tradizione. E ancora: quel muro del terrorismo, che ammazza nelle spiagge e sugli aerei innocenti che hanno avuto la sola colpa di scegliere come luogo dell'ultima vacanza le terre che l'Isis vuole consegnare al Califfato che distrugge l'arte e la storia, la bellezza e la libertà, l'economia di intere nazioni, il loro essere parte del mondo.
VECCHI FANTASMI, NUOVE PAURE. Più di un quarto di secolo è già passato da quelle immagini poderose di giovani fieri assiepati sul Muro, detentori della certezza di un mondo migliore, smentita pochi anni dopo dall'attentato alle Torri Gemelle. Siamo invecchiati, abbiamo nuove paure e la nostra libertà è sottoposta sempre di più alle ragioni della sicurezza. Kennedy di fronte al Muro disse la famosa frase: «Sono un berlinese». Oggi sta a noi dire «sono un cittadino del mondo, sto dalla parte di chi lavora per una società più umana». Dirlo è più facile che farlo, lo so, ma una vita spesa bene vale la fatica della dignità.
P.s. Che dite della vecchietta che narcotizzava i suoi coetanei per rapinarli? Pennac ne aveva già scritto nella Fata Carabina. E questo è il tipico caso in cui la realtà supera la fantasia.

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