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Serve un’Europa più competitiva

Scritto da Paolo Gentiloni.

Intervista della Stampa a Paolo Gentiloni.

«Dobbiamo trovare entro fine anno un’intesa sulle nuove regole fiscali Ue. Sono soddisfatto e ottimista che i governi stiano lavorando sulla proposta della Commissione che è equilibrata». Paolo Gentiloni, da Villa d’Este, spiega il percorso che deve intraprendere l’Europa per evitare di finire nelle sabbie mobili. «Abbiamo evitato una recessione ma l’economia sta rallentando», concede ai cronisti che lo interrogano durante il The European House - Ambrosetti targato 2023, il 49esimo della serie.
Il commissario Ue agli Affari economici non nega che ci siano difficoltà. La Germania che frena, la Cina idem. Ed è per questo che la risposta dell’Europa deve essere unitaria per garantire una competitività continua. Anche attraverso un Patto di Stabilità in grado di adeguarsi alle nuove esigenze.
Si parla tanto del rischio recessione, europea e italiana.
«Il fatto positivo è che ci sia comunque una domanda di Europa. Sul piano economico abbiamo reagito positivamente a due crisi enormi, pandemia e guerra in Ucraina. È stato difficile, perché ci sono state due crisi diverse e profonde. Abbiamo evitato la recessione, visto che le stime erano catastrofiche. Siamo in un contesto di rallentamento, non di recessione, un contesto nel quale è fondamentale che l’Unione europea sia competitiva. la crescita rallenta perché sulla manifattura pesano i costi dell’energia, pesa soprattutto per alcuni Paesi il rallentamento della Cina».
«È ancora persistente. Ma, specie sui servizi, speriamo che il turismo sia stato utile. A oggi non è possibile fare stime. Vedremo l’11 settembre, quando ci saranno le nuove proiezioni macroeconomiche. Il quadro che si sta delineando è di rallentamento, non di recessione».
Cosa si può controbilanciare il tutto?
«Per contrastarlo dobbiamo utilizzare tutte le risorse che abbiamo, come il NextGenerationEU. Una volta che le risorse immediate non saranno usate per tutto, allora si potrà pensare a nuovi strumenti e nuovi fondi comuni. Sappiamo che dei potenziali prestiti molti non sono stati raccolti. Parliamo di circa 93 miliardi di euro. Questa può essere una base da considerare nella fase che a Bruxelles definiamo di medio termine e cioè una volta che le risorse immediate si esauriranno. Senza dimenticare gli investimenti, di cui abbiamo un enorme bisogno. In quest’ottica vanno facilitati i privati, ma senza dimenticare il contributo pubblico».
A proposito di NextGenerationEu. Qui a Cernobbio se ne è parlato poco.
«Mi colpisce e mi spiace che il Pnrr sia fuori dal centro dell’attenzione. Sono attesi 134 miliardi ancora e si discute in modo accanito di cifre che sono un centesimo di questo».
La riforma del Patto continua a essere elemento di discussione anche in Italia. E sono tante le divergenze fra le cancellerie europee.
«Abbiamo deciso di sospendere le regole del Patto di stabilità a marzo del 2020, qualche giorno dopo che fu dichiarata la pandemia. Abbiamo prolungato lo stop abbastanza facilmente nel 2021, con qualche discussione nel 2022 e con molte discussioni nel 2023. Non lo prolungheremo nel 2024».
Come se ne esce?
«Entro fine anno dobbiamo trovare un’intesa sul nuovo Patto di Stabilità e Crescita. In questo contesto, sono soddisfatto dell’opinione dei governi nazionali. Un mancato accordo e quindi un ritorno alla situazione precedente da un lato metterebbe in luce le difficoltà delle regole precedenti. Ne abbiamo parlato per due o tre anni del fatto che queste regole pur avendo degli elementi certamente utili, positivi e da confermare, non sono riuscite né a promuovere la crescita né a ridurre sostanzialmente il debito, quindi riproporle non sarebbe ideale».
Anche la Banca centrale europea ha dato indicazioni.
«Contemporaneamente la presidente Christine Lagarde ci ricorda spesso che raggiungere questa intesa è fondamentale anche nella valutazione complessiva che la Bce fa della situazione dei mercati e questo credo anche è uno dei motivi aggiuntivi per cui bisogna lavorare con grande spirito di responsabilità per trovare un’intesa. Ho studiato con attenzione la proposta della Commissione e mi pare equilibrata».
Come mai?
«Perché prevede un percorso di riduzione del debito più graduale, e incentiva investimenti prolungando il percorso di rientro del debito in casi di piani virtuosi. La proposta della Commissione è migliorabile, trovare un’intesa sarebbe una prova di maturità da parte dei Paesi. Ora, bisogna capire in che direzione si vuole andare. Sappiamo che si sono molti attori che spingono per modificarla in una direzione opposta, ma bisogna trovare un accordo».
Altro?
«La soluzione non può essere rappresentata dagli aiuti di Stato. Non può essere questa, perché il rischio sono troppi squilibri nel mercato unico. Sappiamo che quando si utilizzano questi schemi in deroga agli aiuti di Stato c’è una grande concentrazione, c’è stata per gli schemi post Covid, c’è tuttora per gli schemi post crisi energetica. Oltre il 50% vengono richiesti da un singolo Paese, circa l’80% richiesti da due Paesi e l’Unione europea è fatta da 27 Paesi. Non dico che gli aiuti di Stato non possano essere ritoccati, ma non si può pensare che siano lo strumento attraverso cui siamo competitivi: lo siamo con obiettivi, progetti e beni comuni».
Da tempo si parla di strumenti di condivisione, un po’ come è stato lo Sure.
«Rilanciare il discorso sul debito comune è molto importante. La presidente della Commissione Ursula von der Leyen lo ha fatto a Davos citando la sovranità europea. Alla scadenza del 2026 del piano NextGenerationEU, questo tema dovrebbe essere fondamentale».
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