Congresso Pd soluzione o problema?
Sabato 6 luglio sarò ospite di Associazione Democratici per Milano per una tavola rotonda dal titolo "Il congresso che serve all'Italia". Il confronto, cui partecipano esponenti del Pd che nel corso di questi anni hanno avuto posizioni e fatto scelte diverse, è preceduto da tre diverse sessioni tematiche: sul lavoro, sul Nord, sulle riforme istituzionali, sotto un titolo comune "Governare oltre la crisi".
Parto da qui perché penso che sia questo il dibattito che dobbiamo fare verso il Congresso: sui contenuti del nostro "essere riformisti" più che sulle etichette, sul nesso tra questo governo "di necessità" e l'identità del Pd, sulla qualità specifica delle nostre proposte e delle nostre classi dirigenti e non sulla simpatia (o antipatia) per questo o quel leader o aspirante tale...
Non è affatto appassionante, né per i militanti né tantomeno per gli elettori, una discussione tutta sulle regole e sui nomi.
Lo scarto tra i problemi reali del Paese e la nostra discussione è tanto più insopportabile se, parallelamente, il Pd diviene - nei fatti o nella comunicazione mediatica - un freno per il governo Letta, un fattore di instabilità e di resistenza al cambiamento anziché un soggetto attivo, propositivo, che sollecita e sostiene scelte coraggiose e innovative.
Da molti anni per la sinistra di governo il dilemma è più o meno questo: come risultare convincenti sia per le parti più deboli e indifese della società, che chiedono tutele e rassicurazioni, sia per le componenti più dinamiche, che chiedono politiche pubbliche che favoriscano e non ostacolino il merito e la voglia di mettersi in gioco.
Se non riusciremo a fare i conti con entrambe queste domande - nella crisi divenute via via più acute e drammatiche - non saremo all'altezza della sfida del cambiamento necessario e continueremo ad essere percepiti come una forza "conservatrice”, che al massimo difende l'esistente ma non sa progettare un diverso compromesso tra solidarietà e crescita, tra eguaglianza e merito.
Il populismo si è sviluppato in tutto il mondo e in Europa a partire da una crisi profonda delle famiglie politiche tradizionali, dalla incapacità di fornire risposte e soluzioni alla crisi finanziaria, economica e sociale, dalla difficoltà di rispondere su scala nazionale a questioni che sempre più si misurano su dimensioni globali. Tuttavia in Italia c'è qualcosa di più: c'è uno Stato che non funziona, uno spirito civico debole che è stato sopravanzato da corporativismi ed egoismi da cui anche noi, anche la sinistra, non siamo sempre stati in grado di prendere le distanze.
L'atto di nascita del Pd, il Lingotto di Veltroni, aveva avuto almeno il merito di indicare i titoli di questa riflessione. Poi magari un eccesso di "ma anche" e una scarsa attenzione alla mescolanza delle culture fondative del Pd - presupposto necessario anche se non sufficiente per elaborare una cultura politica nuova e un modello organizzativo altrettanto nuovo - non hanno consentito di procedere con sufficiente coraggio lungo quella strada. Ma se ora, a distanza di alcuni anni da quell'inizio e nel vivo di una esperienza di governo assolutamente straordinaria e complessa, il Pd facesse un congresso "sbagliato", inutile o magari dannoso all'Italia, saremmo imperdonabili. Possiamo essere parte della soluzione o parte del problema: Epifani credo sia pienamente consapevole di questo. Perché non provare tutti a dare una mano?