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Parlare di pace non è evitare di schierarsi

Scritto da Matteo Zuppi.

Articolo della Stampa.

La riconciliazione «non è solo auspicio, ma realtà stessa della Chiesa». Parlare di pace non è evitare di schierarsi. «In Ucraina non resti solo la logica spietata del conflitto». Lo afferma il cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, nell’introduzione ai lavori dell’assemblea generale della Cei, tre giorni dopo avere ricevuto da papa Francesco l’incarico di una missione «che contribuisca ad allentare le tensioni nel conflitto in Ucraina», ha annunciato il direttore della Sala stampa della Santa Sede Matteo Bruni, «nella speranza che questo possa avviare percorsi di pace».
L’Arcivescovo di Bologna parla anche dell’Emilia Romagna devastata da alluvione e frane: serviranno anni di solidarietà. Affronta il tema pedofilia nelle Sacre Stanze: «Vergogna per lo scandalo abusi», l’incontro con le vittime conferma l’impegno ecclesiastico contro questo «dramma». Migranti e crisi demografica: accoglienza e natalità non si contrappongono, «chiudere le porte a chi bussa è come non dare spazio alla vita». Sostiene che la protesta degli studenti è una spia significativa, il decreto lavoro amplia la «precarietà», manca il contrasto alla «povertà». E denuncia: la protesta degli studenti è una spia significativa, il decreto lavoro amplia la «precarietà», manca il contrasto alla «povertà».
In questo momento «il nostro pensiero va all'Emilia Romagna, piegata dalla furia delle alluvioni, dalle esondazioni dei fiumi e dalle tante frane», dice il Porporato. Ringraziando quanti – «istituzioni, Forze dell'Ordine, Protezione Civile, volontari» – si stanno «prodigando per portare aiuto concreto e consolazione, fino ai luoghi più isolati», Zuppi esorta all’«impegno» di «mantenere lo stesso spirito di solidarietà e di comunità nei prossimi mesi e forse anni per riparare quanto la furia delle acque ha rovinato».
L'acqua e il fango «hanno mietuto vittime, devastato territori, distrutto abitazioni e aziende, cancellato ricordi e sacrifici - sottolineato il Cardinale – Anche questa volta piangiamo per esserci presi troppa poca cura della nostra Casa comune». Zuppi esprime gratitudine anche «ai sacerdoti, alle parrocchie e agli Istituti religiosi, ai tanti volontari che generosamente e spontaneamente si sono organizzati per aiutare in questo vero e proprio “ospedale da campo”. Tra di loro vi sono molti ragazzi e giovani che hanno deciso di dare una mano in modo concreto, per alleviare le sofferenze con la loro forza e la loro speranza».
Preghiera e impegno per la pace: «Siamo grati a papa Francesco per la sua profezia, così rara oggi, quando parlare di pace sembra evitare di schierarsi o non riconoscere le responsabilità. La sua voce si fa carico dell'ansia profonda, talvolta inespressa, spesso inascoltata, dei popoli che hanno bisogno della pace. La guerra è una pandemia. Ci coinvolge tutti. Nel recente viaggio in Ungheria, si è interrogato: “Dove sono gli sforzi creativi di pace?”. Lasciamoci inquietare da questa domanda, perché non rimanga solo la logica spietata del conflitto. Per noi la pace non è solo un auspicio, ma è la realtà stessa della Chiesa, che germina - come il segno di pace - dall'Eucaristia e dal Vangelo.
La Chiesa e i cristiani credono nella pace, siamo chiamati a essere tutti operatori di pace, ancora di più nella tempesta terribile dei conflitti». E poi aggiunge: «Siamo il popolo della pace, a partire da Gesù che è la nostra pace. Lo siamo per la storia del nostro Paese, per la sua collocazione nel Mediterraneo, cerniera tra Nord e Sud, ma anche tra Est e Ovest. Lo siamo - mi sembra - per le radici più profonde e caratteristiche del nostro popolo. Come cristiani italiani, con il Papa, siamo chiamati a una fervente e insistente preghiera per la pace in Ucraina e perché “si affratellino tutti i popoli della terra e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace”», invita citando l’enciclica Pacem in terris di papa san Giovanni XXIII. Chiede che «preghino tutte le nostre comunità intensamente per la pace! L'impegno di intercessione cambia la storia, come diceva Giorgio La Pira.
C'è una cultura di pace tra la gente da generare e fortificare, tante volte l'informazione così complessa spinge all'indifferenza, a essere spettatori della guerra ridotta a gioco. La solidarietà con i rifugiati - quelli ucraini, ma non solo - è un'azione di pace». Tenendo conto che «i conflitti si moltiplicano.
Penso al Sudan e al suo dramma umanitario. In un mondo come il nostro non possiamo prescindere da una visione globale. Seguire le vicende dolorose dei Paesi lontani, con la preghiera e l'informazione, è una forma di carità. Del resto la cultura della pace è un capitolo decisivo della cultura della vita, che trae ispirazione dalla fede».
Il Presidente dei vescovi italiani indica poi di non dimenticare «la vergogna per lo scandalo degli abusi e per la sofferenza da essi provocata che spinge ad affrontarli con un rinnovato impegno, senza opacità, ingenuità, complicità e giustizialismi». L'incontro da poco «vissuto con alcune vittime, familiari e sopravvissuti - prosegue - è conferma della nostra scelta di continuare nel dialogo intrapreso con chi ha vissuto in prima persona questo dramma. Siamo anche convinti che l'ascolto della sofferenza sia tappa essenziale del cammino per consolidare e rendere più efficaci le attività di formazione e prevenzione messe in atto dalle Chiese in Italia attraverso la rete territoriale dei Servizi per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili». A questo argomento «dedicheremo in altra occasione più spazio, presentando una necessaria e dovuta riflessione estesa e approfondita: non possiamo però non confermare che occupa molta attenzione nel Servizio Nazionale per la tutela dei minori, nelle diocesi, nei movimenti e organizzazioni e nella struttura tutta della Conferenza Episcopale».
Altro tema: «Spesso le giovani coppie non riescono a costituire una famiglia semplicemente per la precarietà del lavoro o la mancanza di politiche di sostegno, a cominciare dalla casa. Quello della famiglia ha una ricaduta diretta su un altro tema, che ormai si presenta come una drammatica tendenza negativa pluriennale: si tratta della crisi demografica». È tutto «il Paese a soffrire una crisi e questa ha a che vedere anche con l'accoglienza di migranti e la loro inevitabile integrazione nella nostra società. Accoglienza e natalità, ha ricordato Papa Francesco, non solo non si oppongono ma si completano e nascono dal desiderio di guardare al futuro». Secondo Zuppi, «la questione demografica e tutte le questioni sociali meritano attenzione e politiche lungimiranti. È sbagliato contrapporre o separare valori etici e valori sociali: sono la stessa cultura della vita che sgorga dal Vangelo!. La cultura della vita sa che essa nasce e cresce nella famiglia e che tutto non dipende dal proprio volere soggettivo che arriva a giustificare la cosiddetta maternità surrogata, che utilizza la donna, spesso povera, per realizzare il desiderio altrui di genitorialità».
Il Pontefice «ha ben chiarito come natalità e accoglienza siano nello stesso orizzonte di apertura al futuro: “Non vanno mai contrapposte perché sono due facce della stessa medaglia, ci rivelano quanta felicità c'è nella società”». Invece, l'accoglienza «della vita nascente si accompagna alle porte chiuse a rifugiati e migranti. È la triste società della paura». Per Zuppi, «chiudere le porte a chi bussa è, alla fine, nella stessa logica di chi non fa spazio alla vita nella propria casa. Del resto abbiamo bisogno di migranti per vivere: li chiedono l'impresa, la famiglia, la società. Non seminiamo di ostacoli, con un'ombra punitiva, il loro percorso nel nostro Paese! C'è un livello di difficoltà burocratica che rende difficile il percorso d'inserimento, i ricongiungimenti familiari, il tempo lungo per ottenere i permessi di soggiorno, mentre si trascurano i riconoscimenti dei titoli di studio degli immigrati (che pure sono un valore per la nazione) o ancora si rimanda una decisione sullo ius culturae. Intanto la regolarizzazione del 2020 attende in parte di essere ancora espletata. Non è dare sicurezza, anzi esprime la nostra insicurezza».
La vita ha bisogno, «per crescere e generare vita, di casa e di lavoro. Qui la centrale problematica del lavoro povero e della precarietà». Per il Cardinale, che al proposito ha citato la Caritas, «”il decreto lavoro invece prevede strategie di detassazione che, seppur lodevoli, non sono configurabili come una politica dei redditi o di contrasto alla povertà. Senza dimenticare che il decreto prefigura un aumento della durata e dell'applicabilità dei contratti a tempo determinato, nonché l'ampliamento dell'utilizzo dei voucher"». Secondo Zuppi, «non c'è vita degna e non c'è famiglia senza casa. Il piano della costruzione di alloggi pubblici è rimasto abbandonato da anni. Non fu così nei primi decenni del Dopoguerra. Perché l'Italia, da anni, non si fa casa ospitale per le giovani coppie e per chi non ha casa? Può essere utile la riconversione di parte del patrimonio pubblico per l'edilizia popolare. C'è un bisogno di casa a costi accessibili. La protesta degli studenti è una spia significativa di un più vasto disagio silenzioso. Anche il tema del lavoro resta ancora purtroppo al centro delle preoccupazioni di tante persone e senza che all'orizzonte si profilino ancora soluzioni strutturali. La questione coinvolge non solo l'accesso al mondo del lavoro, ma anche la dignità stessa del lavoratore, la sua giusta retribuzione, la parità di retribuzione tra uomini e donne, le garanzie sociali in caso di malattia propria o di un familiare».
Con gli anni è avanzata l'idea di «rivedere l'architettura della casa comune, la Costituzione repubblicana: questa ci richiama a pensarci sempre insieme agli altri. La Costituzione - come più volte ci ha ricordato il Presidente Mattarella - è ispiratrice del vivere insieme per il bene comune. Aggiornare il dettame costituzionale alle nuove esigenze del tempo è un processo che seguiamo con attenzione. Decisivo è il metodo. Per cambiare la Costituzione è necessario ritrovare uno spirito costituente, come fu nel Dopoguerra, in cui tutte le parti sentirono la responsabilità comune: non era momento di lotta politica, ma possibilità di fondare la vita politica del futuro. Un primo banco di prova, come dichiarò il Consiglio Permanente nel settembre scorso, è una legge elettorale adeguata e condivisa».
Capitolo Sinodo: «Il Cammino sinodale, perché funzioni, deve avvenire nell'esperienza concreta, accettando l'imprevedibilità dell'incontro, misurandosi con le domande che agitano le persone e non quello che noi pensiamo vivano, per trovare assieme le risposte. Il Cammino sinodale non corrisponde a una logica interna né mira a un riposizionamento in tono minore, difensivo o offensivo, ma alla compassione di fronte alla grande folla che accompagna sempre la piccola famiglia di discepoli. Non possiamo nascondere che in questa prima fase del Cammino sinodale sono emerse fatiche, in vari ambiti e per varie ragioni: alcune diocesi avevano appena celebrato o erano in piena celebrazione di un Sinodo diocesano e si sono trovate quindi già avanti nel percorso, dovendo aspettare tutti gli altri; alcuni hanno chiesto chiarimenti o hanno persino avanzato dubbi sulla opportunità dello strumento sinodale stesso per affrontare i nodi della vita della Chiesa odierna. Dobbiamo registrare alcune difficoltà nei nostri presbiteri, che ovviamente ci devono far riflettere. Il processo, però, è avviato e procede, grazie alla dedizione di tanti, tra i quali menziono la Presidenza e il Comitato del Cammino sinodale, presieduto da monsignor Erio Castellucci. I referenti diocesani hanno svolto un ruolo decisivo e promettente. Nell'Evangelii gaudium Papa Francesco chiede di “avviare processi, anziché occupare spazi” - ricordato Zuppi - è quanto stiamo facendo, con tutte le fatiche che questo comporta, ma anche con la serenità del contadino che sa che il suo compito è di seminare nel modo giusto perché i frutti matureranno a tempo debito. I processi impongono (ma solo in itinere non in laboratorio!) di identificare le forme necessarie per trarre le indicazioni comuni e necessarie perché l'esperienza cresca e possa coinvolgere tanti. Se alziamo gli occhi e guardiamo, ci accorgiamo come la timidezza e il pessimismo non solo non siano giusti, ma talvolta infondati. Il Cammino sinodale ci educa al discernimento e alla lettura dei segni dei tempi. Insieme: spesso una “coscienza isolata” non arriva a vedere dove invece giunge uno sguardo comunitario e sinodale. Timidezza e pessimismo non sono fondati, perché c'è una chiamata della Chiesa espressa da tanti segni, tante voci, domande e situazioni».
Nell’anniversario di Capaci, il porporato scandisce: «Non possiamo nascondere che il clientelismo se non persino la corruzione o il solo cattivo funzionamento nella amministrazione pubblica costituiscono una piaga, che impedisce di fatto alla comunità civile di vivere in pace». Al contempo, «apprezziamo e sosteniamo l'impegno di quanti svolgono il proprio dovere istituzionale con rigore e, a volte, con grande sacrificio personale. I recenti successi dello Stato nei confronti delle mafie sono da salutare con grande compiacimento. Oggi ricordiamo l'anniversario della strage di Capaci, in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. E quest'anno si compie anche il trentesimo anniversario del discorso di San Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi ad Agrigento. L'intervento fu anche ispirato dall'incontro con i genitori del Beato Rosario Livatino, primo magistrato beatificato, laico di 37 anni, che ha mostrato come si possa cambiare la storia a mani nude e con la giustizia». Al discorso di Agrigento, «seguirono l'attentato mafioso a San Giovanni in Laterano, quando la cattedrale del Papa fu colpita dal terrorismo, fatto unico nella storia, e l'uccisione di don Pino Puglisi, prete che aveva fatto dell'educazione dei giovani il terreno di liberazione dalla mafia». Le mafie «non sono scomparse oggi, anzi si sono estese nel Centro-Nord, dove prosperano largamente anche con metodi e volti in parte mutati. C'è bisogno di una coscienza più ampia del pericolo. Dove il tessuto sociale è slabbrato, lo Stato lontano, la gente sola, disperata, povera, la scuola indebolita, c'è terreno di crescita per le mafie».
Ieri in Vaticano, a margine dell'apertura dei lavori dell’assemblea, il Vescovo di Roma ha salutato Zuppi e alcuni vescovi dell’Emilia Romagna, e ha espresso la sua vicinanza alle popolazioni colpite dall'alluvione. Dopo avere ascoltato il racconto del dramma che stanno vivendo le persone e appreso dei tanti gesti di solidarietà messi in campo, ha chiesto di portare la sua partecipazione alle comunità assicurando la personale preghiera. Lo riferisce l'arcidiocesi di Bologna sul suo sito. All'inizio dell'Assemblea Zuppi ha raccontato quanto accaduto con il nubifragio e le alluvioni, le varie situazioni di difficoltà vissute dalle popolazioni e i tanti gesti di solidarietà e di aiuto. Al termine, il cPorporato insieme al vicepresidente della Conferenza episcopale dell’Emilia Romagna, monsignor Lorenzo Ghizzoni, arcivescovo di Ravenna-Cervia, a monsignor Giovanni Mosciatti, vescovo di Imola, a monsignor Livio Corazza, vescovo di Forlì-Bertinoro, e a monsignor Mario Toso, vescovo di Faenza-Modigliana, ha salutato Jorge Mario Bergoglio in un breve momento di colloquio. Al Papa - hanno affermato i vescovi al termine del saluto - «abbiamo espresso la nostra gratitudine per il suo messaggio di solidarietà dei giorni scorsi sottolineando che abbiamo accolto il suo stimolo per un'ulteriore riflessione sul rispetto del Creato e la custodia della casa comune. Gli abbiamo ricordato che i romagnoli sono tenaci ma le prove si stanno ripetendo troppo spesso e che abbiamo bisogno della sua preghiera e vicinanza». Francesco già nei giorni scorsi, appena informato dell'impressionante disastro che ha colpito l'Emilia-Romagna, specie nelle province della parte orientale, aveva espresso i suoi sentimenti di vicinanza e di viva partecipazione in un telegramma indirizzato a Zuppi, ringraziando tutti coloro che si stanno adoperando per portare soccorso e alleviare ogni sofferenza, e tutte le comunità diocesane per la manifestazione di comunione e fraterna solidarietà alle popolazioni più provate.

Articolo di Avvenire.

Con un pensiero alla Romagna alluvionata e alla necessità della pace («la guerra è una pandemia che ci coinvolge tutti»), il cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Cei, ha aperto la seconda giornata della 77.ma assemblea generale della Cei in corso nell'aula nuova dl Sinodo in Vaticano.
Nelle sue parole anche il grazie dei vescovi al Papa per l'incontro di lunedì e in attesa di quello di giovedì prossimo. L'introduzione, approfondita e dettagliata ha toccato molti temi dell'attualità e della vita della Chiesa in Italia. Innanzitutto il cammino sinodale, giunto - ha detto Zuppi - al giro di boa: "Dalla fase narrativa passiamo a quella sapienziale". Il porporato ha voluto sottolineare inoltre il "rinnovato impegno" contro gli abusi sui minori. Ha invocato "politiche lungimiranti" per quanto riguarda la famiglia, la natalità, l'accoglienza ("accoglienza e natalità non si contrappongono", ha detto). Inoltre "è triste la società della paura. Chiudere le porte a chi bussa è, alla fine, nella stessa logica di chi non fa spazio alla vita nella propria casa". E ha ricordato come "la vita per crescere e generare vita, ha bisogno di casa e di lavoro", denunciando la logica del lavoro povero e della precarietà. C'è inoltre bisogno di casa a costi accessibili. La protesta degli studenti è perciò "una spia significativa di un più vasto disagio silenzioso".
Sulle riforme istituzionali necessarie, "decisivo è il metodo - ha detto il presidente della Cei -. Per cambiare la Costituzione è necessario ritrovare uno spirito costituente, come fu nel Dopoguerra, in cui tutte le parti sentirono la responsabilità comune". Per questo "un primo banco di prova, come dichiarò il Consiglio Permanente nel settembre scorso, è una legge elettorale adeguaata e condivisa".
«In questo momento – ha detto il cardinale – il nostro pensiero va all’Emilia Romagna, piegata dalla furia delle alluvioni, dalle esondazioni dei fiumi e dalle tante frane. L’acqua e il fango hanno mietuto vittime, devastato territori, distrutto abitazioni e aziende, cancellato ricordi e sacrifici. Anche questa volta piangiamo per esserci presi troppa poca cura della nostra Casa comune. Nell’abbracciare la gente dell’Emilia Romagna, che ha rivelato tanta solidarietà e laboriosità, ringrazio quanti – istituzioni, Forze dell’Ordine, Protezione Civile, volontari – si stanno prodigando per portare aiuto concreto e consolazione, fino ai luoghi più isolati. Un grazie anche ai sacerdoti, alle parrocchie e agli Istituti religiosi, ai tanti volontari che generosamente e spontaneamente si sono organizzati per aiutare in questo vero e proprio “ospedale da campo”. Tra di loro vi sono molti ragazzi e giovani che hanno deciso di dare una mano in modo concreto, per alleviare le sofferenze con la lor forza e la loro speranza. L’impegno è mantenere lo stesso spirito di solidarietà e di comunità nei prossimi mesi e forse anni per riparare quanto la furia delle acque ha rovinato».
Quanto alla pace, Zuppi ha notato: «Per noi la pace non è solo un auspicio, ma è la realtà stessa della Chiesa, che germina – come il segno di pace – dall’Eucaristia e dal Vangelo. La Chiesa e i cristiani credono nella pace, siamo chiamati a essere tutti operatori di pace, ancora di più nella tempesta terribile dei conflitti. Durante la Seconda Guerra mondiale la Chiesa era tra la gente e sul territorio. Proprio tra pochi giorni ricorderemo i sessant’anni della morte di San Giovanni XXIII, che visse due guerre e attualizzò con efficacia il messaggio pacifico della fede con la Pacem in terris, cominciando a rivolgersi agli “uomini di buona volontà”. Siamo il popolo della pace, a partire da Gesù che è la nostra pace. Lo siamo per la storia del nostro Paese, per la sua collocazione nel Mediterraneo, cerniera tra Nord e Sud, ma anche tra Est e Ovest. Lo siamo – mi sembra – per le radici più profonde e caratteristiche del nostro popolo. Come cristiani italiani, con il Papa, siamo chiamati a una fervente e insistente preghiera per la pace in Ucraina e perché “si affratellino tutti i popoli della terra e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace” (Pacem in terris, 91).
Preghino tutte le nostre comunità intensamente per la pace! L’impegno di intercessione cambia la storia, come diceva Giorgio La Pira. C’è una cultura di pace tra la gente da generare e fortificare».
Zuppi ha fatto anche un bilancio di quanto compiuto fin qui e indicato la direzione dell'ulteriore tratto del cammino. "Le tante attese che l’incontro suscita chiedono la rivisitazione di tanti nostri modi, un cambio di paradigma per incontrare, ascoltare, prendere sul serio, stabilire relazioni personali nelle quali tutti dobbiamo essere coinvolti". Non "la freddezza del funzionario", dunque, ma neanche "l'omologazione".
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