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Così è cambiata la casa nell’ultimo secolo

Scritto da La Stampa.

Articolo della Stampa.

Se osservate la foto delle protagoniste della conferenza stampa inaugurale, tutte al femminile, vedrete che “Home Sweet Home”, nuova mostra della Triennale Milano, è diversa dalle altre. Due sono gli obiettivi principali: rilanciare il senso “politico” della progettazione sotto il cappello critico della “cura”, pratica “di trasformazione” che muove dai nuovi bisogni in tema di abitazione; e sdoganare l’azione delle progettiste emergenti, decise a far sentire la propria voce nei confronti del sistema, storicamente maschile e maschilista.
E non è un caso che la Triennale celebri il centenario con questa mostra “di rottura” degli schemi e della tradizione. Al contrario, un segnale di ritrovata vitalità critica che, a ben vedere, è un ritorno alle origini, visto che nel Novecento rappresentava la piattaforma privilegiata della riflessione, del dibattito e della memoria collettiva legata a design/architettura all’insegna del dialogo con le altre discipline.
Allestita da Captcha Architecture, la rassegna «riflette sull’idea di casa e di abitare, da sempre temi privilegiati della ricerca di Triennale», spiega Nina Bassoli, neocuratrice per architettura, rigenerazione urbana e città dell’ente. Sì perché la casa dovrebbe essere un diritto ma troppo spesso non lo è. E ogni riferimento alla protesta degli studenti contro il caro-affitti a Milano (e in altre città) è voluto: «Siamo solidali con la lotta studentesca. La nostra mostra è politica ma con leggerezza, nel senso che l’architettura è una pratica che deve portare alla felicità e al benessere, ma per farlo occorrono dei principi, delle linee guida, anche politiche».
Decretando la fine dell’era degli archistar e dell’architettura sensazionalista, “Home Sweet Home” riparte dallo spazio domestico alla luce dei cambiamenti radicali del nostro tempo: la trasformazione dei ruoli di genere, l’evoluzione del rapporto con la natura, l’influenza debordante della tecnologia. Per esplorarli, Bassoli e Captcha hanno ideato un percorso in dieci ambienti site-specific, grazie alle installazioni di alcuni top studi di architettura, gruppi e centri di ricerca internazionali, come i londinesi di Assemble Studio, la paesaggista francese Céline Baumann, la designer Matilde Cassani, il Canadian Center for Architecture (CCA), il gruppo di ricerca Dogma; lo studio di architettura catalano Maio, il collettivo Sex and the City e i lavori dell’architetta siciliana Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, e quelli di due vincitori del Pritzker Prize, Lacaton & Vassal Architectes e Diller Scofidio + Renfro.
Questi ambienti dialogano con cinque sezioni storico-tematiche, che nascono dalle incursioni negli archivi storici di Triennale. Di fatto, “Home Sweet Home” è «una mostra di mostre sulla casa, sismografo dei cambiamenti del vivere – spiega Bassoli –. Residenza e lavoro, maschile e femminile, produzione e riproduzione, spazio pubblico e privato sono oggi temi imprescindibili per ogni riflessione sulla progettazione dell’ambiente domestico». Inclusione, gender free, sostenibilità: ecco alcune delle nuove, o riconfermate, parole d’ordine del tempo.
Allestita nel secondo piano di Triennale senza confini disciplinari ma all’insegna del confronto con sociologia, fotografia, antropologia e scienza, la mostra svela i suoi intenti con l’installazione di Maio dedicata a una cucina collettiva da impiantare nei quartieri disagiati. Un po’ come una volta nei borghi si faceva il pane per tutta la comunità. Liberatoria è “Caro, bastava chiedere” di “Sex and The City”, che indaga l’iconografia novecentesca sulla casa al maschile e al femminile per scoprire come le donne siano sempre state associate agli arredi e agli elettrodomestici, mentre gli uomini ai consigli di amministrazione, alle cariche e al potere.
Proseguendo, “Casa ludens” di Gaia Piccarolo esplora il relax e la cura di corpo e anima; “La natura è di casa” di Annalisa Metta osserva invece il rapporto tra natura e spazio domestico, mentre “Abaco di finestre”, concept di Maite García Sanchis, affronta il tema della finestra come dispositivo di mediazione ambientale e controllo. Per finire, “Trasformare, non demolire” è un focus sulle trasformazioni dei Grands ensemble francesi a opera di Lacaton & Vassal: un manifesto ecologico e politico della cura per una nuova vita oltre la demolizione e il consumo sfrenato di suolo e pianeta.
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