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Comunità e imprese che sanno mobilitare le risorse sociali

Scritto da Aldo Bonomi.

Articolo di Aldo Bonomi pubblicato da Il Sole 24 Ore.

Guardando al triangolo industriale fatto da città medie come Bergamo, Vicenza e Parma ci si accorge di quanto sia questione la transizione urbana nel rapporto tra città e impresa.
La sostenibilità diventa termine chiave per qualificare l’insostenibilità dei territori nel loro essere costruzione sociale in divenire.
L’ambiente diventa tema di civilizzazione, la formazione non è solo questione di mismatch tra domanda e offerta di lavoro, ma è anche l’interrogarsi sul senso del lavoro e del fare impresa, il disagio sociale e gli ultimi non sono semplici esternalità sociali, ma contesti da includere con reddito e senso. Le imprese stanno andando oltre le mura dell’impresa per occuparsi delle condizioni di riproducibilità dell’ambiente e dell’umano, operando anche nella piattaforma sociale. Cito qui due esempi, non a caso portati avanti da donne con ruoli di vertice in aziende collocate nell’urbano regionale manifatturiero. Il progetto Giano, incardinato sulla Fondazione Altovi di Thiene che è stato attivato a Cartigliano, comune polvere dell’alto vicentino di 3.700 abitanti, 402 unità locali con 1.620 addetti. Microdistretto emblematico della pedemontana veneta dove si è rotto l’equilibrio tra il fare impresa e l’abitare. Qui un gruppo di imprenditori di vari settori produttivi dall’impresa manifatturiera alle reti minute del commercio appartenenti alle generazioni entranti ha deciso di mobilitarsi per agire sulla qualità della vita e del rifare Paese. Preso atto che occorre ripensare e rendere sostenibile i tradizionali presidi pubblici di welfare, sono state messe a punto misure atte ad alleggerire il carico di cura vissuto dalle famiglie che diventa spesso insostenibile tra vita e lavoro. Il progetto, che aiuta le famiglie alle prese con gli alti costi e l’offerta scarsa di servizi per i bambini, ha innescato percorsi di coinvolgimento di 20 imprese e di altri 30 sostenitori, attivando gruppi di volontari a cui vengono affiancati educatori in rete con le associazioni sportive. È il senso di una comunità chiamata a mobilitare le proprie risorse sociali per abbassare lo stress dei luoghi di riproduzione sociale, rischiando di lasciare ai margini la componente femminile. Non è solo questione di mercato del lavoro visto dalla domanda, è anche questione di diritto all’autonomia economica delle donne madri lavoratrici per evitare processi di marginalizzazione sociale. Non si è trattato di un percorso privo di resistenze come ricordato da Ilenia Cappeller (della Cappeller Spa azienda operante nelle minuterie metalliche con 160 addetti) animatrice dell’iniziativa: da parte della comunità chiusa del tempo che fu, poi dagli imprenditori fermi alla vecchia divisione di ruoli tra pubblico e privato. Da tante adesioni tiepide si passa dalla delega alla partecipazione diretta in ragione del senso di gratificazione e utilità percepita. Nella piattaforma emiliana ci dicono: «A ghem bisogn ad baghèt’, abbiamo bisogno di ragazzi». Così si è espresso Daniele Galavotti imprenditore del mirandolese, riprendendo le parole del fondatore del distretto Mario Veronesi, di fronte all’erosione occulta della base sociale dei giovani sui quali si reggono le future sorti del distretto biomedicale formato da 300 aziende, di cui 100 medie e grandi con circa 5mila addetti concentrati a Mirandola (25mila abitanti) e nei comuni limitrofi. Anche qui le imprese si mangiano gli abitanti. Ed è così che è nato il gruppo #WeCare, a cui oggi aderiscono sedici imprese (del biomedicale, ma non solo) in rete con cittadini e istituzioni per il sostegno della socialità e dei servizi rivolti ai più piccoli e ai giovani studenti o lavoratori. È un’iniziativa che si inscrive nell’onda lunga del sisma del 2012 e del Covid.
Sono state ricostruite abitazioni e capannoni, rimessi a nuovo i centri storici e le scuole, ma mancano ancora i luoghi della socialità: per rimettere in moto la comunanza dei giovani duramente colpiti dall’isolamento pandemico. Tocca anche agli imprenditori e a manager come Valentina Bianchini riallacciare con i giovani il discorso perduto del senso e del significato dell’abitare e del lavoro come fiducia nel futuro. Così com’è questione che riguarda l’impresa, la qualità della vita di una composizione sociale del lavoro giovanile di nuova cittadinanza, attirata dalle opportunità di quello che resta: il distretto biomedicale più importante d’Europa. Dove si fatica a trovare casa o la disponibilità di un asilo nido. Questa consapevolezza ha portato #WeCare a organizzare iniziative a sostegno degli asili nido di Mirandola, a confrontarsi con i ragazzi delle scuole medie della città, accingendosi a programmare momenti di animazione e riflessione. Prossimi alla motor valley si inviterà anche il team Ducati a fare racconto. Sono due casi di “rammendo sociale” del territorio. A Cartigliano un microdistretto si fa distretto sociale evoluto, a Mirandola un grande distretto della piattaforma emiliana si fa piattaforma sociale.
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