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In mostra i banchieri mecenati

Scritto da La Stampa.

Articolo pubblicato da La Stampa.

Mostra piena di inaspettati spunti divertenti quella in corso alle Gallerie d’Italia. Dopo i fasti del Grand Tour e le magnificenze dei marmi Torlonia, questa volta l’attenzione punta sull’attività dei banchieri mecenati, dal Rinascimento fin quasi a oggi, con il caso esemplare di Raffaele Mattioli (“Dai Medici ai Rothschild. Mecenati, collezionisti, filantropi”, a cura di Fernando Mazzocca e Sebastian Schütze).
Siamo in casa Intesa Sanpaolo, cioè nella sede ideale per sottolineare come i banchieri, contro i pregiudizi che li vogliono aridi e senza cuore, abbiano contribuito nei secoli a finanziare pure il bello e il buono. Ma al di là del piacere estetico provocato dalle oltre 120 opere in mostra, provenienti anche dalla National Gallery di Londra, dal Louvre di Parigi, dalla Morgan di New York, dall’Albertina di Vienna e dallo Staatliche Museen di Berlino, se ne esce soprattutto con decine di storie interessanti sugli uomini che contribuirono a creare collezioni leggendarie.
Ci sono un “San Girolamo” di Caravaggio, un rilievo di Michelangelo (la “Madonna della Scala”), ritratti di Antoon van Dyck, un Gherardo delle Notti, pregevoli Verrocchio, disegni di Tiepolo, un ritratto di Lorenzo il Magnifico del Bronzino e un Giorgio Morandi inedito legato appunto all’attività del mecenate Mattioli. Ma il merito principale dei curatori e di Gallerie d’Italia sta, come in altre occasioni, nella capacità di organizzare le opere secondo un’ottica originale, che ricostruisce la storia del gusto e la funzione dell’arte anche come strumento di affermazione sociale.
Il percorso si apre con un ingrandimento sui Medici, passati dal banco al potere politico, e con un gran quadro ottocentesco di Amos Cassioli, dove Lorenzo è raffigurato mentre mostra i suoi tesori a un Galeazzo Sforza visibilmente invidioso: l’opera non è un capolavoro, ma testimonia un’atmosfera e ci racconta una storia interessante.
Altri episodi pittoreschi si intrecciano, l’uno dopo l’altro. La storia dei Giustiniani di Genova, poi passati a Roma, grandi scopritori di Caravaggio. Quella di Everhard Jabach, rampollo di una famiglia di mercanti e banchieri di Colonia, che fece furore alla corte del Re Sole come conoscitore e accumulatore di quadri. Le figure del banchiere calvinista di Mühlhausen Moritz von Fries e dei suoi discendenti, che dopo una carrierona sotto gli Asburgo andarono a rotoli con le guerre napoleoniche. O quella di Joachim Heinrich Wilhelm Wagner di Berlino, che nel 1861 lasciò i suoi tesori a Guglielmo I di Prussia, col vincolo di fondare una galleria nazionale.
Il primo che guardiamo dritto negli occhi, in un dagherrotipo e non in un dipinto d’occasione, è Heinrich Mylius, nato a Francoforte ma milanese d’adozione, straordinaria figura di illuminista con venature cristiane che mise in contatto meravigliosamente Goethe e Manzoni, Schiller, Vincenzo Monti e Carlo Cattaneo.
E poi i Rothschild, con Nathanial maniaco del Settecento francese e il loro immenso patrimonio artistico sequestrato dal Terzo Reich e solo faticosamente restituito dall’Austria dopo la fine della guerra. Si finisce nel nome del banchiere umanista Raffaele Mattioli: sono esposti, oltre al Morandi cui facevamo cenno, il “Largo di Napoli” di Gaspar van Wittel che teneva nel suo studio e anche una commovente lettera di Carlo Emilio Gadda, a testimonianza dei suoi profondi interessi letterari.
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