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Il PD ha pagato lo stare al Governo in tempo di crisi

Scritto da Piero Fassino.

Intervista del Riformista a Piero Fassino.

Ultimo segretario dei Ds, più volte ministro, fondatore del Pd, già sindaco di Torino, parlamentare Dem. Una storia nella sinistra. La parola a Piero Fassino.
Pd, identità va cercando. Una parola che in molti usano ma che in pochi declinano. Provi lei.
Ho l’impressione che attorno a questa parola, identità, si stia sviluppando un dibattito molto ideologico. L’identità del Pd è quella di un grande partito progressista, analoga all’identità che hanno i partiti che appartengono al campo progressista e riformista in Europa e nel mondo.
Un partito ispirato da valori di pace, giustizia sociale, uguaglianza, democrazia, tutela di ogni forma di libertà, parità di genere, sostenibilità. Il Pd, pur con la sua specificità data dalle modalità con cui è nato e dalla sua storia peculiare, è l’analogo in Italia di quel che è la Spd in Germania, il Labour in Inghilterra, il Partito socialista spagnolo, il Partito socialista portoghese, tant’è che siamo membri del Partito Socialista Europeo e del Gruppo Socialista al Parlamento europeo. Questa è la nostra identità. Il Partito democratico è nato dall’incontro di due culture e storie popolari, dei Ds e della Margherita. Questo loro incontro è stato arricchito da altre culture che sono entrate a pieno titolo nel Pd, penso alla cultura ambientalista, ai diritti civili, ai valori che esprime il movimento di liberazione delle donne. Questa è la nostra identità. Il tema vero è come tradurla in un’azione politica che individui gli obiettivi con cui dare concretezza e sostanza a quei valori.
Lei ha evocato una “Epinay” italiana per il Pd. Ma questo non significa costruire dal basso una nuova stagione della sinistra invece che iniziare dal “tetto”, cioè dalle candidature alla segreteria?

Intanto Epinay non fu un movimento dal basso. Epinay fu un congresso di rifondazione del socialismo francese sull’onda dei movimenti del ‘68 e per dare una risposta di sinistra alla crisi del gollismo. Mitterrand, che non era socialista ma repubblicano, chiamò a raccolta le diverse componenti dell’arco progressista francese con la sola esclusione dei comunisti. Si rivolse ovviamente ai socialisti, ma chiamò anche i cristiano sociali di Delors, i socialrepubblicani e altri movimenti e circoli del campo progressista transalpino. E li riunì in un atto di fondazione di un Partito che si chiamò Partito socialista, ma che aveva al proprio interno diverse componenti culturali progressiste. Io penso che il congresso costituente del Pd debba avere la stessa ambizione…
Vale a dire?

Quella di non essere soltanto il congresso del Pd e dei suoi iscritti, ma anche a pieno titolo di coloro che, oggi non iscritti al Pd, in questo Partito si riconoscono, perché ne sono elettori o perché ne condividono i valori e la politica o perché avvertono l’esigenza di avere in Italia un grande partito progressista, democratico, riformista e vogliono concorrere a fondarlo. Un congresso costituente che segni l’avvio di un secondo ciclo di vita del Pd. Il primo ciclo iniziò nel 2007 quando abbiamo fondato il Partito Democratico. Quindici anni in cui via via abbiamo dato al Pd un profilo, una soggettività sempre più distinta dai partiti che gli hanno dato origine. Quando nacque il Partito Democratico era “figlio” dell’incontro tra Ds e Margherita e nei primi anni di vita molto influenzato dai suoi “genitori”. Poi mano a mano che negli anni il Pd è cresciuto, si è affrancato sempre di più da una dipendenza dalle origini per affermare una propria personalità. Tant’è vero che già oggi noi abbiamo molti sindaci, dirigenti del Pd che non vengono né dai DS né dalla Margherita ma che sono, per usare una espressione di Bersani, dei “nativi” del Partito democratico. Questo ciclo è arrivato in qualche modo a conclusione.
E adesso?

Adesso si tratta di aprire un ciclo del tutto nuovo, in cui il Pd viva davvero e compiutamente di vita propria e sia capace d’incontrare un consenso largo nel paese. E questo è il primo obiettivo del congresso costituente.
E il secondo?

Scegliere una leadership capace di far vivere e radicare il nuovo Pd. Il processo costituente inizia adesso ma dovrà continuare anche oltre il congresso perché il percorso di rigenerazione del Pd, nei suoi contenuti, negli obiettivi, nelle forme organizzative, nella sua classe dirigente, non è che si compie nel giro di due mesi. In due mesi si avvia un processo che culmina con le primarie nella scelta di un leader. Poi sarà responsabilità di quel leader continuare questo processo per dare vita a quello che abbiamo definito un “nuovo Pd”. Insomma il segretario del nuovo Pd dovrà essere un “ricostruttore”. Ma anche un “federatore”. Sí perché noi pensiamo a questo nuovo Pd come perno essenziale di un’alleanza progressista. Quel che ci ha detto il risultato elettorale del 25 settembre è molto chiaro. La destra ha vinto con 12 milioni di voti. Le tre forze politiche di opposizione che si riconoscevano in un campo progressista hanno raccolto 16 milioni di voti, ma non hanno vinto perché divise. E quindi il problema è come si ricostruisce un’alleanza. Il Pd che nascerà da questo percorso costituente deve avere l’ambizione di essere anche un soggetto “federatore” promuovendo la ricomposizione di un quadro progressista ampio, in grado di competere con la destra con la possibilità di vincere le prossime elezioni.
Enrico Letta ha evocato, invocato, un Partito Democratico “pugnace”. Ciò significa che prima non era tale e che ha sacrificato molto del suo appeal, anche elettorale, sull’altare della governabilità a tutti i costi?

L’Italia ha vissuto un quindicennio di continue criticità. Tra il 2008 e il 2015 la prima vera crisi della globalizzazione che, partita dagli Stati Uniti, ha investito pesantemente i paesi industriali e anche l’Italia. Poi abbiamo avuto tre anni di Covid e mentre non ne siamo ancora fuori del tutto è arrivata la guerra con le sue conseguenze. Questo lungo tunnel di criticità ha suscitato inquietudine, ansia, preoccupazione, soprattutto in chi ha visto venir meno le sue certezze di vita, di lavoro, di reddito. Un pezzo di società non si è sentito più rappresentato, tutelato, né padrone della propria vita e ha cercato rassicurazioni come accade a chiunque si senta inquieto e abbia paura del futuro. E nella ricerca di rassicurazioni questa parte sempre più estesa di società, milioni di persone, si è spostata continuamente di referente elettorale. Un fenomeno nuovo per la politica italiana. Nell’arco di un decennio, dal 2013 al 2022, un terzo degli elettori ha cambiato voto ad ogni elezione: 25% ai 5Stelle nel 2013; 40% al Pd di Renzi nel 2014; 32% al M5S nel 2018; 34% alla Lega nel 2019; 26% a Fratelli d’Italia nel 2022. Chi cerca rassicurazioni le vuole subito. E se non le riceve subito via via sposta l’interlocutore della sua richiesta.
Perché il bisogno di rassicurazione non si è indirizzato verso il PD?

Perché il Partito Democratico negli ultimi dieci anni si è fatto carico della governabilità di questo paese. Dal 2011 e fino alle elezioni del settembre 2022, non abbiamo più avuto governi nati sulla base di esiti elettorali di alternanza. Tutti i governi che si sono formati in questo decennio erano “anomali” nella loro composizione perché in nessuna delle elezioni svolte dal 2013 al 2022, è uscita dalle urne una maggioranza autosufficiente. E così si è dovuto sempre ricorrere a convergenze obbligate. In quel scenario il Pd si è fatto carico di garantire la governabilità. Ma chi non si sente rappresentato, tutelato e cerca rassicurazioni, non si rivolge a chi governa perché pensa che le sue insicurezze siano imputabili a chi governa. E le cerca invece rivolgendosi a chi si presenta di volta in volta come altro, fuori dal sistema.
Ha fatto bene o male il Pd a farsi carico della governabilità del Paese in fasi di grande precarietà economica e politica?

È una domanda legittima che nel dibattito congressuale tornerà e vedremo come ciascuno risponderà. Certo, elettoralmente abbiamo pagato la nostra responsabilità. Ma con grande onestà intellettuale va anche detto che se il Pd non si fosse fatto carico di garantire la governabilità, l’Italia avrebbe conosciuto momenti molto critici. Senza il Pd il governo Draghi non sarebbe nato. Ma anche i governi Monti, Letta, Renzi e Conte 2, tutti sostenuti da maggioranze di convergenza. La cosa sconcertante che va ricordata è che tutti questi governi “anomali” succedutisi nell’arco di un decennio, erano formati da maggioranze larghe che nel giro di qualche mese evaporavano e a reggere quei governi rimanevamo solo noi. E forse bisognerebbe chiedere conto di quelle esperienze non solo al Pd, ma anche a quei partiti che all’inizio la fiducia la votavano e poi lungo il percorso si smarcavano. Tuttavia non credo che serva più di tanto un dibattito retrospettivo. Il tema vero adesso è come ricostruire le condizioni di una democrazia dell’alternanza vera. Il 2022 ce l’ha data. La destra ha vinto le elezioni e governa. Compito del Pd sarà promuovere la costruzione di un’alleanza progressista in grado di competere per la guida del Paese. Un’alleanza che sfidi la destra, vinca le elezioni e governi con una maggioranza autosufficiente.
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