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Parità cercasi

Scritto da Il Sole 24 Ore.

Articolo pubblicato da Il Sole 24 Ore.

Sono sempre minoranza, difficilmente accedono ai ruoli apicali e sono pagate meno dei colleghi uomini che fanno lo stesso lavoro. A dispetto di quel che potrebbe sembrare guardando alle iscrizioni alle facoltà umanistiche, neanche la cultura è un paese per donne. Dall’arte al cinema, la parità è ancora un miraggio.
A rimettere insieme i dati italiani più recenti sul gender gap nei diversi ambiti culturali, con un focus specifico sul cinema e l’audiovisivo, è il primo rapporto annuale “La questione di genere tra immaginario e realtà”, curato dall’Osservatorio per la parità di genere interno al ministero della Cultura (presieduto da Celeste Costantino e composto da altri 14 esperti, tra cui Cristina Comencini, Linda Laura Sabbadini, Stefano Accorsi, Cristiana Capotondi ed Eleonora Abbagnato) e presentato il 22 novembre.
Le 62 pagine del rapporto, realizzato dopo sette riunioni e 20 audizioni, prendono le mosse da un’istantanea scattata all’interno, ossia al ministero stesso. Che “brilla” per numero di donne in organico: sono il 59% del totale del personale in servizio presso l’amministrazione centrale e periferica, pari a 10.844 unità, il 53% della dirigenza, il 56% dei nuovi assunti nel 2021. Non esiste un problema di accesso, dunque, merito anche della buona affermazione delle donne ai concorsi pubblici. Esistono, però, «difficoltà» che riguardano «l’organizzazione del lavoro, i processi istituzionali, la cultura dell’amministrazione, le pratiche di gestione». «Un’isola felice» - è la sintesi - «dentro una struttura che però è e rimane maschile».
Fuori, nella galassia della produzione culturale italiana, il quadro è peggiore. Dall’arte al balletto al teatro, poco cambia: l’ideazione artistica e le direzioni sono quasi sempre nelle mani degli uomini, lo squilibrio nelle retribuzioni è trasversale alle discipline e nell’ultimo triennio è aumentato invece che diminuire. Una regista guadagna circa un terzo in meno di un collega uomo, una sceneggiatrice un quarto in meno. Ed è una magrissima consolazione sapere che anche all’estero le disuguaglianze nel settore culturale e creativo sono profonde.
Nel mondo del cinema e dell’audiovisivo, le lavoratrici sono in maggioranza soltanto nei costumi (82%), nel trucco (73%) e nella scenografia (58%). Nella regia dei lungometraggi il rapporto tra donne e uomini è di uno a dieci. Nella sceneggiatura, nel montaggio e nella produzione è di uno a quattro. Va ancora peggio nella fotografia, nella musica e negli effetti speciali: le donne che se ne occupano sul set sono tra il 10 e il 16%.
Una fotografia della situazione nel cinema italiano è arrivata dalla ricerca dell’associazione “Women in film, Television & Media Italia” presentata nel 2019, in occasione della firma, da parte della Biennale di Venezia e di altri festival, di una lettera di impegno sulla trasparenza dei dati. Dal 2008 al 2018, il periodo oggetto di analisi, la presenza femminile è stata del 15% e diminuisce all’aumentare del budget e della durata dei prodotti. Anche l’Osservatorio europeo sul cinema e la fiction per la Tv segnala come l’Italia sia più indietro di almeno 5 punti rispetto alla media europea.
Secondo un’indagine condotta dal collettivo Amleta, la media nazionale della presenza femminile nei teatri italiani è del 32,4%, le registe sono il 21,6%, le drammaturghe il 20,7%. «Le narrazioni che vanno in scena - recita il rapporto - sono realizzate principalmente da uomini». Se si isolano i palcoscenici principali, le percentuali si abbassano ancora, con le registe che scendono al 17,1% e le drammaturghe al 14,6%. Si chiama «sipario di cristallo»: la presenza delle donne diminuisce avvicinandosi alle posizioni apicali. Nella musica e nell’arte non va meglio, anche se mancano dati strutturati.
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