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Le piattaforme web rispondano della disinformazione

Scritto da Il Sole 24 Ore.

Articolo pubblicato da Il Sole 24 Ore.

Tra gli strumenti tecnologici in evoluzione che hanno preso il sopravvento sulla nostra vita quotidiana il consumo di informazioni digitali è quello che ha avuto più slancio. (...) A luglio 2022 ci sono circa 4,7 miliardi di utenti di social media in tutto il mondo. (...) La tecnologia digitale ha contribuito a un accesso più ampio alle informazioni e a una più rapida diffusione dei temi di attualità. Benché questa sia un’impresa notevole per la nostra società, comporta anche un maggior rischio di disinformazione.
Un sondaggio del 2019 del Center for International Governance Innovation (Cigi) che comprende almeno 25mila utenti di Internet in 25 Paesi, ha rivelato che l’86%1 è stato vittima di fake news, principalmente su Facebook. Secondo il World Risk Poll del 2019 della Lloyd’s register foundation, il 57%2 degli utenti di Internet del mondo è preoccupato per la circolazione di notizie false. La Harvard Kennedy School Misinformation Review 2022, inoltre, ha raccolto risposte in 142 Paesi e ha rilevato che il 58,5% degli utenti di Internet è preoccupato per la disinformazione. Secondo una ricerca pubblicata dall’American Journal of Tropical Medicine and Hygiene all’inizio del 2020, quando la pandemia di Covid-19 terrorizzava il mondo, almeno 5.800 persone sono finite in ospedale a causa delle false informazioni sul coronavirus che circolavano sui social media. Nei primi tre mesi del 2020, almeno 800 persone sono morte a causa della disinformazione.
Gli utenti online possono essere esposti alla disinformazione attraverso tattiche di social engineering che fuorviano l’opinione pubblica e causano divisioni – spesso in modo aggressivo. Un ottimo esempio di questo è lo scandalo Cambridge Analytica, che ha avuto accesso ad almeno 50 milioni di profili Facebook4, ha profilato attraverso un’analisi psicografica i potenziali elettori e ha influenzato gli elettori del Regno Unito in favore della Brexit, fornendo contenuti manipolatori. Analogamente, durante la campagna elettorale statunitense del 2020, l’algoritmo di Facebook non è stato in grado di individuare 100 pagine note per fare disinformazione sulle elezioni e che hanno ottenuto oltre 10,1 miliardi di visualizzazioni. Un altro esempio recente è quando, all’inizio del 2022, circolava sui social media un video deepfake del presidente Volodymyr Zelensky in cui affermava che l’Ucraina si era arresa a Mosca durante l’invasione russa.
Un’altra cosa che affligge il mondo virtuale sono gli spambot, che causano i milioni di commenti ripetitivi che si possono trovare online, ma con account utente diversi. Gli spambot sono responsabili della diffusione di contenuti web diffamatori e del furto di informazioni personali, il tutto con il pretesto di una pubblicità ingannevole. Allo stesso modo il business dei “mi piace” falsi, che genera follower falsi su pagine e piattaforme, dà agli utenti l’impressione sbagliata. Sebbene i “mi piace” falsi non siano etici, in realtà sono legali in numerosi Paesi. Alcune società di marketing digitale possono promuovere volontariamente delle informazioni fuorvianti e accrescere il coinvolgimento per i propri clienti in cambio di denaro. Nel 2022, un’azienda di marketing digitale con sede in Bangladesh gestiva due dei più grandi gruppi Facebook di camionisti no vax del Canada, oltre 170mila membri, nel pieno delle dimostrazioni contro i vaccini.
Queste preoccupazioni sulla disinformazione e sulla privacy dei dati sono giunte fino ai policy maker, con i leader dei giganti della tecnologia chiamati al Congresso per essere interrogati – Mark Zuckerberg di Facebook e Sundar Pichai di Google, per citarne due. Diversi Paesi hanno reagito bene alle crescenti preoccupazioni sulle informazioni false e potrebbero fissare uno standard per altri.
La legge tedesca NetzDG, approvata nel 2018, obbliga le piattaforme online a rimuovere i contenuti potenzialmente dannosi e illegali entro 24 ore dalla pubblicazione per non rischiare di incorrere in una sanzione fino a 50 milioni di euro. Analogamente, la Commissione elettorale australiana ha informato Facebook e Twitter che sono obbligati a garantire la conformità delle notifiche in merito alle inserzioni illegali. Le pubblicità elettorali che circolano in Australia, infatti, sono tenute per legge alla trasparenza riguardo ai loro autori e finanziatori.
Il Canada ha il disegno di legge C-76, una norma concepita per spingere le aziende tecnologiche ad adottare un approccio trasparente alle politiche di tutela della disinformazione e della pubblicità. Singapore, inoltre, nel 2019 ha approvato una legge che criminalizza le fake news, in base alla quale chiunque condivida informazioni false rischia il carcere fino a cinque anni e una multa fino a 37mila dollari. La multa e la pena detentiva possono raddoppiare, se le fake news sono generate tramite un bot o un account online falso. Poiché sempre più persone sono esposte a una vasta gamma di media digitali indipendenti, diventa difficile per gli utenti di Internet accertare la validità e l’attendibilità delle informazioni. Ingannare il pubblico è diventato abbastanza facile, da piccole truffe alla propaganda su larga scala per creare instabilità (...).
I governi devono stabilire delle norme e approvare delle leggi secondo le quali gli organi di informazione, le piattaforme di social media e i giganti della tecnologia sono da ritenersi responsabili della disinformazione. Gli strumenti di advocacy e sensibilizzazione messi in atto dai governi devono essere accompagnati dalla competenza e dall’opinione di esperti chiave e del pubblico più vasto.
In ultima analisi, la disinformazione può essere contrastata attraverso una ricerca e un’autenticazione attendibili, applicate usando un approccio dal basso verso l’alto. È giunto il momento che le persone si rendano conto che anche le informazioni false sono una truffa.
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