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Italia e Europa dopo la crisi del governo Draghi

Written by Patrizia Toia.

Articolo di Patrizia Toia.

Ciò che è successo nel governo italiano è imperdonabile, sia sotto il profilo della serietà e dell’etica in politica, sia nei confronti dei cittadini italiani che nei confronti dell'Unione Europea.
Infatti, gli effetti disastrosi della crisi che ha portato alla caduta del governo Draghi non sono solo nazionali, ma investiranno anche l'Europa, rischiando di condizionarne pericolosamente il futuro e proprio nel momento di scelte fondamentali per il nostro continente.
Le responsabilità sono chiare: il Movimento 5 Stelle di Conte apre la crisi, non votando un importante decreto.
Da lì, dopo l'appello di Draghi in Parlamento per un'esplicita assunzione di responsabilità da parte delle forze politiche, in modo da fare chiarezza e poter continuare in uno spirito di interesse comune del paese, assumendosi ciascuno le proprie responsabilità, ecco che ci hanno pensato Lega e Forza Italia a concludere l'operazione.
La sorpresa, tra le altre, in una vicenda tanto colpevole quanto imperdonabile, è proprio il ruolo giocato da Forza Italia, un partito in passato moderato, anche a livello Europeo, ma che ora, per scelta di Silvio Berlusconi, ha seguito supinamente i movimenti nazionalisti e populisti.
La crisi ed il suo epilogo sono così gravi e nefasti che oggi nessuno se ne assume esplicitamente la responsabilità, ed anzi ognuno dei colpevoli tenta maldestramente di attribuire al Presidente Draghi qualche parte in causa.
La figura di Draghi ed il suo operato rimangono intonsi ed eccellenti. La chiarezza del Presidente nel discorso al Senato, le sue parole ed il suo rigore, nonché l'autorevolezza ed il valore del suo lavoro rimangono un bene di cui il paese avrebbe potuto e dovuto giovarsi più a lungo.
Ciò che più sgomenta ogni persona di buon senso, è che proprio dell’operato di Draghi avremmo avuto bisogno in un momento storico dove la crisi energetica, la carenza di materie prime, il perdurare del conflitto in Ucraina e l'incertezza sull' andamento della pandemia creano un mix molto pericoloso.
Come dimostrato dalle previsioni estive della Commissione dello scorso 14 luglio, che ci attribuiscono una crescita maggiore del previsto per il 2022, il paese si stava finalmente riprendendo. Ma ora la minaccia del prossimo anno, con il previsto rallentamento e la presenza di una crescente inflazione rendono tutto più difficile.
Non è certamente solo una questione macroeconomica, ma anzi è una questione che incide gravemente sulla vita di tutti i giorni di ogni cittadino, intaccando la sua capacità di spesa e quella del suo nucleo familiare, in un momento in cui i salari non crescono e rimangono stagnanti.
Il recente rialzo dei tassi di interesse potrà raffreddare l’inflazione, ma renderà più difficile la situazione del nostro bilancio ed il pagamento sugli interessi del debito pubblico. Contemporaneamente, la BCE ha varato un Meccanismo Anti Spread (TPI) che può costituire una garanzia per il futuro per l’impegno della BCE ad acquistare i titoli pubblici, ma il paese beneficiario dovrà avere tutte le carte in regola in materia di disciplina di bilancio e altre disposizioni. Insomma, anche il TPI richiederà una forte capacita negoziale dei paesi interessati, con un governo autorevole e affidabile, per evitare di entrare in una logica equivalente a quella di un paese “commissariato”.
Ora a livello nazionale è partita la macchina della campagna elettorale, la più rapida possibile, e lì si confronteranno due ipotesi e due scelte molto diverse, sia per il programma che per la loro visione europea e la collocazione internazionale.
Ci rassicura che in questa fase di governo "per il disbrigo degli affari correnti" Draghi stia dando un impulso forte sia per rispettare i tempi e gli impegni del PNRR (con scadenze intermedie europee assai rigide, il cui mancato rispetto mette A RISCHIO non solo le prossime tranche di finanziamento ma potrebbe addirittura arrivare ad imporre la RESTITUZIONE degli anticipi ricevuti per qualche decina di miliardi di euro), sia per le misure di aiuto a famiglie e imprese, che per il dialogo con sindacati e imprenditori sulla strategia per affrontare un autunno assai complicato dal punto di vista sociale e produttivo.
A livello europeo sul tavolo delle principali decisioni ci sono almeno cinque punti caldi: la questione energetica, che significa: un cambiamento radicale del modello di approvvigionamento dal fossile alle rinnovabili, con tutte le scelte conseguenti di politica ambientale, politica industriale, di innovazione tecnologica e politica sociale, affinché la transizione sia equa e socialmente sostenibile; sicurezza degli approvvigionamenti nel breve e medio termine per affrontare questo inverno ed il prossimo con il riempimento obbligatorio degli stoccaggi, la ricerca di approvvigionamenti alternativi al gas russo, etc un abbassamento dei costi del gas con tutti i provvedimenti possibili, dagli ACQUISTI COMUNI, al TETTO AL PREZZO DEL GAS, a una diversa regolamentazione delle piattaforme finanziarie (come quella di AMSTERDAM) dove avvengono le contrattazioni. Ora, di fronte a scelte cosi impegnative, tutti capiamo quanto sia cruciale la presenza di un’Italia forte, con un leader stimato e dunque ascoltato come Mario Draghi.
Io resto convinta, per fare un esempio, che solo un leader come Draghi avrebbe potuto spuntare la possibilità eccezionale di mettere un tetto al prezzo del gas. Spero ancora che, seppur indebolito dal suo stesso paese, riesca in questo stralcio di tempo rimasto a portarla comunque a compimento, ma questa è ora solo una speranza, non più una forte probabilità come invece era fino ad una settimana fa.
È un passo determinante per frenare questa ascesa dei prezzi che sta rovinando tutta l'economia nazionale, la produzione manifatturiera (soprattutto in un paese come il nostro con tante industrie energivore) ed il bilancio delle famiglie. Draghi aveva già fatto avanzare parecchio questa proposta, vincendo resistenze e dubbi, ma ora sarà tutto più difficile.
La questione del nuovo quadro di regole di politica economica e finanziaria che vede nella riforma del Patto di stabilità il suo principale passaggio. Per ora il patto rimane sospeso, e tutti riconoscono che vada aggiornato e modificato nella direzione di sviluppare regole e criteri orientati alla CRESCITA più che al controllo dei bilanci fine a sé stesso.
Tuttavia, non tutti i paesi hanno la stessa visione, ed i cosiddetti "Falchi" sono ben attivi e aggressivi nel ribadire, sia pure con regole nuove, la linea dell'austerità. In un quadro di rigidità, un paese come il nostro, con un alto indebitamento, potrebbe trovarsi in difficoltà per quanto riguarda gli investimenti da fare e da accompagnare. Sempre legate alle modifiche di carattere finanziario, anche il Bilancio Europeo richiede riforme coraggiose: dalla definizione del reperimento di risorse proprie (own resources) alla possibilità di rendere permanenti misure come quelle del Recovery and Resilience Fund, che hanno messo in campo un indebitamento garantito dall' Europa, o come le misure di SURE. Si tratta non solo di scelte coraggiose di politica economica e finanziaria, ma anche di scelte lungimiranti, perché l’Unione Europea è intervenuta con impegno diretto in campi nuovi, come quello del sostegno alla disoccupazione con SURE o quello della crescita sostenibile e digitale, nonché l’inclusiva dell’economia del continente. Tutto ciò è stato così innovativo ed importante che qualche commentatore ha parlato di fase “Hamiltoniana”.
la questione sociale: perché le differenze nel continente si sono accentuate e la povertà investe larghi settori. È dunque giunto il momento di un’assunzione di maggiore responsabilità Europea per il lavoro, l'inclusione e la realizzazione del Pilastro Sociale.
La questione istituzionale: come chiesto dalla stessa Conferenza per il Futuro dell’Europa, occorre completare l'impianto istituzionale Europeo con maggiore integrazione e maggiore attribuzione di responsabilità a livello comunitario. Oltre alle competenze e all' unità dell’Europa occorrono riforme che ridiano efficacia al suo funzionamento e permettano una capacità di decisione e attuazione che oggi è rallentata da regole, come quella dell’unanimità, capaci di bloccare anche i processi più urgenti. Si pensi ad esempio al potere di veto che un singolo paese può esercitare: i più recenti casi sono la decisione di un eventuale riduzione dei consumi di energia per il prossimo inverno (da cui l’Ungheria si è dissociata, senza riuscire però a bloccare del tutto la decisione) o quella della Global Minimum Tax per le multinazionali (dove nuovamente la solita Ungheria si è per ora dissociata).
Infine, resta la situazione della guerra provocata dalla Russia con l’invasione dell’Ucraina e la pretesa di inglobare parte di un paese libero e sovrano nel proprio stato. Anche in questo campo la solidarietà, l’unita e la determinazione degli stati membri sono essenziali per dare il supporto necessario all’Ucraina e per riaffermare i principi cardine dell’ordine internazionale e della democrazia. Nell’unita Europea alcuni paesi più forti si sono schierati in prima linea, tra questi anche l’Italia (rimarrà nella storia la foto dei tre leader italiano, francese e tedesco sul treno per Kiev), ma l’azione va continuamente rafforzata perché in seno all’Unione alcuni stati membri (in particolare l’Ungheria) giocano una partita non corretta e non del tutto trasparente, cercando una compiacenza, se non di più, verso la Russia.
Per tutte queste fondamentali ragioni e per molte altre è appunto necessaria una leadership Europea che trascini, disegni un percorso, costruisca soluzioni per una Europa più forte, nell’interesse di ogni paese. Draghi era e rimane la figura più forte e più autorevole. Ecco perché, tra le tante colpe di questa crisi di governo, figura anche quella di aver privato l’Europa di un leader di primo piano. Il governo che nascerà dalle elezioni dovrà portare ancora alto il ruolo dell’Italia in Europa, riaffermando tutta la nostra collocazione Europea ed atlantica. Dovremo insomma stare ancora a fianco e, se possibile, aprire la linea ai paesi più Europei, al gruppo di testa (Francia e Germania in primis), per fare la nostra parte. Dovremo dissociarci e stanare i paesi più scettici, i più diffidenti verso quell’ Europa che pure li ha aiutati e li aiuta in modo fondamentale, dovremo condannare e isolare capi di stato come Orbán, alfieri di un sovranismo sterile e pericoloso, certamente nemico di noi paesi del sud Europeo. Dovremo chiarire con questi paesi sovranisti che il rispetto delle regole dello stato di diritto è imprescindibile, e che ammiccamenti razzisti sono fuori dal campo dei diritti fondamentali europei.
Dovremo insomma chiarire bene se sia l’Europa minima, illiberale e ammiccante verso la Russia ciò che vogliamo, o se sia l’Europa della solidarietà, della crescita e del futuro.
In gioco ci sono la democrazia, la stabilità internazionale e la pace, e ci sono anche gli interessi economici del nostro paese.

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