Le riforme per colmare la distanza tra politica e cittadini
Articolo pubblicato dal Corriere della Sera.
Caro direttore, al fondo degli interrogativi posti, con puntualità e passione civile, da Ferruccio de Bortoli sul Corriere di sabato («Il fossato da riempire tra istituzioni e cittadini») c’è una domanda radicale che merita, secondo me, un approfondimento ulteriore: non se, ma quanto gli strumenti della democrazia rappresentativa, e dunque le sue stesse forme, siano efficaci, riescano a colmare il divario — crescente? — tra elettori ed eletti, tra demos e decisori. Prendendo in parola i timori sul pericolo di una «irrilevanza», una «distanza» che richiama «disaffezione» e «disagio» il governo ha messo in campo una serie di riforme di sistema.
Quella costituzionale, che troverà a ottobre con il referendum, un momento di coinvolgimento e di partecipazione più ampia, dopo il lungo lavoro parlamentare, peraltro non ancora concluso. E che renderà più leggibile e comprensibile il nostro disegno istituzionale, più chiara la nostra democrazia. La disaffezione alla politica si combatte anche con una politica più chiara e semplice e soprattutto decidente, come fa la nostra riforma.
Quella costituzionale, che troverà a ottobre con il referendum, un momento di coinvolgimento e di partecipazione più ampia, dopo il lungo lavoro parlamentare, peraltro non ancora concluso. E che renderà più leggibile e comprensibile il nostro disegno istituzionale, più chiara la nostra democrazia. La disaffezione alla politica si combatte anche con una politica più chiara e semplice e soprattutto decidente, come fa la nostra riforma.
E non sarà solo una semplificazione, una doverosa razionalizzazione, ma uno sforzo di rendere la architettura delle istituzioni più lineare e coerente, anche con la sua ispirazione costituente. Perché io penso che, anche di fronte alla nuove sfide che ci vengono poste dal disagio di cui parla de Bortoli, dalla Rete, dall’ampliamento delle sfere di cittadinanza, abbiamo una via maestra per trovare soluzioni intelligenti: la nostra Costituzione. Per questo, nella riforma, abbiamo pensato al rafforzamento dell’istituto referendario, tra l’altro introducendo per la prima volta anche referendum propositivi e di indirizzo, non semplicemente come bilanciamento, ma come stress test, come prova da sforzo che ha bisogno di una maggiore responsabilità per evitare che si trasformi, come purtroppo è accaduto troppe volte, in un esercizio velleitario e ininfluente. Inoltre, se da un lato abbiamo alzato il numero delle firme da raccogliere per le proposte di legge di iniziativa popolare, dall’altro, abbiamo reso obbligatoria la discussione e deliberazione in Parlamento, proprio per evitare che restassero a prendere polvere nei cassetti. Quando parlano i cittadini, se messi in condizione di far udire chiara e forte la propria voce, non ci sono guru e blog che tengano. Io stessa, e svesto i panni di ministro per parlare come militante del Partito Democratico, non so quanti saranno gli italiani che affolleranno i gazebo oggi per le primarie a Roma, Trieste, Napoli (ma anche Bolzano, Grosseto, Benevento). Ma penso, con orgoglio, che questa sia non la, ma una risposta, la nostra risposta — non solo numerica, quantitativa, ma qualitativa — a quel senso di spossessamento che de Bortoli lamenta. Non la panacea, ma un tentativo, democratico dunque perfettibile, di aprire, includere, partecipare, condividere, scegliere. Non sarà un voto contro quello di oggi alle primarie, non sarà un voto contro quello al referendum di ottobre, ma per, aperto al cambiamento, se è solo se saremo in grado di rendere il meno accidentato possibile questo percorso di decisione, di definizione di Lebenschancen per dirla con Dahrendorf, questa assunzione di responsabilità da parte dei cittadini che siamo.
Per questo crediamo alla Rete e alle opportunità aperte dal web, ma non pensiamo che sia una surroga, una delega in bianco. Anche il ricorso al débat publique valorizzato dal nostro governo (non solo nel codice appalti ma anche per esempio nella riforma della Rai) non può esonerare la classe politica dalla assunzione delle proprie responsabilità e dalla necessità di decidere. Essere cittadini informati ci impone di essere esigenti, critici, senza sconti per nessuno. Lo scrutinio deve valere per ognuno di noi, anche per chi si nasconde dietro gli algoritmi.
In questo senso, invito a non banalizzare anche un’altra riforma di sistema che abbiamo messo in campo, quella della legge elettorale. Che finalmente restituirà ai cittadini il diritto di sapere il giorno stesso del voto chi avrà vinto le elezioni. La riforma costituzionale e la legge elettorale insieme daranno la possibilità ai cittadini di scegliere non solo i parlamentari, ma la maggioranza di governo. Il popolo sceglie di più non di meno quando ha la possibilità di individuare la maggioranza di governo, come già aveva evidenziato anche Mortati. Un risultato tanto più apprezzabile se si guarda quanto sta succedendo in questi giorni in Europa, dalla Spagna all’Irlanda, con sistemi elettorali che favoriscono, quelli sì, ammucchiate e trasformismi, incertezza e instabilità. Per la prima volta siamo un esempio positivo su questo terreno, grazie all’Italicum che permette di scegliere le maggioranze di governo ai cittadini al momento del voto e non ai partiti dopo il voto, mettendoci in condizione non solo di contarci, ma di contare.
Per questo è non solo opportuno, ma urgente che si dibatta e si discuta ancora di proposte — come quella sulla rappresentanza sindacale, ad esempio — per colmare il fossato e non scoraggiare l’impegno, che c’è eccome, di chi chiede voce e conto agli eletti. In questa capacità di adattamento, nella spinta a non schivare i problemi, ma ad affrontarli con soluzioni condivise, credibili, sempre migliorabili, risiede la forza mite della democrazia. Non saranno sufficienti, certo, ma le riforme che stiamo portando avanti, caro direttore, non sono e non devono essere considerate un punto di arrivo, ma di partenza, per fare dell’Italia, come ci siamo impegnati a fare, un Paese più semplice e più giusto.