Milano alla sfida Città Globale
Articolo pubblicato da Il Giorno (file PDF).
Quella che stiamo vivendo è la civiltà della conoscenza. Lo anticipava più di dieci anni fa Shimon Peres parlando metaforicamente di "guerre" combattute per il dominio della conoscenza, la vera leva del potere. La conoscenza viaggia sulle ali di internet, della digitalizzazione, della immaterialità, della cibernetica. Ma la via del progresso, alla stessa legato, trova la sua strozzatura quando si cala sul territorio e si scontra con i suoi condizionamenti.
"Ses ailes de geant l'empechent de marcher" usiamo la metafora che Baudelaire suggestivamente evocava.
Questa strozzatura si fa vieppiù grave quando si accompagna ad una frammentazione delle istituzioni che aderiscono al territorio stesso.
Non siamo più in presenza, come sosteneva Carlo Cattaneo, di una capacita' di competere da parte del territorio, legata alle sue specificità.
Pensiamo semplicemente al rapporto obbligato al giorno d'oggi con la finanza mondiale.
La resilienza del sistema istituzionale-sociale-economico ai fini della competitività sul piano internazionale passa necessariamente anche attraverso un processo di adeguamento culturale e morfologico del vecchio impianto istituzionale: e ciò e' tanto più impellente quanto più ci si trovi dinnanzi ad una realtà metropolitana che si configuri come global city, qual e' quella milanese.
I dati quantitativi e qualitativi sono a tutti noti. Citiamo a titolo esemplificativo: in un raggio di soli cinquanta chilometri ricchezza di popolazione (8,5 milioni di persone), di produzione (un quarto del valore aggiunto dell'industria italiana), di proiezione internazionale (esportazioni pari al 30% del pil), di collegamenti (aeroporti, autostrade, metropolitana, treni regionali, nazionali e ad alta velocità), di infrastrutture tecnologiche, di luoghi del sapere (9 università, 200.000 studenti, 285 centri di ricerca). Un insieme, di cui la Città Metropolitana è motore, e che la pone tra i vertici in Europa.
Bene ha fatto Pierfranco Faletti a richiamare, nel dibattito elettorale sulla futura gestione amministrativa di Milano, il tema della città metropolitana che rappresenta il vero nodo gordiano della politica per Milano.
Non e' solo un problema di razionalizzazione di un apparato istituzionale che vede, su un territorio pari a quello della città di Roma, la compresenza di oltre 100 sindaci, di 3.000 consiglieri comunali, di 15.000 dirigenti municipali.
Un problema di spending review, ma anche una babele di capita e di sententiae.
Pensiamo poi agli intoppi negli snodi operativi.
Nella pianificazione territoriale, un comune ricorre al criterio della perequazione urbanistica, l'altro no. PIM e CIMEP costituiscono la testimonianza che in questo campo l'unitarietà di azione era un'esigenza avvertita da decenni.
Nella fiscalità locale, un regime differente per ogni comune. Nell'organizzazione dei servizi, dei trasporti, della nettezza urbana, dello smaltimento, del teleriscaldamento (solo per fare qualche esempio) la predominanza del fai da te. Nel campo della cultura, una politica diversa ad ogni piè sospinto.
Ma, quel che più è grave, come può immaginarsi nel sindaco di Milano una capacita' di interlocuzione con i grandi sistemi funzionali mondiali legati alla scienza, alla tecnologia, alla finanza, (una necessità, ove si voglia pensare ai grandi progetti per il futuro e non al menu giornaliero) quando deve tener a bada per prima cosa il ginepraio che ha in casa?
Ed il primo progetto sul futuro della città evoca la più ampia questione del ruolo di Milano in questo contesto storico: il vero obiettivo che dovrà essere centrato dal nuovo sindaco.