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Concetto del limite: spunti per una moderna pedagogia

Written by Rosa Aimoni.

Rosa AimoniArticolo pubblicato da ReportOnline.
Cos'è il limite proprio di ciascun essere umano e perché è importante riconoscerlo? Il limite consiste in tutto ciò che, per caratteristica biologica, fisica, intellettuale, ciascun essere umano non è propenso a fare. Il nostro corpo e la nostra mente ci offrono vastissime potenzialità, che però hanno un limite, costituto da ciò che non siamo, per natura, predisposti a fare, oppure da ciò che non possiamo fare a causa di divieti socialmente imposti (ad esempio non posso usare la mia forza fisica per maltrattare una persona, o non posso sottomettere gli altri a tutti i miei desideri).
Nella Grecia di Omero l'idea che ogni essere umano avesse un limite era già condivisa e faceva parte del pensiero collettivo; le Moire, ad esempio, erano le divinità che personificavano il destino ineluttabile di ogni singolo individuo, destino che nemmeno gli Dei potevano cambiare.
Anche gli Dei, quindi, erano soggetti alle Moire, e non potevano loro opporsi; e a maggior ragione lo erano i mortali, fra cui spiccavano per prodezza e forza gli eroi, i quali non potevano che soccombere di fronte al limite assegnato loro dal destino. E le Moire sono la rappresentazione mitica dei limiti che ciascun essere umano è tenuto a rispettare.
A riprova di questo modo di pensare, nell'Iliade viene narrata l'aristìa di Achille, l'eroe della dismisura, che, per vendicare la morte dell'amico Patroclo, "eccede il limite" facendo strage di troiani, e provocando così l'ira del fiume Xanto. Quest'ultimo, che rappresenta una divinità, interviene sdegnato contro di lui: "Terribile allora intorno ad Achille si levò un torbido flutto, e la corrente spingeva, scrosciando contro lo scudo..." (libro XXI v 240-241).
L'Ulisse di Dante, altro personaggio famoso, si inabissò con la sua nave, perché aveva superato il limite delle Colonne d'Ercole.
Per i Greci, quindi, l'idea che ogni essere umano avesse un limite, fisico, intellettuale e sociale, che non può essere superato, era già consolidata, e veniva espressa attraverso questi ed altri casi mitologici e letterari.
È doveroso, a questo punto, fare un confronto fra l'antico pensiero greco e quello diffuso fra le nostre giovani generazioni, che invece sono abituate a non riconoscere i propri limiti, andando così incontro a molti dolori che invece, con un po' di riflessione, potrebbero essere evitati.
Come mai non si riconoscono più i propri limiti, o, per meglio dire, non si accettano e si ignorano?
La prima causa del non riconoscimento dei propri limiti risiede nel sistema creato dall'odierna società dei consumi, che spinge ad eccedere consumando sempre di più; e non importa se per fare questo si violano i limiti della propria efficienza, pretendendo di essere produttivi anche quando le forze non ce lo consentono, o se si violano i limiti dell'ambiente, devastandolo (a questo proposito si legga il mio articolo intitolato "Perché tante stragi?").
La seconda causa è invece il frutto di una disgraziata politica messa in atto negli anni passati, politica che ha diffuso il concetto "tutti siamo uguali, tutti possiamo fare tutto".
Tale politica, agevolata sicuramente dall'illusione provocata dalla moderna tecnica (ad esempio tutti possono fare i fumettisti, tanto ci sono i computer), aveva due obiettivi: il primo mirava a raccogliere voti attraverso la gratificazione elargita alle persone, il secondo a massificare e livellare la popolazione per gestirla più facilmente. Chi non riconosce i propri limiti, infatti, non riconosce nemmeno le proprie qualità e si rende, pertanto, uguale agli altri.
Come ho già scritto presentando un saggio di Umberto Galimberti "il finto egualitarismo porta spesso a non accettare il successo degli altri, perché erroneamente li crediamo uguali a noi, anche se non è vero. Alla base della vita c'è invece la differenza, inizio di ogni cosa, sommo bene. È giusto e intoccabile il principio che rende gli uomini uguali di fronte alla legge, ma questo sacro retaggio del diritto moderno non implica che siamo tutti psicologicamente uguali, ma solo che, a parità di reato commesso, dobbiamo essere giudicati alla stessa maniera, indipendentemente dalla classe sociale e dalla razza di appartenenza". (si veda il mio articolo Vizi capitali e nuovi vizi. Saggio di Umberto Galimberti. Feltrinelli Editore).
E allora bisogna cambiare rotta, e non illudere più i giovani. La nuova pedagogia, politica, familiare e scolastica, dovrebbe essere improntata al rispetto, al riconoscimento, all'accettazione dei propri limiti, sia intellettuali che fisici. Fare diversamente significa generare illusioni e false aspettative, che non saranno mai soddisfatte. E queste false aspettative non realizzate provocano solo dispersione, delusione e grave disagio sociale.
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