Dalla Leopolda in poi

Parlando come uno che guarda da lontano - nel senso che non ero lì - mi sembra difficile negare che la Leopolda è un avvenimento di straordinaria importanza, perché certifica non la nascita del Partito della Nazione ma il consolidamento del PD come doveva essere fin dall'atto della sua fondazione.
Forse Veltroni fu poco deciso nel perseguire quella strada; forse era condizionato dal suo stesso passato politico.

Resta il fatto che il periodo successivo, i quattro anni di Bersani, fu un tentativo di riportare indietro gli orologi, di fingere che la politica, e soprattutto la società, non fossero ormai andate oltre rispetto alla possibilità stessa di ricreare un partito identitario e tradizionalista che alla prima prova nazionale si fermò al 25% dei voti e si fece quasi superare nei consensi da un movimento populista veicolatore di proposte politiche ed economiche a dir poco improbabili.

In questo senso, l'unità fra leader del partito e premier che Renzi ha realizzato non è solo un adeguamento ad una consolidata prassi europea, ma è il riconoscimento del fatto che o il partito è il vettore della proposta di cambiamento del Paese che si realizza nell'azione di governo o, semplicemente, non è, non ha ragion d'essere.

Si parla tanto della presenza o meno delle bandiere del PD alla Leopolda, ma che senso ha organizzare riunioni in cui magari le bandiere del PD ci sono e che però danno voce a coloro che demoliscono le riforme che il PD ha fatto tramite il Governo guidato dal suo leader?

Ora però occorre fare il passo successivo, cioè permeare tutto il partito di questa proposta politica innovativa, facendo crescere una nuova classe dirigente, capace anche - eh, sì- di smontare le menzogne interessate che certa stampa settaria e mediocre diffonde a piene mani perché manovrata da settori corporativi ed autoreferenziali che temono la ripresa d'iniziativa della politica.

Non si tratta quindi di voler cambiare la natura del PD: si tratta di riportare il PD a se stesso.