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Partecipazione e comportamenti elettorali

Written by Erminio Quartiani.

Intervento di Erminio Quartiani al convegno “Il futuro di Milano tra continuità e innovazione. Idee per un nuovo progetto di città” (pdf).

Il tema assegnatomi (partecipazione e comportamenti elettorali), per non scadere in generiche e banali affermazioni, dati i tempi contingentati limitati ai dieci minuti, mi costringe a proporre solo alcuni spunti di riflessione.
Premetto che è anzitutto necessario conoscere il passato per progettare il futuro.
Negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso i partiti politici contavano a livello nazionale oltre 3,2 milioni di iscritti, circa un iscritto ogni dodici voti raccolti alle elezioni politiche (38 milioni).
Oggi gli iscritti dichiarati dai partiti non superano il milione su meno di 29 milioni di voti validi, circa un iscritto ogni 30 voti.
Ai tempi dell’Ulivo il Pds raccoglieva 8 milioni di voti e l’Ulivo più di 16 milioni.
Il Pd alle politiche del 2022 raccoglieva 5.350.000 voti con 320.000 iscritti dichiarati. Fdi 7.300.000 con 204.000 iscritti dichiarati. La Lega 2.400.000 con 100.000 iscritti.
Il Pd presenta un rapporto 1 a 17, pur restando il partito maggiormente radicato, ed è assai distante da quel radicamento che un tempo presentavano i partiti politici della prima Repubblica cosiddetta, quando il Pci con 2.250.000 iscritti raccoglieva 12,5 milioni di voti (1 a 5.5) e la Dc con 2.100.000 iscritti ne raccoglieva 14 milioni nel 1976 (1 a 6.5).
A sinistra il rapporto iscritti/elettori si è comunque ridotto a un quarto di quel che si presentava negli anni ‘80. Segno di un radicamento nella società molto più debole e meno distribuito sul territorio.
Nella Città di Milano gli iscritti ai partiti si presume siano oggi circa 8.000, dei quali quasi 5.000 al solo Pd, che raccoglie alle comunali del 2021 circa 152.000 voti pari al 34%. Ma al voto si è recato solo il 47,7% degli elettori. Il rapporto comunque tra iscritti e voti al Pd è di circa 1 a 30, quando ad esempio nel ’97 il solo Pds raccolse il 19% con 121.000 voti, 30.000 voti in meno del Pd di oggi, che peraltro non è figlio solo della storia dei Ds/Pds (il Ppi ne raccolse 18.000, con il suo 3%).
Per avere un’idea del radicamento dei partiti nel secolo scorso, negli anni ’80 il Pci in città contava oltre 30.000 iscritti e 120 sezioni. Ai congressi partecipava il 25/30% degli iscritti, un corpo attivo pari a 9.000 attivisti (il doppio degli iscritti attuali del Pd in città). Così funzionava anche per gli altri partiti di massa (DC, Psi) che raccoglievano un altro 50% degli elettori, e con il Pci contavano oltre i tre quarti del corpo elettorale.
Ricordo però anche che alle comunali del ’93 nel pieno di Tangentopoli, il Pds raccoglieva solo 66.000 voti pari all’8,8%, con il candidato Dalla Chiesa, ma la Dc non faceva molto meglio con il 9,4% del candidato Piero Bassetti, mentre il Psi spariva letteralmente con il suo 1,6%. Stravinceva la Lega con Formentini (57%).
Nel 2001 alle comunali i Ds raggiungono il 14% e la Margherita il 10%, con Albertini al 57%., in piena crisi dell’Ulivo, con il candidato Antoniazzi che si ferma al 30%. Dati e risultati alterni, in cui però si evidenzia la crisi dei partiti di centrosinistra nella città di Milano, che insieme non superano il 25% (la stessa percentuale che quasi il solo Pci otteneva vent’anni prima).
Negli anni d’oro dei partiti di massa storici in città, ferma una importante fetta di elettorato di opinione che si orientava al voto per i partiti laici, le forze politiche selezionavano la classe politica dirigente nel campo largo dei loro attivisti, ma anche in quello dei corpi intermedi (sindacati e associazioni di categoria, cooperazione, ecc.), nonché in quello dell’associazionismo diffuso.
A cavallo della fine anni ‘80 e inizio anni ‘90 però i partiti di massa cessavano il loro ruolo di contenitori generalisti, la cui funzione era quella anzitutto di educare alla politica (funzione pedagogica prevalente) e di selezionare la rappresentanza.
Sempre più i partiti si identificarono con il loro ruolo istituzionale e si allontanarono dal rapporto quotidiano con la realtà sociale e territoriale.
Il radicamento sociale e territoriale tendeva a decrescere, fino a rappresentare un valore solo nel momento della campagna elettorale, o poco più.
Questo processo è diventato molto forte nella realtà metropolitana milanese, seguito più tardi dalle altre realtà metropolitane italiane.
Lo tsunami di tangentopoli ha prodotto infine la quasi scomparsa dei partiti storici in città. La Dc, i socialisti e il Pci accusano sonore sconfitte epocali.
La Lega vince il Comune e si afferma in molti Comuni della Provincia.
Gli eredi di Pci, Dc e Psi perdono 2/3 dei loro elettori. E lasciano spazio prima alla Lega e poi a Forza Italia.
Tutto ciò ci dice che per il centro- sinistra esisteva una stretta correlazione tra radicamento e quantità degli iscritti ai partiti, almeno di quelli di sinistra, in rapporto all’esito elettorale.
Il comportamento elettorale in città per la prima volta comportava il passaggio consistente di voti dal campo della sinistra e del centro verso la destra e la Lega. La volatilità del voto era figlia della perdita di presenza, di militanza e partecipazione del quadro attivo dei partiti.
La perdita di consenso tendenzialmente era spiegata dalla pessima prova di sé data dalle classi dirigenti dei partiti, il che induceva molti cittadini a sfiduciarli col voto, venendo anche a mancare l’anello di congiunzione con gli elettori che era rappresentato da una forte presenza sul territorio di attivisti, a loro volta sfiduciati e disillusi dai loro partiti di appartenenza.
La città, che da industriale e commerciale passava ad essere definitivamente quella del terziario avanzato, non trovava più una rappresentanza adeguata nei suoi partiti storici.
Anche in città nascevano nuovi soggetti politici, nel centrosinistra e nel centrodestra: Ds, Ppi, e poi Margherita, Forza Italia e Lega. Nasceva quindi l’Ulivo.
Il confronto, prima tripolare, tra Ulivo, Centrodestra e Lega, si faceva poi confronto tra due Blocchi.
Il quadro della partecipazione alla politica comunque continuava a peggiorare, ed anche l’associazionismo dei corpi intermedi conosceva una fase di crisi assai rilevante, sindacati compresi, colpiti dalla deindustrializzazione che sottraeva agli stessi la tradizionale base operaia (la quale un tempo si divideva nel voto tra Pci e Dc).
Alcune ricerche della Camera del lavoro indicavano come una rilevante parte degli iscritti alla Cgil votassero Lega (poi dalla Lega passati ai 5 Stelle, e forse oggi alla Meloni, come indicano alcuni studi dei flussi elettorali delle ultime elezioni).
Questo non significa anche oggi che la condizione sociale di per sé spieghi il voto. È sempre la somma di comportamenti individuali che spiega il voto.
Le ragioni di questi comportamenti che portano ceti popolari rilevanti a votare a destra vanno indagate nei processi economico sociali che hanno trasformato le classi medie, con un futuro di possibile miglioramento nella scala sociale davanti a sé, in principale bersaglio degli esiti dei processi di globalizzazione, senza prospettive di miglioramento delle proprie condizioni di vita e di lavoro.
Sono quindi processi che producono profondi sconvolgimenti di tipo culturale e che segnano un nuovo negativo rapporto con la politica, vissuta e vista come lontana dalle proprie aspirazioni da gran parte dei cittadini. Ricordo che alle ultime Regionali ha votato meno del 50% degli aventi diritto al voto.
L’astensionismo è divenuto ormai il principale pericolo per la democrazia, anche nei centri urbani.
Mi hanno insegnato, e continuo a credere, che la più alta espressione della partecipazione democratica è il voto, insieme alla partecipazione alla selezione della classe politica e delle classi dirigenti tramite la libera espressione del voto. Mi soffermo su una questione. Si dice con qualche disprezzo che il Pd sia diventato il partito delle Ztl.
Domando: è un bene o un male che il Pd resti relativamente forte nelle città metropolitane e nei centri urbani?
È un male che non ottenga maggiori consensi nelle periferie e nelle aree pedemontane, rurali o marginali! Non che prenda molti voti nei centri urbani!
Dunque, la questione va posta nel senso che occorre ristabilire un rapporto nuovo, riscrivere un nuovo patto tra città e periferia, tra metropoli e aree interne, non vergognandosi del voto nelle città.
In questo, Milano può provare a essere all’avanguardia.
Certo, non si può riproporre una partecipazione politica simile a quella del secolo scorso. Ma negare che alla base di tutto stia la partecipazione democratica è esiziale per ogni buon portamento di qualsiasi partito politico.
Penso che decisiva per la politica resti sempre la cosiddetta prepolitica.
A questa una classe dirigente avveduta deve porre molta attenzione, perché è il terreno principale sul quale si gioca il ristabilimento di rapporti validi tra impegno politico e impegno sociale e civile dei cittadini.
Domanda: è un bene o un male che scompaiano i circoli Acli nel territorio? È un bene o un male che chiudano gli oratori?
È un bene o un male che si chiudano le sedi camerali dei sindacati nei quartieri e nei centri della città metropolitana?
È un bene o un male che ci sia una Casa della cultura, dei circoli culturali e sportivi attivi nel territorio?
È un bene o un male che diminuisca la partecipazione attiva giovanile alla vita delle associazioni del Terzo settore?
I nostri circoli e i nostri dirigenti, senza ingerire nella loro vita interna, devono favorire la diffusione della partecipazione alle istituzioni della società civile e valorizzarne il lavoro.
Qui si gioca la partita della cosiddetta sussidiarietà orizzontale.
Il terzo settore, l’associazionismo che fornisce servizi alla persona, l’associazionismo delle professioni, sono sussidiari al ruolo del Pubblico. Guai a inseguire obbiettivi di disintermediazione!
La disintermediazione è l’anticamera del populismo e del dirigismo fine a sé stesso come surrogato della partecipazione, la tomba della democrazia liberale.
Vi è poi la partecipazione sul versante istituzionale. Quella che avviene ad esempio attraverso i Comuni.
Penso al fatto che non potrà nascere una città metropolitana riconosciuta, senza un movimento dal basso che associ i Comuni al processo di nascita di una nuova istituzione rappresentativa, non di una semplice condizione di nascita di una ulteriore entità amministrativa.
Parlo cioè di sussidiarietà verticale e partecipazione istituzionale dei livelli di governo locale al livello metropolitano.
Penso inoltre all’associazionismo tra Comuni nel favorire l’erogazione dei servizi, ecc.
Anche questa è partecipazione, che, misurandosi sul governo della cosa pubblica in scale differenti, produce classi dirigenti disponibili a ruoli di governo e di rappresentanza politica e di partito, non separate dal territorio.
Occorre che i nostri dirigenti ed eletti favoriscano la moltiplicazione delle relazioni tra territori.
Ad esempio, cosa fa Aem e A2A, che trae beneficio dalle dighe che producono elettricità, per i territori da cui estrae profitto e valore economico che favoriscono le attività produttive e civili della pianura e della metropoli, per condividere con i territori montani interessati un progetto di sviluppo sostenibile di quegli stessi territori, che li aiuti ad andare oltre la monocultura dello sci da discesa?
E per le Olimpiadi invernali del 2006 perché la Città di Milano non si pone obbiettivi per qualificare l’ambiente in cui si svolgono i giochi invernali, collaborando con la società e le istituzioni dei territori interessati, sostenendo progetti di sviluppo sostenibile di comune interesse?
Concludo. La democrazia è partecipazione per il governo della cosa pubblica.
Verticismo e governismo impoveriscono la democrazia, e con essa il ruolo dei partiti.
Servono partiti partecipati, certo con le primarie. Ma anche di partiti che si dotino di strumenti di partecipazione per la loro vita interna. Partiti scalabili con il metodo democratico, ma anche partiti partecipabili, che valorizzino e conferiscano potere vero a iscritti e elettori, rispettando l’esito delle decisioni da loro prese.
I nostri circoli, o diventano centri di aggregazione oppure saranno monadi isolate fini a sé stesse, nei quali semplicemente si riproduce in sedicesimo ciò che è compito di altri livelli di partito, diventando semplici replicanti, senza autonomia politica ed intellettuale dei loro dirigenti locali, autonomia che invece va incentivata e valorizzata.
I replicanti in politica non servono. Servono persone in relazione, che favoriscano l’aggregazione sociale e politica, che lavorino a dare rappresentanza al territorio e ai cittadini. Sennò la selezione della classe politica la fanno i circoli ristretti della burocrazia, più o meno alta, dell’accademia o delle elitès economico-finanziarie. E, di conseguenza, il comportamento elettorale seguirà come l’intendenza!
Seminare democrazia è il compito del Partito democratico, proprio mentre nel mondo lo scontro si fa più stringente tra democrazia liberale e autocrazia.
Da Milano può partire un positivo segnale a tutto il Pd e al centrosinistra: per rilanciare una buona politica, partecipata e condivisa con i cittadini, o meglio con il popolo e per il popolo, come si diceva una volta in linguaggio antico.
In fondo il popolo esiste se vi si dà ragione di sé. Se no è solo gente. E la gente è un concetto che non appartiene alle tradizioni politiche da cui noi proveniamo.
Grazie.
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