Abitare, esperienze a confronto
Il giro dei quartieri popolari che abbiamo fatto a Genova, così come i molti fatti nella realtà milanese e lombarda per tanti anni, è stato utile per avere un quadro della situazione e per capire i problemi dell’edilizia residenziale pubblica non sono nella città di Genova ma più in generale nelle grandi città delle Regioni del Nord. Dal giro fatto a Genova è emerso ciò che avviene anche in molti altri quartieri popolari e cioè che vi è un patrimonio abitativo di edilizia residenziale pubblica molto degradato perché non ha avuto le manutenzioni che avrebbe dovuto avere per incapacità gestionali ma, soprattutto, per mancanza di fondi. Questo ha prodotto situazioni molto difficili per molti abitanti e addirittura drammatiche per alcuni e pone il problema di come intervenire.
Molte delle situazioni che abbiamo visto, infatti, necessitano di interventi significativi e poi vi è anche l’esigenza di prestare attenzione ai temi della sicurezza, della lotta all’abusivismo e di una risposta che deve essere sempre più efficace alla domanda abitativa che c’è, anche per ridurre le liste di attesa.
È paradossale, infatti, avere tanti alloggi vuoti che non si riesce a mettere a disposizione dei tanti in lista di attesa o addirittura che restano in balia di possibili occupazioni abusive.
Questo è un quadro che purtroppo avevamo già di fronte da molto tempo e su cui abbiamo provato ad intervenire con la legge sull’emergenza abitativa e che ora affronteremo nuovamente con altre norme che saranno contenute nella Legge di Stabilità.
Ci sono però anche aspetti positivi che bisognerebbe trovare il modo di valorizzare non solo a livello di quartiere e riguardano i comitati e le autogestioni perché sono un importante punto di conoscenza delle varie realtà ma, spesso, sono anche un pezzo di risposte ai problemi presenti. L’attenzione con cui comitati e autogestioni presidiano il territori anche difficilissimi, si prendono cura del verde e delle piccole manutenzioni delle case, è un valore che credo vada incentivato.
Dovremo, quindi, fare una riflessione su come valorizzare questo contributo volontario perché credo che in quell’esperienza ci sia un pezzo della risposta non solo ai problemi materiali gravissimi che tanti abitanti hanno. Così come sarebbe importante una valorizzazione del ruolo che hanno questi comitati nel migliorare la condizione dei quartieri.
Ci tengo a sottolineare questo aspetto perché molto spesso nelle discussioni che riguardano i quartieri di edilizia residenziale pubblica emergono i problemi gravi ma ci sono anche degli aspetti positivi che andrebbero portati in evidenza.
Quando è stata approvata la legge sull’emergenza abitativa, abbiamo messo in campo per la prima volta dopo molti anni delle politiche pubbliche sulla casa.
Dall’abolizione dei Fondi Gescal, infatti, non si erano più fatte politiche sulla casa e questo ha accresciuto la difficoltà a dare una risposta ai problemi dell’abitare in Italia e, troppo spesso, i problemi sono stati scaricati sull’edilizia residenziale pubblica senza che fosse attrezzata per reggerli. Così si sono lasciati inevasi i problemi di tante famiglie di lavoratori dipendenti con redditi da 1.100/1.300 euro al mese, che per anni non hanno trovato soluzioni né sul mercato dell’acquisto né sul mercato dell’affitto e questo è avvenuto in un’assenza totale di politiche abitative pubbliche.
Con la legge sull’emergenza abitativa si sono fatte delle scelte, si è preso atto del fatto che in Italia non si poteva continuare a restare con un modello per cui da una parte c’era la casa di proprietà e dall’altra le case popolari perché non esiste più quel mondo basato sul posto di lavoro fisso e la casa nelle vicinanze presa una volta per sempre.
Per questo occorre pensare che una risposta al problema abitativo è quella dell’affitto e va incentivato. Questo si traduce in canone concordato, cedolare secca al 10% e nel creare, quindi, le condizioni perché i proprietari affittino appartamenti a canoni concordati, accessibili e compatibili con i redditi di chi cerca una casa.
Non regge più neanche l’idea dell’edilizia residenziale pubblica così come l’abbiamo conosciuta, fondata sulla costruzione dei grandi quartieri popolari realizzata grazie ai Fondi Gescal perché oggi quei luoghi non hanno più le risorse economiche su cui contare, la gestione non è più nelle condizioni di fare le manutenzioni e questo si traduce in un degrado delle strutture ma, spesso, ci si trova a fronteggiare anche tutte le emergenze sociali perché i criteri di assegnazione hanno portato in quei quartieri le persone più deboli. Dobbiamo, quindi, anche ripensare al fatto che la risposta dell’edilizia residenziale pubblica va data creando un mix sociale, evitando che i quartieri popolari diventino ghetti e per questo i comitati sono importanti. I comitati di quartiere costituiscono il baluardo di resistenza su questo terreno e impediscono il fatto che i quartieri diventino soltanto dei ghetti in cui si concentrino tutte le disgrazie. Concentrare tutti i problemi in un unico luogo con persone poi abbandonate a se stesse genera una situazione difficile per chi vive lì ma che a lungo andare produce anche degrado, delinquenza e una sensazione di assenza dello Stato e della legalità.
Per far fronte a tutto questo abbiamo stanziato una serie di risorse per cominciare a realizzare progetti di edilizia sociale integrati in progetti urbanistici che tengano conto della situazione in cui ci si trova. Abbiamo poi affrontato l’emergenza mettendo 200 milioni in due anni sul Fondo Sostegno Affitti suggerendo però che quei soldi non fossero più distribuiti a pioggia alle singole persone che ne facevano richiesta ma che potessero essere utilizzati dalle agenzie realizzate dai Comuni per risolvere il problema abitativo e creare un incontro tra domanda e offerta oppure per garantire al proprietario che affitta il suo appartamento la copertura del costo dell’affitto.
Abbiamo finanziato anche il Fondo per la morosità incolpevole (cioè per le persone che hanno perso il lavoro e, quindi, il reddito in questi anni) ma su questo occorre ancora lavorare perché non sono chiari i criteri di assegnazione del Fondo a fronte delle tante richieste arrivate. Occorrerà, quindi, fare un’ulteriore riflessione insieme alle parti sociali per capire come utilizzare quelle risorse.
Anche sulla questione della detrazione fiscale per gli alloggi sociali per cui mi sono battuto affinché fosse riconosciuta anche agli inquilini delle case popolari, ora ci sarebbe da lavorare in quanto andrebbe chiarito che ad averne diritto devono essere coloro che pagano l’affitto. Fino ad oggi, infatti, la detrazione è andata a tutti coloro a cui era stato rilasciato il certificato da parte dell’ente gestore del fatto che risiedevano in un alloggio sociale, a prescindere dal fatto che pagassero o meno l’affitto.
La nuova Legge di Stabilità che è stata annunciata e che discuteremo prossimamente in Parlamento interverrà anch’essa sulla casa in maniera significativa con la consapevolezza che da una parte c’è la necessità di dare delle risposte ai cittadini e dall’altra parte c’è anche il tema del rilancio di un settore importante come quello dell’edilizia (che in questi anni ha sofferto molto a causa della crisi) e anche dell’efficientamento energetico degli immobili e dei quartieri.
Questi sono temi che stanno insieme e su cui bisognerà lavorare in queste settimane.
La prima cosa che è stata fatta e che, a mio avviso, va nella direzione giusta - perché riguarda tutti i cittadini e non solo i proprietari di casa ma anche gli inquilini - riguarda l’abolizione della Tasi sulla prima casa, che è l’abitazione principale. Si tratta di uno sgravio importante, vale per tutti, anche per chi vive in case di edilizia residenziale pubblica, in cooperative a proprietà indivisa, in affitto in case di proprietà di altri.
Un altro tema molto serio riguarda gli alloggi vuoti e che spesso restano tali perché hanno bisogno di ristrutturazione e di interventi che costano dai 15.000 ai 30.000 euro a seconda della situazione e che non è stato possibile effettuare perché i gestori non hanno le risorse sufficienti per farli. Con la legge sull’emergenza abitativa sono stati stanziati complessivamente 500 milioni e sono stati messi a disposizioni delle Regioni per risolvere questo problema.
Di fronte alla richiesta precisa di ciò che va ristrutturato, l’ambizione era quella di dare le risorse per farlo in tempi brevi.
Purtroppo il modo in cui è stata definita la cassa, ha fatto sì che ci fosse un piano spalmato su 7 anni. Per i primi due anni sono state destinate poche risorse di quei 500 milioni complessivi e questo non ha dato all’iniziativa intrapresa quell’impatto che si auspicava. Il Ministro, a fronte di questa situazione, si è impegnato a stanziare già dal prossimo anno tutto ciò che è possibile all’interno della Legga di Stabilità. L’ambizione è arrivare a mettere 460 milioni di quei 500 complessivi. L’intento è di far partire al più presto le ristrutturazioni possibili e garantire che gli alloggi vengano sistemati e assegnati.
Un’altra battaglia fatta e che avrà esito nella Legge di Stabilità è quella di garantire la possibilità agli enti e alle proprietà delle case pubbliche di accedere anch’esse agli sgravi fiscali per le ristrutturazioni e l’efficientamento energetico (gli “ecobonus”). Quando la proprietà deciderà di rifare il cappotto, il tetto o gli infissi agli immobili avrà, quindi, la possibilità di avere fino al 65% di sgravio fiscale rispetto a quello che paga. Questo, per molti enti, vuol dire avere le condizioni di poter fare ciò che serve.
Se non riusciamo a mettere il patrimonio pubblico nelle condizioni di essere più efficiente dal punto di vista energetico rischiamo di avere un patrimonio pubblico che non risponde neanche più all’esigenza per cui è nato e cioè quella di dare case a persone in difficoltà a costi sostenibili perché spesso, al di là dei canoni di affitto, sono le spese che rischiano di incidere in maniera preponderante e di diventare insostenibili per molti abitanti.
Il tema dell’efficientamento energetico, dunque, è una cosa importante che può produrre un risparmio a lungo termine, far ripartire i lavori da tempo necessari (il che implica anche il fatto che così ci sarà anche una spinta all’occupazione in alcuni settori), si potrà promuovere innovazione per le nuove tecnologie che si potranno utilizzare, migliorare l’ambiente e creare risparmio energetico.
Tutto questo implica soldi e, quindi, lo Stato non solo rinuncia ad entrate fiscali su questo settore ma restituisce una parte di quello che si spende, dunque è un investimento pubblico che si sta facendo su questo tema.
A mio avviso, quindi, in questa Legge di Stabilità c’è molto. Speriamo di poter ottenere anche qualcosa di più, come ad esempio lo stabilizzare la cedolare secca per i contratti di affitto a canone concordato.
Il dato di fatto è che oggi c’è un Governo che finalmente sta mettendo la testa e sta mettendo in campo risorse e politiche sulla partita dell’edilizia residenziale pubblica e più complessivamente sulla casa.
Ci sono stati anni in cui si sono messi dei soldi senza chiarire con quale intento e poi abbiamo visto che non erano stati spesi perché non era chiaro come dovevano essere utilizzate quelle risorse. Ora, invece, si sta cercando di dare criteri chiari insieme alle risorse.
Vedremo alla fine che cosa si riuscirà ad ottenere con la nuova Legge di Stabilità e valuteremo poi gli effetti prodotti da queste norme.
Video dell’intervento»Video del dibattito»
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