I Comuni sopportano lo sforzo maggiore
«L’idea che i sindaci aumentino le imposte a cuor leggero non è solo caricaturale, è stupida». Uno spettro si aggira per le istituzioni. Anzi, un cerino. L’ultimo che se lo ritrova in mano vince il non ambito titolo di campione delle tasse. Piero Fassino, primo cittadino di Torino e presidente dell’Anci, intravede qualche rischio in una lettura troppo sbrigativa della relazione della Corte dei conti sulla finanza locale.
Sindaco, era inevitabile far salire la pressione fiscale del 22% in tre anni?
«Guardi che non ci divertiamo. Facciamo ricorso al prelievo nei confronti dei nostri cittadini solo proprio quando ogni manovra possibile non è sufficiente a compensare i tagli imposti dal governo».
La relazione della Corte dei conti è un atto d’accusa nei vostri confronti?
«Basta andare oltre i titoli, e quel documento ci dà ragione. Risanare è giusto, chiedere contributi è giusto, ma attenzione se si supera il peso ragionevole dei tagli imposti ai Comuni».
Non solo a loro...
«In un precedente documento della Corte dei conti è scritto in modo esplicito che ai Comuni è stato chiesto il contributo al risanamento più alto rispetto a ogni altra istituzione. Dal 2007 al 2015 abbiamo contribuito con 18 miliardi, una metà come riduzione secca dei trasferimenti, l'altra come contributo al patto di Stabilità».
A ognuno la sua parte?
«Calma. E numeri. Su un totale di 100 della spesa pubblica, quella imputabile ai Comuni è 7,6. Se si fa 100 con il debito pubblico, è 2.5. A noi è stato imposto uno sforzo ben più grande di quello chiesto a chi ha maggiore responsabilità di debito e spesa. E la Corte dei conti lo ha certificato».
Quando i sindaci subiscono i tagli crescono le tasse...
«Un luogo comune. La Corte dei conti ammette che l’incremento della pressione fiscale è stato determinato soltanto dall’eccessiva onerosità dei tagli».
Pagati dai cittadini, quindi?
«Anche questa è cattiva propaganda. La verità è che non si fa mai la comparazione con i tagli che abbiamo subito. Se qualcuno leggesse i dati Istat, scoprirebbe che l?incremento della fiscalità locale ha coperto non più del 65% delle riduzioni di risorse subite dai Comuni».
Tutte risorse fondamentali?
«In questi anni i Comuni non sono certo stati con le mani in mano, riorganizzando la loro spesa, riducendo il costo del personale, alienando parte del loro patrimonio. I dati dimostrano che in questi anni la spesa dei Comuni è diminuita, mentre quella dello Stato continua invece ad aumentare. E poi nessun sindaco chiude un asilo di propria volontà. Ma se non ce la fa con i mezzi a sua disposizione, piuttosto che il nulla preferisce suo malgrado aumentare la retta o fare un prelievo fiscale aggiuntivo».
E ora, con l’addio annunciato a Imu e Tasi?
«Siamo d’accordo, proprio perché i sindaci non sono il partito delle tasse. L’importante è che si tengano insieme le due fasi. Abolire la tassa sulla prima casa, cosa buona e giusta. E intanto non ridurre il gettito dei Comuni». Ma come si fa, con la Tasi che è una delle vostre principali risorse?
«Dopo l’annuncio fatto da Renzi, mi permisi di suggerire che una soluzione era quella di lasciare intera la fiscalità locale di Tasi e Imu ai Comuni, destinando loro la quota fino ad oggi trattenuta dallo Stato. Mi sembra che ci stiamo arrivando. Una buona cosa».
A grandi passi verso la local tax?
«Ben venga la riforma del regime fiscale, e in fretta, perché abbiamo bisogno di risorse certe per la spesa corrente. Ma da sola non basta».
Serve altro?
«Abbiamo una urgenza ancora più pressante. Bisogna andare oltre il patto di Stabilità. Altrimenti non potremo mai riprendere a fare investimenti sulle nostre città».
Le devo ricordare gli esempi non proprio luminosi di alcuni suoi colleghi?
«Sono un sostenitore dei controlli rigorosi. Introduciamo meccanismi premiali. Ma così com?è il patto non fa distinzioni tra i virtuosi e gli altri».
Esistono vere alternative?
«Vanno trovate. Ci sono Comuni che hanno in banca gruzzoletti che non possono spendere. A Torino in 4 anni abbiamo realizzato 450 milioni dalle cessioni di quote delle nostre aziende partecipate ai privati. Eppure siamo trattati allo stesso modo di quelli che non hanno fatto nulla. Buoni e cattivi tutti insieme, non è giusto».