La sfida del PNRR per il rilancio del Servizio Sanitario Nazionale e nelle Regioni
Intervento di Carlo Borghetti, Vice Presidente del Consiglio regionale della Lombardia e Componente della Commissione Sanità (video dell'intervento).
Il PNRR vede tra i suoi obiettivi fondamentali quello di contribuire al rilancio dei servizi sociali e sanitari del Paese, ai quali dedica due Missioni: la Missione 5, riguardo l’inclusione e la coesione sociale (con un budget di 19,8 miliardi) e la Missione 6, più propriamente riguardante la salute, che vede suddiviso il suo budget di 15,6 miliardi in due parti: 7 miliardi per le reti di prossimità, e 8,6 miliardi per l’innovazione e la digitalizzazione del servizio sanitario nazionale.
Vogliamo qui fare una panoramica ragionata sugli interventi e le ricadute per le Regioni relativamente alla Missione 6, ma prima è utile spendere qualche parola su come le Regioni potranno influire a Roma sulla governance attuativa del PNRR, e su come dovranno accompagnarne la “messa a terra” sui territori di propria competenza.
Le Regioni sono enti definiti “attuatori” del Piano e destinatari di risorse, ma non sono parte della Cabina di regia istituita dal Governo; potranno però vedere presente alla Cabina di regia il Presidente della Conferenza delle Regioni quando la Cabina tratterà questioni di interesse delle Regioni (possibilità non concessa ai Comuni), e faranno parte di un Tavolo permanente al quale siederanno anche gli enti locali, le parti sociali e l’Università. Siccome il rispetto dei tempi è una condizione imprescindibile affinché l’Italia ottenga effettivamente le risorse previste dal Next Generation Eu, nel caso in cui sorgessero da parte delle Regioni problemi attuativi sono previsti poteri sostitutivi da parte del Governo: deve essere dunque preoccupazione fondamentale delle Regioni programmare gli interventi di propria competenza in modo che possano essere effettivamente conclusi entro il 31 dicembre 2026, come imposto dall’Unione Europea.
In questo quadro è necessario che le Regioni si dotino di tutti gli strumenti utili alla definizione degli obiettivi e al rispetto dei tempi, e qui tocca dire che al momento la Regione Lombardia non risulta essersi dotata di strutture ad hoc per l’attuazione del PNRR. La Toscana ha annunciato per esempio la creazione di una task force regionale, la Liguria ha una commissione consiliare ad hoc, mentre la commissione Bilancio del Consiglio regionale della Lombardia ha in programma per ora solo un incontro di carattere seminariale sul PNRR.
L’intreccio tra le previsioni della Missione 6 e le competenze regionali è particolarmente rilevante, considerando che per la sanità il Titolo V della nostra Costituzione assegna alle Regioni l’autonomia organizzativa del servizio sanitario, e dunque la capacità attuativa delle Regioni -salvo i suddetti poteri sostitutivi dello Stato- sarà decisiva perchè i 15,6 miliardi di interventi previsti dalla Missione 6 vengano spesi tutti entro il 2026 e spesi bene: e questa è una sfida che fa tremar le vene e i polsi del nostro Paese considerando le notevoli disparità che presentano i nostri 21 diversi servizi sanitari regionali… per questo noi siamo favorevoli a una centralizzazione da parte del Governo delle linee guida per la messa a terra della Missione 6, in particolare per quanto riguarda la sanità territoriale, e dunque ben vengano indicazioni attuative che debbano essere rispettate da tutte le Regioni e che siano elaborate da parte di Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. D’altra parte la vicenda dei vaccini contro il Covid ci ha dimostrato come la gestione centralizzata a livello governativo sia stata un’arma vincente (non osiamo immaginare cosa sarebbe stata una campagna vaccinale che Regione per Regione avesse seguito modalità differenti…).
Venendo quindi al tema di come la Regione Lombardia potrà, o dovrà, attuare la Missione 6, diciamo subito che la cosiddetta “riforma” sanitaria Moratti-Fontana in discussione in queste ore in Consiglio regionale, con la maratona di interventi cui la minoranza sta costringendo la maggioranza, si presenta a nostro parere inadeguata ad affrontare e vincere la sfida dell’implementazione della Missione 6 nella nostra Regione, perché recepisce gli interventi previsti dal PNRR senza modificare l’assetto ospedalocentrico della sanità lombarda, rischiando così di vanificare l’obiettivo del rilancio della sanità territoriale, proprio il punto di maggiore debolezza del sistema lombardo.
Ma cosa prevede, nello specifico, la Missione 6? Delle due parti di cui è composta, la prima riguarda proprio le cosiddette “reti di prossimità”: si tratta della realizzazione delle Case di Comunità, degli Ospedali di Comunità e degli interventi al domicilio che possono identificare la casa come “primo luogo di cura“.
Le Case di Comunità sono inizialmente previste nella misura di una ogni 50.000 abitanti (quindi 216 per la Lombardia), con uno standard ideale però identificato per il futuro in una ogni 25.000 abitanti. Sono strutture fisiche in cui operano team multidisciplinari che comprendono medici di famiglia (MMG), medici specialistici, infermieri di comunità e altri professionisti della salute, con la raccomandazione anche di prevedere operatori del sociale.
Devono diventare centri di riferimento territoriali per la popolazione e prevedere anche un punto prelievo e tutta la strumentazione polispecialistica che permetta di garantire la presa in carico continuativa dei cittadini della comunità di riferimento, dando innanzitutto risposte ai cronici, in Lombardia oggi costretti a una vera e propria giungla di servizi, senza un vero accompagnamento.
La Giunta Fontana ha individuato una prima tranches di un centinaio di Case, collocandole all’interno di strutture di proprietà del servizio sanitario regionale, ma nonostante le nostre richieste in Consiglio regionale, l’individuazione di queste prime Case non ha adeguatamente coinvolto i Sindaci e i territori; restano poi tutte da chiarire le risorse di personale a disposizione, le modalità con cui i medici di famiglia lavoreranno con le Case di Comunità (oppure dentro, oppure entrambe le cose) e le modalità con cui i servizi sociali dei Comuni “entreranno” a lavorare nelle Case di comunità per una presa in carico della persona che sia globale e non solo sanitaria.
Gli Ospedali di Comunità rappresentano invece strutture sanitarie territoriali per ricoveri brevi per pazienti che necessitano interventi a bassa intensità clinica, offrendo dai 20 ai 40 posti letto a gestione prevalentemente infermieristica. A fronte di uno standard ideale di un Ospedale di Comunità ogni 50.000 abitanti, ne sono inizialmente previsti 64 dal PNRR per la Lombardia. Mentre altre Regioni d’Italia presentano già iniziative analoghe alle Case della Comunità e agli Ospedali di Comunità, per la Lombardia si tratta di partire da zero.
È previsto poi un nuovo modello organizzativo rappresentato dalle Centrali Operative Territoriali (COT): luoghi fisici, o piattaforme, con funzione di coordinamento della presa in carico del cittadino e del raccordo tra servizi e soggetti coinvolti nell’assistenza e nella cura.
L’obiettivo è quello di assicurare continuità, accessibilità e integrazione dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria, ben oltre la semplice prenotazione di visite ed esami, e sono indubbiamente la previsione ad oggi ancora più in alto mare, sicuramente in Lombardia.
Per quanto riguarda il potenziamento dei servizi domiciliari, l’obiettivo del PNRR è la presa in carico, entro la metà del 2026, del 10% della popolazione di età superiore a 65 anni; per la Lombardia si tratta di una sfida enorme, in quanto a oggi è tra le ultime Regioni d’Italia per percentuale di persone raggiunte a casa da servizi domiciliari.
La seconda parte della Missione 6 è dedicata invece alla innovazione e digitalizzazione del servizio sanitario nazionale. Gli interventi previsti riguardano la riorganizzazione della rete degli istituti di ricerca e cura a carattere scientifico (gli IRCCS), l’ammodernamento del parco tecnologico e digitale ospedaliero, investimenti per ospedali più sicuri e sostenibili, il rafforzamento delle infrastrutture tecnologiche e degli strumenti per la raccolta, l’elaborazione e l’analisi dei dati, l’investimento in ricerca e trasferimento tecnologico, la valorizzazione e il potenziamento della ricerca biomedica e lo sviluppo delle competenze tecniche, professionali, digitali e manageriali del personale del sistema sanitario.
Si tratta di oltre 8 miliardi di interventi la cui messa a terra siamo convinti dovrà essere accompagnata da efficaci linee guida nazionali, rappresentando una sfida talmente complessa da richiedere certamente una governance nazionale, anche perché sarebbe impensabile un aggiornamento tecnologico e digitale che parlasse lingue diverse in Regioni diverse. Basti pensare che in Regione Lombardia la creazione di nuove aziende ai tempi della riforma sanitaria Maroni, nel 2015, vide come uno dei problemi l’allineamento dei diversi sistemi informativi ospedalieri che andavano a confluire in un’unica nuova azienda…
Va infine detto che il rilancio del Servizio Sanitario Nazionale e nelle Regioni non sarà possibile se a fianco degli investimenti previsti dal PNNR non si rinforzerà il Fondo Sanitario Nazionale e non si implementeranno politiche nazionali e regionali di sostegno delle risorse umane oggi in servizio e di formazione di nuovo personale: vano sarebbe creare nuovi e innovativi servizi non avendo poi il personale per farli funzionare, e non avendo le risorse per garantire ai cittadini un accesso universalistico a questi servizi.
La sfida è davvero grande.
Il PNRR vede tra i suoi obiettivi fondamentali quello di contribuire al rilancio dei servizi sociali e sanitari del Paese, ai quali dedica due Missioni: la Missione 5, riguardo l’inclusione e la coesione sociale (con un budget di 19,8 miliardi) e la Missione 6, più propriamente riguardante la salute, che vede suddiviso il suo budget di 15,6 miliardi in due parti: 7 miliardi per le reti di prossimità, e 8,6 miliardi per l’innovazione e la digitalizzazione del servizio sanitario nazionale.
Vogliamo qui fare una panoramica ragionata sugli interventi e le ricadute per le Regioni relativamente alla Missione 6, ma prima è utile spendere qualche parola su come le Regioni potranno influire a Roma sulla governance attuativa del PNRR, e su come dovranno accompagnarne la “messa a terra” sui territori di propria competenza.
Le Regioni sono enti definiti “attuatori” del Piano e destinatari di risorse, ma non sono parte della Cabina di regia istituita dal Governo; potranno però vedere presente alla Cabina di regia il Presidente della Conferenza delle Regioni quando la Cabina tratterà questioni di interesse delle Regioni (possibilità non concessa ai Comuni), e faranno parte di un Tavolo permanente al quale siederanno anche gli enti locali, le parti sociali e l’Università. Siccome il rispetto dei tempi è una condizione imprescindibile affinché l’Italia ottenga effettivamente le risorse previste dal Next Generation Eu, nel caso in cui sorgessero da parte delle Regioni problemi attuativi sono previsti poteri sostitutivi da parte del Governo: deve essere dunque preoccupazione fondamentale delle Regioni programmare gli interventi di propria competenza in modo che possano essere effettivamente conclusi entro il 31 dicembre 2026, come imposto dall’Unione Europea.
In questo quadro è necessario che le Regioni si dotino di tutti gli strumenti utili alla definizione degli obiettivi e al rispetto dei tempi, e qui tocca dire che al momento la Regione Lombardia non risulta essersi dotata di strutture ad hoc per l’attuazione del PNRR. La Toscana ha annunciato per esempio la creazione di una task force regionale, la Liguria ha una commissione consiliare ad hoc, mentre la commissione Bilancio del Consiglio regionale della Lombardia ha in programma per ora solo un incontro di carattere seminariale sul PNRR.
L’intreccio tra le previsioni della Missione 6 e le competenze regionali è particolarmente rilevante, considerando che per la sanità il Titolo V della nostra Costituzione assegna alle Regioni l’autonomia organizzativa del servizio sanitario, e dunque la capacità attuativa delle Regioni -salvo i suddetti poteri sostitutivi dello Stato- sarà decisiva perchè i 15,6 miliardi di interventi previsti dalla Missione 6 vengano spesi tutti entro il 2026 e spesi bene: e questa è una sfida che fa tremar le vene e i polsi del nostro Paese considerando le notevoli disparità che presentano i nostri 21 diversi servizi sanitari regionali… per questo noi siamo favorevoli a una centralizzazione da parte del Governo delle linee guida per la messa a terra della Missione 6, in particolare per quanto riguarda la sanità territoriale, e dunque ben vengano indicazioni attuative che debbano essere rispettate da tutte le Regioni e che siano elaborate da parte di Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. D’altra parte la vicenda dei vaccini contro il Covid ci ha dimostrato come la gestione centralizzata a livello governativo sia stata un’arma vincente (non osiamo immaginare cosa sarebbe stata una campagna vaccinale che Regione per Regione avesse seguito modalità differenti…).
Venendo quindi al tema di come la Regione Lombardia potrà, o dovrà, attuare la Missione 6, diciamo subito che la cosiddetta “riforma” sanitaria Moratti-Fontana in discussione in queste ore in Consiglio regionale, con la maratona di interventi cui la minoranza sta costringendo la maggioranza, si presenta a nostro parere inadeguata ad affrontare e vincere la sfida dell’implementazione della Missione 6 nella nostra Regione, perché recepisce gli interventi previsti dal PNRR senza modificare l’assetto ospedalocentrico della sanità lombarda, rischiando così di vanificare l’obiettivo del rilancio della sanità territoriale, proprio il punto di maggiore debolezza del sistema lombardo.
Ma cosa prevede, nello specifico, la Missione 6? Delle due parti di cui è composta, la prima riguarda proprio le cosiddette “reti di prossimità”: si tratta della realizzazione delle Case di Comunità, degli Ospedali di Comunità e degli interventi al domicilio che possono identificare la casa come “primo luogo di cura“.
Le Case di Comunità sono inizialmente previste nella misura di una ogni 50.000 abitanti (quindi 216 per la Lombardia), con uno standard ideale però identificato per il futuro in una ogni 25.000 abitanti. Sono strutture fisiche in cui operano team multidisciplinari che comprendono medici di famiglia (MMG), medici specialistici, infermieri di comunità e altri professionisti della salute, con la raccomandazione anche di prevedere operatori del sociale.
Devono diventare centri di riferimento territoriali per la popolazione e prevedere anche un punto prelievo e tutta la strumentazione polispecialistica che permetta di garantire la presa in carico continuativa dei cittadini della comunità di riferimento, dando innanzitutto risposte ai cronici, in Lombardia oggi costretti a una vera e propria giungla di servizi, senza un vero accompagnamento.
La Giunta Fontana ha individuato una prima tranches di un centinaio di Case, collocandole all’interno di strutture di proprietà del servizio sanitario regionale, ma nonostante le nostre richieste in Consiglio regionale, l’individuazione di queste prime Case non ha adeguatamente coinvolto i Sindaci e i territori; restano poi tutte da chiarire le risorse di personale a disposizione, le modalità con cui i medici di famiglia lavoreranno con le Case di Comunità (oppure dentro, oppure entrambe le cose) e le modalità con cui i servizi sociali dei Comuni “entreranno” a lavorare nelle Case di comunità per una presa in carico della persona che sia globale e non solo sanitaria.
Gli Ospedali di Comunità rappresentano invece strutture sanitarie territoriali per ricoveri brevi per pazienti che necessitano interventi a bassa intensità clinica, offrendo dai 20 ai 40 posti letto a gestione prevalentemente infermieristica. A fronte di uno standard ideale di un Ospedale di Comunità ogni 50.000 abitanti, ne sono inizialmente previsti 64 dal PNRR per la Lombardia. Mentre altre Regioni d’Italia presentano già iniziative analoghe alle Case della Comunità e agli Ospedali di Comunità, per la Lombardia si tratta di partire da zero.
È previsto poi un nuovo modello organizzativo rappresentato dalle Centrali Operative Territoriali (COT): luoghi fisici, o piattaforme, con funzione di coordinamento della presa in carico del cittadino e del raccordo tra servizi e soggetti coinvolti nell’assistenza e nella cura.
L’obiettivo è quello di assicurare continuità, accessibilità e integrazione dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria, ben oltre la semplice prenotazione di visite ed esami, e sono indubbiamente la previsione ad oggi ancora più in alto mare, sicuramente in Lombardia.
Per quanto riguarda il potenziamento dei servizi domiciliari, l’obiettivo del PNRR è la presa in carico, entro la metà del 2026, del 10% della popolazione di età superiore a 65 anni; per la Lombardia si tratta di una sfida enorme, in quanto a oggi è tra le ultime Regioni d’Italia per percentuale di persone raggiunte a casa da servizi domiciliari.
La seconda parte della Missione 6 è dedicata invece alla innovazione e digitalizzazione del servizio sanitario nazionale. Gli interventi previsti riguardano la riorganizzazione della rete degli istituti di ricerca e cura a carattere scientifico (gli IRCCS), l’ammodernamento del parco tecnologico e digitale ospedaliero, investimenti per ospedali più sicuri e sostenibili, il rafforzamento delle infrastrutture tecnologiche e degli strumenti per la raccolta, l’elaborazione e l’analisi dei dati, l’investimento in ricerca e trasferimento tecnologico, la valorizzazione e il potenziamento della ricerca biomedica e lo sviluppo delle competenze tecniche, professionali, digitali e manageriali del personale del sistema sanitario.
Si tratta di oltre 8 miliardi di interventi la cui messa a terra siamo convinti dovrà essere accompagnata da efficaci linee guida nazionali, rappresentando una sfida talmente complessa da richiedere certamente una governance nazionale, anche perché sarebbe impensabile un aggiornamento tecnologico e digitale che parlasse lingue diverse in Regioni diverse. Basti pensare che in Regione Lombardia la creazione di nuove aziende ai tempi della riforma sanitaria Maroni, nel 2015, vide come uno dei problemi l’allineamento dei diversi sistemi informativi ospedalieri che andavano a confluire in un’unica nuova azienda…
Va infine detto che il rilancio del Servizio Sanitario Nazionale e nelle Regioni non sarà possibile se a fianco degli investimenti previsti dal PNNR non si rinforzerà il Fondo Sanitario Nazionale e non si implementeranno politiche nazionali e regionali di sostegno delle risorse umane oggi in servizio e di formazione di nuovo personale: vano sarebbe creare nuovi e innovativi servizi non avendo poi il personale per farli funzionare, e non avendo le risorse per garantire ai cittadini un accesso universalistico a questi servizi.
La sfida è davvero grande.
Per seguire l'attività di Carlo Borghetti: sito web - pagina facebook