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Razzismo e violenza nel linguaggio sui media

Written by Stefano Pasta.

Stefano Pasta
Articolo pubblicato da Famiglia Cristiana.

S’intitola “Notizie alla deriva”. È il Rapporto sul rispetto della Carta di Roma, che indica una serie di regole deontologiche su come i giornalisti dovrebbero trattare le notizie che riguardano i migranti. È stato pubblicato qualche mese fa, ma alla luce delle polemiche di questi giorni risulta più che mai attuale. Per i mezzi d’informazione troppo spesso immigrazione uguale naufrago, emergenza o, talvolta, affermazioni palesemente razziste. Lo studio è stato reso pubblico qualche mese fa. Ma alla luce della cronaca di questi giorni, con la “battaglia” delle dichiarazioni e dei diktat fra Presidenza del Consiglio, ministero degli Interni, governatori delle Regioni e sindaci, torna più che mai attuale.
Si tratta del Rapporto “Notizie alla deriva” sull’informazione italiana nel 2013 realizzato dall’Osservatorio Carta di Roma insieme alle Università di Bologna, Torino e Roma-La Sapienza.
Secondo lo studio, il migrante-tipo dell’informazione italiana nel 2013 è stato il naufrago. E la problematica maggiormente coperta è stata quella di carattere amministrativo. Quest’ultimo dato potrebbe apparire bizzarro e contraddittorio se non si ricordasse che in questa categoria vanno inseriti tutti gli articoli sui Cie, dove si viene rinchiusi, appunto, per un illecito amministrativo e non per un reato penale.
Analizzando la Repubblica, Corriere della Sera, il Giornale e l’Unità, rispetto all’anno precedente le notizie su migranti e immigrazione sono raddoppiate. Se ne parla di più, ed è cresciuto il numero di articoli che ne parlano con “atteggiamento positivo” (la cronaca nera sul fenomeno migrante è scesa del 10%), ma lo si fa soprattutto quando qualche evento, in particolare se è catastrofico, obbliga a farlo.
Non è un caso, poi, che siano anche aumentati in modo rilevante anche gli articoli dedicati al razzismo. Spiegano gli autori del Rapporto: «Che esista una correlazione tra la rilevanza degli eventi relativi a un tema e la quantità di servizi dedicati a quel tema è del tutto ovvio. Meno ovvio è che gli eventi di cronaca condizionino in modo così intenso, e quasi esclusivo, la scelta di occuparsene da parte degli organi di informazione».
La conseguenza è che l’immigrazione è trattata, ancora e sempre, come un’emergenza e non una componente strutturale della società italiana. Come se gli immigrati fossero ancora “altri”, a dispetto di uno Stivale sempre più meticcio: a Milano 1 ristorante su 3 ha un titolare nato all’estero, il contributo degli immigrati vale 10 punti del Pil e 16,6 miliardi di contributi Inps l’anno, gli stranieri sono l’8,8% degli studenti sui banchi delle scuole. Intanto, molti di loro sono già uomini e donne, nati in Italia da genitori stranieri, ma loro stessi pure, ancora, stranieri: pare quasi che l’informazione voglia assecondare i ritardi della politica nella riforma della legge sulla cittadinanza.
Rimangono alcuni problemi, secondo “Notizie alla deriva”: l’abuso di stereotipi e cliché, uno stile drammatizzante, che sfocia talvolta in pietismo e presenta i migranti esclusivamente come vittime e comunque in modo passivo anche quando lo sguardo è positivo. Non manca neppure l’informazione xenofoba: Igiaba Scego, scrittrice italiana di origine somala, spiega nella prefazione che i media diventano di giorno in giorno più violenti, invasi da quotidiane esternazioni razziste ed etnicizzate. In un momento di crisi della carta stampata, «si punta sul sensazionalismo», scrive, «sul bruciare i confini di quello che un tempo sarebbe stato definito “decente”. Ogni neutralità si è persa, il razzismo e l’inferiorizzazione dell’altro sono un elemento costitutivo dell’informazione».
A titolo di esempio, il Rapporto riporta l’articolo in cui Famiglia Cristiana criticava Giuseppe Cruciani, conduttore de “La Zanzara” di Radio 24, per aver dato spazio – spiegando che «uno può dire quello che vuole» – a tesi che invitavano allo «sterminio completo degli zingari, donne, uomini e bambini». Si legge nel Rapporto: «Ed ecco che ci si sfida a superare i tabù. Si ventilano pogrom nazisti come se fosse la cosa più normale del mondo. O si cita il Mein Kampf di Hitler come se il signore in questione fosse stato un grande statista o peggio un benefattore dell’umanità. Il conduttore-giornalista, non intervenendo attivamente a fermare qualcosa di fatto non solo disdicevole, ma pericoloso per l’incolumità di terzi, di fatto fallisce nel suo ruolo sociale di mediatore naturale degli eventi».
Infine, dai ricercatori dell’Osservatorio arriva l’invito ad applicare la Carta di Roma, il codice deontologico al quale i giornalisti devono attenersi quando si occupano di immigrati, rifugiati e richiedenti asilo. Spiega Giovanni Maria Bellu, presidente dell’Associazione Carta di Roma: «Può essere facilmente rispettato anche da quanti hanno una visione politica addirittura ostile agli immigrati». Si fonda su quattro regole di buon senso: «Chiamare le cose col loro nome (utilizzare i termini giuridici appropriati); evitare di dare notizie imprecise (e ci mancherebbe altro, verrebbe da aggiungere); quando si parla di rifugiati, evitare di rendere pubblica la loro identità se c’è il pericolo che ciò li esponga, o esponga i loro familiari, a ritorsioni; e infine, quando ha qualche dubbio, il giornalista fa bene a chiedere consiglio agli esperti”.
Molti passi avanti sono stati fatti nell’utilizzo delle parole giuste, almeno per quanta riguarda l’uso inappropriato involontario. Al contrario, dicono dall’Osservatorio, «sempre più spesso assistiamo a casi di “violazione dolosa” del codice deontologico a fini di polemica politica. C’è chi usa “clandestino” pur sapendo benissimo che non solo è inappropriata, ma anche offensiva». Del resto, basta dire che fino allo scorso 17 dicembre questa parola, alla stregua di un termine “tecnico”, compariva addirittura nel sito del Ministero dell’Interno, scomparendo proprio dopo un’audizione sulla Carta di Roma in Senato.
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