La riforma dell'Europa
Intervento di Piero Fassino pubblicato da Repubblica.
Caro Direttore, quando esplose Covid 19 si disse "nulla sarà più come prima". Parole che a maggior ragione valgono oggi di fronte ad una guerra che sconvolge gli equilibri geopolitici dell'ultimo trentennio e sollecita ogni governo e ogni istituzione sovranazionale a ridefinire scelte strategiche, nonché strumenti e tempi della loro attuazione. E priorità assoluta è mettere in sicurezza il continente, integrando nell'Unione europea i Paesi oggi a rischio. Nei quasi otto lustri che separano l'Europa dalla seconda guerra mondiale, infatti, le uniche guerre si sono avute nei territori europei non integrati nell'Unione: i Balcani, il Caucaso e oggi l'Ucraina. Completare l'allargamento è dunque la necessaria e ineludibile scelta per sottrarre quelle aree a instabilità e conflitti e alzare il livello di sicurezza dell'Europa.
Una esigenza che però richiede un immediato cambio di passo dell'Unione europea.
Ucraina, Moldavia e Georgia si attendono che la loro richiesta di ottenere lo status di "candidati all'adesione" sia rapidamente accolta, seguita da un rapido avvio dei negoziati, soddisfacendo tempestivamente le esigenze di stabilità e sicurezza che spingono quei Paesi a volersi integrare nella Unione Europea. Peraltro si attendono un cambio di passo anche i Balcani occidentali a cui l'integrazione europea fu promessa 27 anni fa con gli Accordi di Dayton e varata 19 anni fa dal Consiglio europeo di Salonicco. Allo stato soltanto con Serbia e Montenegro sono stati avviati i negoziati, mentre Albania e Nord Macedonia attendono di avviarli e Bosnia e Kosovo sono ancora in attesa di passare da "potenziali candidati" allo status di "candidati".
Una lentezza assolutamente intollerabile che sta già producendo pesanti conseguenze negative: frustrazione nelle opinioni pubbliche balcaniche, crescita della invasività di altri attori - Cina, Russia, Turchia, Emirati – e dilazione delle riforme con cui i Paesi candidati devono adeguare i loro ordinamenti agli standard comunitari.
Insomma, non un solo dividendo politico l'Unione ha tratto dalla sua burocratica lentezza. E a maggior ragione nessuno può pensare di sottoporre Paesi a rischio come Ucraina, Moldavia e Georgia a tempi e procedure defatiganti e destabilizzanti.
Nasce dunque dalla convinzione che serve una vera e radicale svolta la proposta avanzata da Enrico Letta di istituire la "Confederazione europea", una sede che associ ai 27 membri dell'Unione anche i Paesi candidati, coinvolgendoli da subito nella vita dell'Unione, parallelamente al prosieguo del percorso di adesione che anzi può essere favorito dalla condivisione dei Paesi candidati alle scelte e agli standard dell'Unione. In altri termini la Confederazione non è alternativa alla adesione, né determina un rinvio dei negoziati, né configura in alcun modo un secondo livello di integrazione. L'approdo a una piena adesione - con pari e piena dignità - rimane intatto, imprimendo al percorso di adesione una più rapida velocità, a partire anzi dall'avvio dei negoziati con Albania e Nord Macedonia - oggi bloccati da un incomprensibile veto bulgaro - e fissando tempi certi per l'avvio del percorso di adesione di Ucraina, Moldavia e Georgia. Insomma la Confederazione è un "di più" che si affianca ai negoziati di adesione e vuole favorirne l'accelerazione. E bene chiarirlo per fugare preoccupazioni dei Paesi candidati e evitare che qualche governo ostile all'allargamento possa continuare in un atteggiamento ostativo.
L'istituzione della Confederazione e l'accelerazione dei negoziati di adesione comporta che si metta mano con coraggio anche alla riforma istituzionale dell'Unione, il famoso "approfondimento" sempre invocato, ma mai realizzato, trasformato in questi anni solo in un alibi per tenere chiuse le porte dell'Unione.
Tant'è che la Conferenza sul Futuro dell'Europa - lanciata con grandi ambizioni - si concluderà tra qualche settimana senza proporre significativi cambiamenti. E allora è urgente che l'Unione europea convochi una vera "Convenzione costituente" - come proposto anche in questo caso da Enrico Letta - per mettere mano con coraggio a quella riforma dei Trattati che consenta all'Unione europea di essere un attivo protagonista nella vita del mondo.
Caro Direttore, quando esplose Covid 19 si disse "nulla sarà più come prima". Parole che a maggior ragione valgono oggi di fronte ad una guerra che sconvolge gli equilibri geopolitici dell'ultimo trentennio e sollecita ogni governo e ogni istituzione sovranazionale a ridefinire scelte strategiche, nonché strumenti e tempi della loro attuazione. E priorità assoluta è mettere in sicurezza il continente, integrando nell'Unione europea i Paesi oggi a rischio. Nei quasi otto lustri che separano l'Europa dalla seconda guerra mondiale, infatti, le uniche guerre si sono avute nei territori europei non integrati nell'Unione: i Balcani, il Caucaso e oggi l'Ucraina. Completare l'allargamento è dunque la necessaria e ineludibile scelta per sottrarre quelle aree a instabilità e conflitti e alzare il livello di sicurezza dell'Europa.
Una esigenza che però richiede un immediato cambio di passo dell'Unione europea.
Ucraina, Moldavia e Georgia si attendono che la loro richiesta di ottenere lo status di "candidati all'adesione" sia rapidamente accolta, seguita da un rapido avvio dei negoziati, soddisfacendo tempestivamente le esigenze di stabilità e sicurezza che spingono quei Paesi a volersi integrare nella Unione Europea. Peraltro si attendono un cambio di passo anche i Balcani occidentali a cui l'integrazione europea fu promessa 27 anni fa con gli Accordi di Dayton e varata 19 anni fa dal Consiglio europeo di Salonicco. Allo stato soltanto con Serbia e Montenegro sono stati avviati i negoziati, mentre Albania e Nord Macedonia attendono di avviarli e Bosnia e Kosovo sono ancora in attesa di passare da "potenziali candidati" allo status di "candidati".
Una lentezza assolutamente intollerabile che sta già producendo pesanti conseguenze negative: frustrazione nelle opinioni pubbliche balcaniche, crescita della invasività di altri attori - Cina, Russia, Turchia, Emirati – e dilazione delle riforme con cui i Paesi candidati devono adeguare i loro ordinamenti agli standard comunitari.
Insomma, non un solo dividendo politico l'Unione ha tratto dalla sua burocratica lentezza. E a maggior ragione nessuno può pensare di sottoporre Paesi a rischio come Ucraina, Moldavia e Georgia a tempi e procedure defatiganti e destabilizzanti.
Nasce dunque dalla convinzione che serve una vera e radicale svolta la proposta avanzata da Enrico Letta di istituire la "Confederazione europea", una sede che associ ai 27 membri dell'Unione anche i Paesi candidati, coinvolgendoli da subito nella vita dell'Unione, parallelamente al prosieguo del percorso di adesione che anzi può essere favorito dalla condivisione dei Paesi candidati alle scelte e agli standard dell'Unione. In altri termini la Confederazione non è alternativa alla adesione, né determina un rinvio dei negoziati, né configura in alcun modo un secondo livello di integrazione. L'approdo a una piena adesione - con pari e piena dignità - rimane intatto, imprimendo al percorso di adesione una più rapida velocità, a partire anzi dall'avvio dei negoziati con Albania e Nord Macedonia - oggi bloccati da un incomprensibile veto bulgaro - e fissando tempi certi per l'avvio del percorso di adesione di Ucraina, Moldavia e Georgia. Insomma la Confederazione è un "di più" che si affianca ai negoziati di adesione e vuole favorirne l'accelerazione. E bene chiarirlo per fugare preoccupazioni dei Paesi candidati e evitare che qualche governo ostile all'allargamento possa continuare in un atteggiamento ostativo.
L'istituzione della Confederazione e l'accelerazione dei negoziati di adesione comporta che si metta mano con coraggio anche alla riforma istituzionale dell'Unione, il famoso "approfondimento" sempre invocato, ma mai realizzato, trasformato in questi anni solo in un alibi per tenere chiuse le porte dell'Unione.
Tant'è che la Conferenza sul Futuro dell'Europa - lanciata con grandi ambizioni - si concluderà tra qualche settimana senza proporre significativi cambiamenti. E allora è urgente che l'Unione europea convochi una vera "Convenzione costituente" - come proposto anche in questo caso da Enrico Letta - per mettere mano con coraggio a quella riforma dei Trattati che consenta all'Unione europea di essere un attivo protagonista nella vita del mondo.