Riforme costituzionali e ruolo delle Regioni
Intervento al Senato di Emilia De Biasi durante la discussione del disegno di legge sulle riforme costituzionali: Devo dire di condividere l'impianto della riforma, anche per la tradizione e la storia del lavoro politico e istituzionale che ho svolto, e ritengo che sia il momento opportuno per entrare in Europa anche con una grande semplificazione dello Stato e della Repubblica nelle loro articolazioni. La condivido, consapevole che - com'è ovvio - vada legata in modo molto stretto alla riforma elettorale, che credo sarà il percorso inevitabile delle diverse letture parlamentari. Mi sento quindi tranquilla nel dire che è arrivato il momento di cambiare verso: è vero, è il momento di cambiare.
Non togliamo assolutamente nulla, poiché credo sia stato molto importante il lavoro fatto dalla Commissione nella direzione di un rafforzamento delle funzioni del Senato, che era ciò che avevo sollevato già in origine, fin dal primo incontro avuto con il presidente Renzi. Trovo che quel lavoro sia stato davvero considerevole, immenso e non semplice, pertanto desidero ringraziare la presidente Finocchiaro ed il presidente Calderoli.
Condivido tuttavia alcune preoccupazioni espresse dalla senatrice Dirindin e anche da altri colleghi nel dibattito complessivo di questo tempo sulla riforma del Titolo V, della quale mi occupo da molti anni. Nella mia precedente vita, infatti, interessandomi di cultura e scuola, ho avuto modo di affrontare l'importanza del Titolo V della Costituzione e della sua riforma. Quando è stata approvata la novella del Titolo V, la situazione del Paese e del bilancio pubblico erano assai diverse da quelle di oggi e come solito, all'italiana, abbiamo fatto una riforma senza verificarne nel tempo l'applicazione ed i limiti oggettivi rispetto ad un'istituzione relativamente recente, ossia le Regioni: vi è quindi una disparità inevitabile, data dalla storia e dalla sperimentazione delle loro nuove competenze.
Questa riforma del Titolo V, così come appare nel testo, mi pare che produca però un'eterogenesi dei fini, per diversi motivi. Innanzi tutto, vi sono contraddizioni molto grandi: trasformiamo il Senato della Repubblica, di fatto, in un Senato delle Regioni e delle autonomie, quindi con una valenza nazionale, ma contemporaneamente nell'articolato affidiamo alle Regioni di tutto e di più, e questo non può funzionare. La cancellazione delle norme generali, definizione presente nel testo del Governo, ritengo francamente sia la migliore, perché definisce con chiarezza il punto dell'unità del Paese.
Tuttavia, se mettiamo assieme la riscrittura di questa parte con le competenze che vengono assegnate, ad esempio, nel Patto per la salute, si determina un cortocircuito: penso, in particolare, ai temi di cui mi occupo oggi, quelli che riguardano cioè la tutela della salute.
Peraltro, non si capisce per quale motivo nella riscrittura dell'articolo 116 si parli di tutela nazionale dei beni culturali - e nessuno più di me concorda su questo punto - e non si parli, invece, anche di tutela della salute, che è indispensabile che sia un bene nazionale. Il fatto poi, di aver inserito l'«autonomia variabile», chiamiamola così, in virtù dei pareggi di bilancio, altro non fa che peggiorare la situazione, perché rischiamo di trovarci in una condizione drammatica.
Io vengo dalla Lombardia e, per il dibattito che c'è in quel territorio - non certo per la sua applicazione, ma sicuramente per il dibattito - ho ben presente che cosa significhi un'idea di federalismo. Ebbene, noi rischiamo di avere, non un'autonomia variabile, ma un federalismo a diverse velocità: cioè - ed è qui l'eterogenesi dei fini numero due - rischiamo di avere differenze troppo grandi tra Regioni, per cui avremo Regioni che andranno avanti e Regioni che non potranno andare avanti, cui dovrà supplire lo Stato, che rischierà di avere dunque una funzione residuale rispetto alle Regioni più forti.
Credo che questo, dal punto di vista degli articoli 3 e 32 della Costituzione, sia francamente inaccettabile.
Penso che dovremmo arrivare invece ad un'unica velocità. Penso, per esempio - ho presentato emendamenti in questa direzione - che si potrebbe dotare il Senato anche di una specifica funzione che riguardi la tutela della salute.
Vede, Ministro, siamo stati in questi anni in una situazione imbarazzante: 21 sistemi regionali sanitari differenti, non comunicanti tra di loro, che hanno prodotto disuguaglianze pesanti nella qualità e nella quantità delle prestazioni. E noi non possiamo pensare di riformare lo Stato e la Repubblica, rivedendo addirittura le funzioni delle Camere e spostando peraltro il baricentro più sulle funzioni di Governo che su quelle di rappresentanza - cosa su cui non sono così contraria - e poi consentire però che le Regioni procedano per conto loro.
Le stesse Regioni, peraltro, nel Patto per la salute dicono tutt'altro, nel senso che nel Patto - da quanto abbiamo letto e ci è stato raccontato in Commissione, ma lo vedremo poi nel dettaglio quando il Patto verrà reso pubblico - si parla in modo molto chiaro di dispiegamento del principio autonomistico, in un quadro di cooperazione interistituzionale e di composizione delle istanze dei territori nell'interesse generale del Paese. Lo stesso Patto per la salute sancisce, inoltre, l'importanza della definizione di norme generali per la tutela della salute.
E allora, non voglio che questo Paese si divida, ma noi stiamo fotografando una divisione che sta per esserci: la stiamo fotografando e di questo sono molto preoccupata. A questo ritengo che si debba porre assolutamente rimedio.
Vuol dire non fare il federalismo? No, vuol dire essere sinceri e dire che il federalismo è altra cosa da un autonomismo regionale che rischia di essere molto debole e fragile, anche perché fondato sostanzialmente sui pareggi di bilancio.
Cosa vuol dire questo? Vuol dire che poi noi ci troveremo nelle gare al massimo ribasso? È infatti di questo che poi stiamo parlando. Che cosa significa per alcune Regioni avere una velocità differente? Vuol dire - lo diceva benissimo la senatrice Dirindin ed io lo condivido - intervenire sulla qualità delle prestazioni e noi sappiamo che cosa vuol dire.
Vuol dire che in campo sanitario e sociale si procederà alle gare al massimo ribasso e francamente questo non è nello spirito della riforma, almeno da quello che ho sentito e dal consenso generale che c'è intorno ad essa. Chiedo quindi alla Ministra e anche ai relatori di rivedere questo punto, anche perché ci sarà un futuro Senato, ma oggi sulle Regioni vince il Parlamento; oggi il Parlamento è sovrano rispetto ad eventuali richieste delle Regioni, che avranno tutto il tempo, quando la riforma sarà esecutiva, di capire qual è la differenza tra sistemi territoriali, autonomie, federalismo e un sistema nazionale di garanzie da cui il Senato non intende chiamarsi fuori e trovo che questa sia davvero la parte più importante. Avviandomi verso la conclusione, se noi vogliamo che i livelli essenziali di assistenza siano erogati in modo appropriato e uniforme, abbiamo bisogno di altre regole, cioè di ritornare a un'idea per cui gli indirizzi nazionali e le norme generali sono nazionali, dopo di che vi saranno momenti, come la Conferenza Stato-Regioni e il nuovo Senato, in cui ci sarà un incrocio tra le competenze regionali e quelle statali. Ciò che non trovo francamente adeguato al livello della riforma è questa idea del regionalismo variabile, che sa anche un po' di vecchio. Infatti, se sinceramente vogliamo fare il federalismo serio, io sono pronta a questa sfida, ma ciò significa un patto federale e non che ogni Regione fa quello che vuole, neanche nel caso del federalismo più spinto. Soprattutto, però, mi pare che ci stiamo avviando a una separazione di fatto, perché noi sappiamo anche bene come è fatto il nostro Paese, qual è la sua storia, quali sono i suoi territori e quali sono i suoi problemi.
In questi mesi, ragionando sulla riforma, abbiamo espresso un parere come Commissione igiene e sanità da cui io mi sento vincolata; mi sento, cioè, di dover rappresentare tale parere che va in una direzione un po' diversa da quella che viene espressa. In particolare, anche la Commissione chiede che si attribuisca allo Stato la potestà legislativa in termini di norme generali per la tutela della salute.
Concludendo, a corollario di questo ragionamento vi è anche il tema che riguarda la clausola di supremazia. È vero che lo Stato deve poter avere la potestà di intervenire, ma è anche vero che quando lo Stato non interviene occorre che le Regioni possano avere questa facoltà. Si tratta di un altro elemento che io inserirei, ma in un quadro solidale, unitario, nazionale, che tenga conto che comunque, per quanto sia, la salute è l'unico diritto che la Costituzione definisce come fondamentale. Stiamo attenti a non dimenticarlo.