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L'alternativa del diavolo

Written by Lorenzo Gaiani.

Lorenzo Gaiani Mentre le consultazioni condotte dal Capo dello Stato stanno segnando il passo, forse più per esigenze tattiche dei due principali vincitori delle elezioni del 4 marzo, il Movimento Cinquestelle e la Lega (non più) Nord, il Partito Democratico appare da un lato ancora sotto lo choc della sconfitta e dall’altro impegnato in bizantine dispute interne che impediscono la sua completa connessione con la nuova fase storica che lo vuole forza di opposizione dopo tanti anni trascorsi al Governo, sia fornendo appoggi esterni (come nel caso di Monti) sia assumendo in pieno la responsabilità della guida del Gabinetto e dei ministeri di maggior peso.
Nel frattempo, coloro che amano ragionare per scenari epocali hanno preteso di evocarne almeno due per delineare il bipolarismo futuro, giacché è alquanto probabile che l’attuale legislatura, sempre che duri, sia l’ennesima fase di transizione verso un cambiamento che per forza di cose deve passare attraverso significative innovazioni nell’assetto costituzionale portando con sé anche la riforma del sistema elettorale (e l’impasse politico di questi giorni si può considerare a giusto titolo una conseguenza del disastroso referendum del 4 dicembre 2016).
Il primo scenario vede i due campi del bipolarismo occupati a destra da una coalizione o da un soggetto elettorale unico a guida leghista, radicalizzato ed euroscettico, un po’ come se la destra francese fosse guidata dal Front National e, a sinistra, dal Movimento Cinquestelle inteso come nuovo interprete dei bisogni delle classi sociali più deboli.
Il secondo scenario parla invece di una sorta di fronte unico di quelle che potremmo chiamare, per comodità, le forze populiste, ossia M5S e Lega che si contenderebbe il potere con il Partito Democratico e con le anime sparse del centro e della destra democratica (ma esiste?) su di un nuovo discrimine che sarebbe quello dell’Europa, della globalizzazione, dell’apertura contrapposta ai ricorrenti sogni di ritorni alla lira, al protezionismo e ai dazi. Insomma, l’Europa di Bruxelles contro quella di Vysegrad.
Nel primo scenario il PD praticamente sparirebbe, e potrebbe rimanere solo come appendice dei Cinquestelle, o come soggetto autonomo ma residuale tipo il PC francese o il PASOK greco.
Nel secondo, al PD incomberebbe l’obbligo di essere il perno della componente più svantaggiata del possibile bipolarismo, giacché è evidente che agli occhi della parte prevalente dell’opinione pubblica né l’Unione europea né la globalizzazione godono oggi di buona stampa.
Insomma, uno scenario spaventoso o, in alternativa, uno estremamente difficoltoso.
Personalmente non credo né all’uno né all’altro scenario, perché mi sembrano ambedue alquanto semplicistici: è difficile infatti accreditare al M5S, partito padronale quant’altri mai (al confronto di Casaleggio e delle sue norme di gestione del consenso e del dissenso persino Berlusconi impallidisce), un’identità di sinistra, se solo si pensa che da sempre il problema della sinistra, marxiana e non, è il riscatto del lavoro e non dal lavoro come pretenderebbe la logica soggiacente al reddito di cittadinanza proposto dai grillini (una delle loro carte vincenti, tanto per esser chiari). In pari tempo, lo scenario Bruxelles /Vysegrad può funzionare solo come slogan elettorale, giacché, come hanno dimostrato con buoni argomenti Marta Dassù ed altri osservatori, i vincoli dell’Italia agli impegni atlantici ed europei sono tali e tanti da sconsigliare ogni forma di avventurismo di tipo “putiniano”. Semmai il rischio è quello di venire considerati a livello europeo interlocutori poco affidabili del rinnovato asse franco – tedesco e di diventare elemento di freno al progetto di integrazione europea senza essere capaci di delineare e tanto meno di perseguire un progetto alternativo, condendo tale debolezza strategica con sceneggiate e pugni battuti sul tavolo.
Semmai la vittoria di soggetti come il M5S e la Lega , come del resto quella di Trump, ed il generale spostamento a destra del dibattito politico favorito dal bisogno di protezione (dal declassamento sociale, dai migranti, dai nuovi players del mercato globale…) stanno inducendo un generale indebolimento della democrazia liberale rappresentativa che passa attraverso l’affidamento ad uomini forti che millantano un’investitura popolare che nei fatti non c’è (non ce l’avevano nemmeno Mussolini ed Hitler, che però quando conquistarono il potere per abilità propria ed insipienza altrui se ne servirono per demolire per via legale l’ordinamento liberale facendo perno sulla supina acquiescenza dell’apparato burocratico e di una classe dirigente non all’altezza della sfida dei tempi). Anzi, più radicalmente essi sostengono di parlare a nome del popolo e contro le elites, identificando con il popolo coloro che li hanno votati.
La lotta politica contro questo tipo di posizioni è complessa, perché implica il tenere insieme la necessità dell’apertura al mondo, dell’integrazione europea, della prospettiva popperiana della società aperta con la tutela degli interessi delle classi sociali più esposte alle conseguenze della crisi economica, che tuttavia rifiuti le semplificazioni di tipo assistenziale o securitario ma si faccia carico delle aspettative e – perché no?- delle paure di queste persone . Tutto ciò mantenendo fermo i principi della democrazia rappresentativa, della separazione dei poteri pubblici, del garantismo, dello Stato di diritto. E’ complesso? Sì, sicuramente, ma la complessità è il prezzo da pagare per non ridurre la politica al gioco degli slogan contrapposti.
Per far questo però c’è bisogno di quell’attore collettivo che è il partito politico, ed è esattamente da qui, da queste ineludibili questioni che il PD, dopo una necessariamente breve elaborazione del lutto della sconfitta dovrà ripartire.
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