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Stranieri e mondo del lavoro

Written by Stefano Pasta.

Lo scorso ottobre, una circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha messo nero su bianco che non ci sarà un nuovo decreto flussi per i lavoratori stranieri. «La domanda di lavoro attesa – si legge nella circolare – può essere ampliamente soddisfatta nell’ambito dei settori, dei territori, e dei profili richiesti, compreso il settore domestico, dell’offerta di lavoro disponibile, anche in assenza di una nuova programmazione di quote generali tramite i decreti flussi annuali».
La decisione ha una conseguenza non irrilevante: anche per quest’anno, per cercare fortuna in Italia resteranno aperti solo i canali d’ingresso irregolari. Cioè, chi vuole entrare in Italia, dovrà farlo senza documenti.
Proviamo a vedere come la crisi economica ha inciso sull’occupazione straniera. Secondo il terzo Rapporto annuale Gli immigrati nel mercato del lavoro in Italia, pubblicato a luglio dal Ministero, italiani e stranieri soffrono insieme. Nei cinque anni della crisi, i disoccupati stranieri sono cresciuti di oltre 220 mila unità, raggiungendo quota 383 mila cittadini stranieri senza un lavoro (il 14% rispetto al 10% degli italiani). In termini assoluti, però, crescono anche i lavoratori stranieri con contratto regolare: erano 1,75 milioni nel 2008 e sono 2,3 milioni oggi (il 10% del totale della forza lavoro). Il problema del lavoro per la popolazione straniera, come del resto per quella “autoctona”, è un fatto europeo: complessivamente, nell’Ue il tasso di disoccupazione degli stranieri nel 2012 è pari al 17,8% (quindi superiore al valore italiano), 5,6 punti percentuali in più rispetto al 2008.
Leggendo il documento del ministero del Lavoro, si trovano altri temi “noti” che accomunano italiani e stranieri in tempi di crisi. Non a caso, spuntano i giovani e la sofferenza dell’industria: «L’aumento – si legge – è dovuto in larga misura all’espulsione di lavoratori stranieri dai comparti produttivi manifatturieri, a cui si aggiunge una componente di “giovani” ex inattivi – spesso di seconda generazione – in fase di transizione dalla scuola alla vita adulta e professionale». Le diverse comunità straniere sono state differentemente colpite dalla crisi: la perdita occupazionale è maggiore per le quelle tradizionalmente occupate nel settore industriale, mentre sono meno colpite quelle più caratterizzate dal lavoro nei servizi alle famiglie e di assistenza, soprattutto donne. Senza dimenticare che il 9,1% delle imprese individuali ha un titolare extracomunitario (la quota è in crescita), la crisi ha però accentuato il processo di concentrazione su poche professioni, soprattutto delle donne immigrate.
Il Rapporto parla addirittura di «segregazione professionale»: se l’anno scorso la metà delle lavoratrici straniere era occupata come colf o badante, nel 2008 per raggiungere il 50% del totale dovevano invece essere considerate anche le commesse, le operaie e le addette ai servizi di pulizia. Vale anche per gli uomini, concentrati solo su alcune professioni, tra cui muratori, camionisti, braccianti, facchini e ambulanti.
Vanno in questa direzione anche altri effetti della crisi: l’aumento dei livelli di “sovra istruzione” (svolgere mansioni sottodimensionate rispetto al proprio livello di istruzione/qualificazione; nel 2012 riguardava il 41% degli stranieri), la crescita della sottoccupazione e soprattutto del gap salariale con i colleghi italiani. Ebbene sì, gli stipendi medi degli stranieri sono più bassi di 336 euro rispetto agli italiani, 968 euro contro 1304. Prima della crisi, la differenza era di “soli” 266 euro al mese. Sempre il Rapporto rivela un altro gap, questa volta a parti invertite. Nel 2012, per gli stranieri è stato relativamente più facile firmare un contratto a tempo indeterminato: tra gli italiani, la quota non supera il 17% delle nuove assunzioni, che sale invece al 39% per gli stranieri.

Articolo pubblicato per Il Corriere della Sera.
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