Il Pd e il futuro: idee per un programma condiviso
Con questo scritto intendo rinnovare il mio sostegno a Matteo Renzi, che ha iniziato un percorso di cambiamento strutturale del Paese. Desidero anche ripresentare alcuni progetti: l’Italia ha bisogno una serie di interventi strutturali, capaci di rendere il Paese solido, organico ed anche allettante per i nuovi investitori. È quindi necessario elaborare un programma sul quale possa esserci un’ampia condivisione all’interno del PD. Ecco alcune mie proposte:
Lavoro
Per incrementare l'occupazione sarebbe necessario procedere anche ad una riforma complessiva della formazione aziendale.
L'economia attuale è globalizzata, i mercati non solo più stabili ma in continuo mutamento. Questo richiede la formazione continua del personale. Bisogna quindi svicolarsi dalla vecchia logica, secondo la quale basta aver maturato un po' d'esperienza per conoscere il lavoro che si sta svolgendo, perché oggi nessun lavoratore (dal professionista all'operaio) può dirsi completo senza una formazione continua. È indispensabile, prima di tutto, che questo concetto sia ben presente ai lavoratori. Le imprese, invece, dovrebbero iniziare a considerare con più attenzione il concetto di competenze trasferibili, che interessa soprattutto quella fascia di lavoratori ultra-quarantenni, che hanno maturato delle esperienze lavorative e che sono in cerca di lavoro. Infatti, vista la rapida evoluzione dei mercati, ci ritroveremo sempre con persone di 40/50 anni che non riescono a trovare lavoro, e contemporaneamente sono troppo giovani per andare in pensione. Allora è necessario attuare un serio progetto formativo, affinché i 40/50enni (ma anche i giovani) possano essere riassorbiti nel mondo del lavoro. Le agenzie interinali, che prendono fondi per la formazione, dovrebbero organizzare dei colloqui con i 40/50enni per individuare le loro competenze trasferibili ed indicare loro una strada possibile. Per i futuri assunti i corsi dovrebbero essere organizzati in questa maniera:
L'economia attuale è globalizzata, i mercati non solo più stabili ma in continuo mutamento. Questo richiede la formazione continua del personale. Bisogna quindi svicolarsi dalla vecchia logica, secondo la quale basta aver maturato un po' d'esperienza per conoscere il lavoro che si sta svolgendo, perché oggi nessun lavoratore (dal professionista all'operaio) può dirsi completo senza una formazione continua. È indispensabile, prima di tutto, che questo concetto sia ben presente ai lavoratori. Le imprese, invece, dovrebbero iniziare a considerare con più attenzione il concetto di competenze trasferibili, che interessa soprattutto quella fascia di lavoratori ultra-quarantenni, che hanno maturato delle esperienze lavorative e che sono in cerca di lavoro. Infatti, vista la rapida evoluzione dei mercati, ci ritroveremo sempre con persone di 40/50 anni che non riescono a trovare lavoro, e contemporaneamente sono troppo giovani per andare in pensione. Allora è necessario attuare un serio progetto formativo, affinché i 40/50enni (ma anche i giovani) possano essere riassorbiti nel mondo del lavoro. Le agenzie interinali, che prendono fondi per la formazione, dovrebbero organizzare dei colloqui con i 40/50enni per individuare le loro competenze trasferibili ed indicare loro una strada possibile. Per i futuri assunti i corsi dovrebbero essere organizzati in questa maniera:
• Selezione delle persone che dovranno frequentare i corsi aziendali; le agenzie interinali, se ancora non l'hanno, dovranno avere un database con le competenze trasferibili delle persone in cerca di lavoro;
• I corsi devono essere svolti in azienda con delle prove ed esercitazioni pratiche;
• L’azienda che svolge i corsi non riceverà direttamente soldi per la loro organizzazione, ma quando assumerà i corsisti otterrà uno sgravio fiscale sul costo del singolo lavoratore e la restituzione dei costi sostenuti per la formazione.
Con questo progetto si avvantaggerebbero le imprese, che potrebbero assumere personale già qualificato avvalendosi di uno sgravio fiscale. Ci guadagnerebbe anche lo Stato perché le persone ricomincerebbero a lavorare e il gettito fiscale aumenterebbe.
Riformare il sistema fiscale: progetto Toqueville
Il giurista e filosofo francese Alexis de Tocqueville fece un viaggio negli Stati Uniti; siamo nel 1831. Poco dopo l'illustre giurista pubblicò il famoso saggio intitolato “La democrazia in America”. Ricordo Tocqueville perché noi tutti siamo consapevoli della necessità di provvedere ad un'incisiva riforma del sistema fiscale italiano. Per fare questo, proprio come ha fatto Tocqueville, bisognerebbe studiare i sistemi fiscali di quei Paesi che, a differenza del nostro, presentano una pressione fiscale accettabile e al contempo una bassa evasione fiscale. Un altro personaggio storico che vorrei menzionare è Mustafa Atatürk il politico che, negli anni Trenta del secolo scorso, ha attuato un vasto progetto di riforma della Turchia. A questo fine, Atatürk ha recepito in toto il codice penale italiano e il codice civile svizzero. Così dovremmo fare anche noi per quanto riguarda il sistema fiscale; dovremmo cioè demandare ad alcuni esperti della materia il compito di studiare i sistemi fiscali di quei Paesi che si possono definire "fiscalmente" virtuosi, e poi, con gli adattamenti opportuni, recepirne le leggi nel nostro Paese. Si tratta di un progetto di riforma molto ampio, che tuttavia dovrà prima o poi essere preso in considerazione. Lo stesso programma può essere eseguito per riformare il sistema amministrativo.
Immigrazione
Per risolvere la questione dell'immigrazione servono, come è già stato detto, delle politiche Europee. Ritengo che l'Europa non dovrebbe finanziare l'Italia, ma Emergency, l'associazione fondata da Gino Strada, che potrebbe occuparsi della prima accoglienza delle persone in difficoltà. Ma c'è un’altra questione da affrontare: il fatto che non tutti gli immigrati che giungono in Europa possano essere inseriti, dato che si tratta di un flusso continuo, non destinato ad esaurirsi in breve tempo. Allora l'Europa dovrebbe concretizzare il pensiero di Carlo Levi, espresso nel libro "Cristo si è fermato a Eboli". Carlo Levi, quando ha convissuto, durante il confino, con le persone che popolavano il Sud Italia, e le ha trovate in condizioni di nera miseria, ha asserito che: "Lo Stato non può che essere una seria di infinite autonomie, un'organica federazione. Per i contadini la cellula dello Stato non può che essere il Comune agricolo". In sostanza, è prima di tutto necessario che ogni Stato europeo accolga un certo numero di migranti. Inoltre, bisogna creare nei Paesi vicini alle zone d'origine degli immigrati dei Comuni (agricoli o di pescatori a seconda del territorio) dove queste persone possano vivere dignitosamente. Ma questo lo deve fare l'Europa, di concerto con le autorità locali della zona di riferimento. Oppure può iniziare a farlo l’Italia. Ecco allora cosa bisognerebbe proporre all'Europa:
- la creazione di “quote” di immigrati che ogni Paese europeo, in base alle proprie disponibilità, deve obbligatoriamente accettare;
- la dazione dei fondi non all'Italia ma ad Emergency;
- la costituzione nei Paesi vicini a quelli di provenienza degli immigrati di comunità agricole.
Mi sento di dire anche che è ora di smantellare tutti quegli enti che, con il pretesto dell'immigrazione, lucrano solo sui fondi. Questi sono dannosi non solo per le nostre finanze, ma anche per la nostra reputazione all'estero.
Integrazione
Si parla spesso della convivenza fra diverse culture, e del concetto di integrazione. L'incontro fra diverse civiltà, lungi dal guastarle, contribuisce a mantenerle vive. Ma come possono diverse culture convivere pacificamente? È compito della politica elaborare delle strategie di integrazione. Prima di tutto, bisogna partire dalla sincerità; l'incontro fra culture diverse non è facile, ed è irrealistico pensare che non si verifichino dei problemi quando civiltà diverse condividono lo stesso suolo. Quali sono allora i possibili piani di azione?
Partiamo da un concetto semplice: per integrare una nuova cultura in quella già esistente, bisogna proporre, non imporre. Mi spiego meglio, e a livello pratico. Se, in una scuola, si impone il couscous a pranzo, sicuramente le famiglie "tradizionali" si ribelleranno. E allora noi, che vogliamo l'integrazione fra culture diverse, avremo fallito nel nostro scopo. L'imposizione non produce effetti positivi, ma solo l'insorgere di mentalità reazionarie. Proporre quindi il couscous, organizzando incontri a partecipazione libera, senza costrizioni, portando le persone ad interessarsi spontaneamente a questa immensa - e poco conosciuta - cultura dell'Islam. Lo stesso ragionamento si può fare per le altre culture. In altre parole, bisogna saper stimolare la naturale curiosità insita nell'essere umano. Considero fondamentali gli incontri pacifici, come quello avvenuto di recente fra musulmani e cristiani per celebrare assieme la messa. I politici locali dovrebbero quindi moltiplicare sul territorio queste iniziative. Proponendole però, non imponendole.
Fonte: AreaDem
Fonte: AreaDem