L'accordo sul clima
Martedì nell’aula della plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo è stato salutato con un lungo, fragoroso applauso il voto con cui abbiamo ratificato l’accordo sul clima di Parigi.
E’ la fine di una lunga battaglia politica e diplomatica vinta soprattutto dall’Unione europea, dagli eurodeputati e dalle forze progressiste riunte nel Gruppo dei Socialisti e Democratici.
Non è la fine della storia, anzi, la vera battaglia inizia ora. Il 2014 è stato l’anno più caldo degli ultimi 136 anni, cioè da quando si registrano le temperature. Il 2015 è stato più caldo del 2014 e il 2016 si avvia ad essere più caldo dell’anno scorso.
In Italia, dal 2010 al 2015, le sole inondazioni hanno provocato 140 morti e l’evacuazione di oltre 32 mila persone.
I danni di alluvioni, trombe d’aria, bombe d’acqua e siccità ci sono costate più di tante leggi finanziarie. Quella del clima è una battaglia tutt’altro che vinta, perché gli sforzi di riduzione delle emissioni sono volontari e non giuridicamente vincolanti come avremmo voluto, ma il voto di martedì rappresenta comunque un passaggio storico. I telegiornali si sono limitati a raccontare che “l’Europa ha ratificato l’accordo sul clima del 2015”. Una notizia che, detta così, al massimo suscita uno sbadiglio. La realtà è un po’ più complicata e impegnativa. Innanzitutto a ratificare non è stata “l’Europa”, ma l’Unione europea. Di 28 Paesi Ue solo 7 avevano ratificato in tempo e senza il colpo di acceleratore delle istituzioni comunitarie (Commissione, Consiglio e Parlamento europeo) saremmo ancora in attesa di ratifica e l’accordo non avrebbe raggiunto il quorum di Paesi per l’entrata in vigore. Basti pensare che per ratificare il protocollo di Kyoto del 1997 ci sono voluti otto anni! (E questo, tra l ‘altro, ci porta ad altre considerazioni, molto attuali in Italia, su quanto la dimensione TEMPO conti per la credibilità e l’efficienza delle istituzioni!) In secondo luogo, senza l’Unione europea questo accordo, che è di vitale importanza per tutto il mondo, non ci sarebbe mai stato. Stati Uniti e Cina, che sono i più grandi inquinatori del pianeta, non hanno mai aderito al protocollo di Kyoto, indiscussa portabandiera sul tema è stata l’Unione Europea che è partita per prima e da sola! E’ a Bruxelles e con il metodo comunitario che nel 2008 l’Ue ha stabilito i suoi impegni di riduzione delle emissioni di gas serra che l’hanno resa credibile sul piano internazionale. E’ l’Unione europea che nel 2009 ha promosso il summit di Copenaghen, che non è riuscito a raggiungere un accordo , ma ha spianato la strada ed è sempre l’Ue che ha lavorato in questi anni per tessere le alleanze globali che hanno portato alla firma a Parigi nel 2015. Terzo, è la legittimità democratica garantita dal Parlamento europeo, l’unica istituzione comunitaria direttamente eletta dai cittadini, che permette dall’Unione europea di firmare gli accordi internazionali, senza restare appesa ai voti di 28 Parlamenti nazionali, anche se in questo caso dovranno confermare la decisione. Quarto, siamo stati noi eurodeputati socialisti e democratici a insistere in questi anni per degli impegni ambiziosi e vincolanti per la riduzione delle emissioni, superando lo scetticismo climatico di molte frange dei Popolari e la rigidità ideologica di alcuni dei Verdi che non avrebbero tenuto conto delle esigenze delle nostre imprese, mentre noi abbiamo accettato la difficile sfida dello sviluppo sostenibile.
E’ la fine di una lunga battaglia politica e diplomatica vinta soprattutto dall’Unione europea, dagli eurodeputati e dalle forze progressiste riunte nel Gruppo dei Socialisti e Democratici.
Non è la fine della storia, anzi, la vera battaglia inizia ora. Il 2014 è stato l’anno più caldo degli ultimi 136 anni, cioè da quando si registrano le temperature. Il 2015 è stato più caldo del 2014 e il 2016 si avvia ad essere più caldo dell’anno scorso.
In Italia, dal 2010 al 2015, le sole inondazioni hanno provocato 140 morti e l’evacuazione di oltre 32 mila persone.
I danni di alluvioni, trombe d’aria, bombe d’acqua e siccità ci sono costate più di tante leggi finanziarie. Quella del clima è una battaglia tutt’altro che vinta, perché gli sforzi di riduzione delle emissioni sono volontari e non giuridicamente vincolanti come avremmo voluto, ma il voto di martedì rappresenta comunque un passaggio storico. I telegiornali si sono limitati a raccontare che “l’Europa ha ratificato l’accordo sul clima del 2015”. Una notizia che, detta così, al massimo suscita uno sbadiglio. La realtà è un po’ più complicata e impegnativa. Innanzitutto a ratificare non è stata “l’Europa”, ma l’Unione europea. Di 28 Paesi Ue solo 7 avevano ratificato in tempo e senza il colpo di acceleratore delle istituzioni comunitarie (Commissione, Consiglio e Parlamento europeo) saremmo ancora in attesa di ratifica e l’accordo non avrebbe raggiunto il quorum di Paesi per l’entrata in vigore. Basti pensare che per ratificare il protocollo di Kyoto del 1997 ci sono voluti otto anni! (E questo, tra l ‘altro, ci porta ad altre considerazioni, molto attuali in Italia, su quanto la dimensione TEMPO conti per la credibilità e l’efficienza delle istituzioni!) In secondo luogo, senza l’Unione europea questo accordo, che è di vitale importanza per tutto il mondo, non ci sarebbe mai stato. Stati Uniti e Cina, che sono i più grandi inquinatori del pianeta, non hanno mai aderito al protocollo di Kyoto, indiscussa portabandiera sul tema è stata l’Unione Europea che è partita per prima e da sola! E’ a Bruxelles e con il metodo comunitario che nel 2008 l’Ue ha stabilito i suoi impegni di riduzione delle emissioni di gas serra che l’hanno resa credibile sul piano internazionale. E’ l’Unione europea che nel 2009 ha promosso il summit di Copenaghen, che non è riuscito a raggiungere un accordo , ma ha spianato la strada ed è sempre l’Ue che ha lavorato in questi anni per tessere le alleanze globali che hanno portato alla firma a Parigi nel 2015. Terzo, è la legittimità democratica garantita dal Parlamento europeo, l’unica istituzione comunitaria direttamente eletta dai cittadini, che permette dall’Unione europea di firmare gli accordi internazionali, senza restare appesa ai voti di 28 Parlamenti nazionali, anche se in questo caso dovranno confermare la decisione. Quarto, siamo stati noi eurodeputati socialisti e democratici a insistere in questi anni per degli impegni ambiziosi e vincolanti per la riduzione delle emissioni, superando lo scetticismo climatico di molte frange dei Popolari e la rigidità ideologica di alcuni dei Verdi che non avrebbero tenuto conto delle esigenze delle nostre imprese, mentre noi abbiamo accettato la difficile sfida dello sviluppo sostenibile.
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