Perché sì
Finalmente si sta chiarendo che la consultazione per cui andremo a votare non è un referendum sul Governo e non è neanche un referendum in cui si decide la legge elettorale.
La legge elettorale, infatti, c’è già e c’è anche la disponibilità a modificarla, come dimostra la mozione approvata in Parlamento di recente.
Resta, quindi, il voto sul merito della riforma costituzionale proposta e sono convinto che stando su questi argomenti si uscirà anche dalla logica del voto pro o contro Renzi.
Va chiarito che se si vota no, non passa un’altra riforma.
Con il referendum si sta chiedendo ai cittadini di esprimersi con un sì o con un no su questa proposta di riforma costituzionale: non ce ne sono altre in campo. Se vince il no, quindi, resta tutto com’è ora.
Nel merito, se vince il sì, si riducono il numero dei parlamentari e i costi della politica mentre se vince il no restano come sono adesso.
Se vince il sì, si supera il bicameralismo perfetto - cioè le due Camere che fanno la stessa cosa - (che tutti hanno sempre auspicato di voler eliminare e che esiste solo in Italia) mentre se vince il no, resta com’è adesso.
La riforma porterà un risparmio di costi anche perché prevede l’abolizione del CNEL, la cancellazione di 315 senatori con i loro stipendi e un tetto agli stipendi dei consiglieri regionali (i quali non potranno prendere più del sindaco della città capoluogo).
Chi vota no deve sapere che si continueranno a pagare tutti gli stipendi dei senatori e i costi di una legislazione lenta.
Tra le forze politiche che si oppongono alla riforma ci sono quelle che, anziché proporre miglioramenti, hanno proposto milioni di emendamenti rendendo impossibile una discussione serena.
Dopo che i cittadini si saranno espressi sarà difficile fare cose diverse rispetto all’esito del voto: se vince il no significa che si preferisce lasciare le cose come sono ora, perché il no non implica un’altra proposta di riforma diversa da quella in campo adesso.
Al referendum si vota per cambiare o non cambiare la costituzione.
Occorre, però, ricordarsi il motivo per cui ci si è messi a fare la riforma costituzionale.
Le basi di questa riforma sono state messe nel 2014 e vi ha contribuito l’80% del Parlamento, poi il testo ha passato 161 modifiche nel corso dei sei passaggi parlamentari. Con l’elezione di Mattarella a Presidente della Repubblica, Berlusconi si è sfilato dal tavolo ma non credo che abbia cambiato idea sulle ragioni di quella riforma e siamo comunque andati avanti, come è previsto dalla Costituzione, facendo i sei passaggi parlamentari (tre alla Camera dei Deputati e tre al Senato).
Credo, quindi, che oggi anche una parte importante dell’elettorato del centrodestra debba riflettere su cosa andiamo a votare.
Adesso non si parla più della crisi della politica e della crisi della democrazia ma tutti in questa legislatura ci siamo presi l’impegno di fare la riforma costituzionale per far fronte a questo.
Occorre ricordare che c’è un rapporto sempre più difficile tra i cittadini e le istituzioni e per rispondere c’è bisogno di cambiare il modo di far funzionare le istituzioni per renderle più efficienti ed efficaci.
Se ci sarà una Camera sola che farà la stragrande maggioranza delle leggi, non succederà più che ci si metta tre anni per approvarle come è accaduto in questa legislatura per il Collegato Agricolo e per il Collegato Ambientale.
Con questa riforma non accadrà più neanche che un Governo sarà costretto ad abusare dei decreti legge ma si prevede una corsia preferenziale per alcune leggi proposte dal Governo.
Al referendum, dunque, voteremo su questo, non su altro.
A mio avviso una riforma serve e per questo credo che si votare sì.
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