I sindaci e la politica internazionale
Articolo pubblicato da ArcipelagoMilano.
In passato era normale che sia i Sindaci sia i Consigli Comunali si occupassero di questioni internazionali: basti pensare alle vicende del Cile o della Palestina, che riassumono una stagione d’impegno e di attenzione, di ordini del giorno, di convegni, ma anche di solidarietà concreta con gli esuli e con chi combatteva per la libertà e la democrazia nel proprio paese. Forse c’era un po’ di ritualità, ma sicuramente un tessuto valoriale che portava a quell’impegno, c’erano narrazioni politiche forti, anche divisive, ma di grande significato. C’era uno scenario internazionale, tutto sommato, più semplice, con meno chiaroscuri.
Oggi viviamo una stagione italiana e internazionale molto più complessa, dove la visione a volte risulta meno nitida, e molto incide la crisi delle grandi narrazioni, un disincanto davvero forte, una composizione dei Consigli Comunali più “civica”, più attenta a questioni immediate, concrete, legate soltanto al proprio territorio. Ed è bene occuparsi dell’immediatezza, anche per riconquistare la fiducia dei cittadini. Oggi, l’ossessione di un sindaco, per dirla sorridendo con un noto chansonnier meneghino, è “la busa noeuva che ier la ghera no“, e altre numerose emergenze che devono essere affrontate con sempre meno risorse.
Niente temi internazionali, dunque? Neanche per sogno, ci sono le buche da aggiustare, ma rimane la necessità e il dovere dell’attenzione e dell’impegno nei confronti di quello che accade altrove, e che ha, peraltro, ripercussioni anche sul proprio territorio e sull’azione quotidiana. Propongo quattro titoli e alcuni esempi: globalizzazione delle imprese e del lavoro, migrazioni e profughi, dialogo e scontro fra le religioni, contrasto a un terrorismo dalle forme del tutto inedite.
Da mesi, a Sesto San Giovanni, siamo impegnati, insieme con i sindaci di altri quarantasei comuni dove risiedono gli addetti, a contrastare la delocalizzazione e chiusura dello stabilimento ex Alstom, oggi General Electric: la nostra battaglia non è solo per difendere i posti di lavoro, ma per mantenere un sito produttivo, per rifiutare una delocalizzazione che non ha motivazioni diverse da quelle di un piano redatto a tavolino che non tiene conto di competenze, esperienze, storie produttive corpose. E poi, non vogliamo l’ennesima area vuota e dismessa. Ci battiamo a livello locale, nazionale, ma abbiamo coinvolto anche i sindaci dei comuni europei dove il piano di General Electric prevede altre delocalizzazioni.
Le migrazioni e i profughi: si tratta di fenomeni da governare con intelligenza, ed è possibile farlo. Sono, peraltro, fenomeni difficilmente arrestabili e, se ben gestiti, non necessariamente negativi per un’Europa a bassa natalità e fiato corto. Il nostro Comune sta facendo la sua parte, costruendo con le cooperative del territorio un progetto di accoglienza e d’integrazione e confrontandosi con il quartiere che ospita il maggior numero di profughi. Tutto lineare? No, ma nessuno sconvolgimento, come invece ci minacciano partiti ed esponenti politici che, con calcoli a breve e nessuna razionalità a medio termine, si fanno imprenditori della paura e profeti di sventura.
Il dialogo e lo scontro fra le religioni. A Sesto San Giovanni il 17% dei residenti è straniero, la presenza di religioni diverse è un dato di fatto, così come la multiculturalità (faticosa, ma inevitabile: non è tema da convegno, ma fenomeno da gestire). Le nostre scelte sono chiare: diritti e doveri uguali per tutti, dialogo fra le comunità, promozione della solidarietà. Vado fiera di aver partecipato, lo scorso 13 dicembre, alla Preghiera Interreligiosa dopo i fatti di Parigi, che ha visto riflettere e pregare insieme cattolici, ebrei e musulmani. Rivendico la scelta di consentire la nascita del centro culturale islamico: creare ostacoli inutili alle moschee, rendere difficile la preghiera porta solo a occultare quelle presenze, a renderle meno controllabili, a ridurre la sicurezza.
E vengo all’ultimo tema, il maggiore: il terrorismo che in forme nuove si manifesta, in Europa come in Africa e in Asia (condanniamone tutte le espressioni, non piangiamo solo i morti del cortile di casa). Come si diceva in altri tempi, la democrazia si difende con la democrazia. Costruendo sicurezza, contrastando con intelligenza ogni fenomeno violento, ma soprattutto includendo, senza mai stancarsi di farlo.