La direzione PD
Intervento a RaiNews24.
La direzione del PD ha consentito di fare il punto su una stagione di governo su cui ci sono opinioni diverse. A mio avviso, Renzi ha fatto bene a rivendicare alcuni risultati ottenuti dal Governo e il fatto che in questi due anni si siano approvate molte riforme (come mai prima d’ora era stato fatto in Italia), così come ha fatto bene a sottolineare che una discussione troppo autoreferenziale ci ha consentito poco di valorizzare le cose fatte (il Jobs Act e i suoi effetti, ad esempio, la riforma della scuola, gli ecoreati, l’anticorruzione, le unioni civili). In questi due anni sono state fatte cose che il Paese attendeva da oltre vent’anni.
In direzione, inoltre, è stato chiarito che questa stagione di riforme può interrompersi con il referendum nel caso dovessero vincere i “no”. Il referendum sulla riforma costituzionale, quindi, diventa decisivo perché è il segno di questa legislatura. Al Parlamento venne chiesto da Giorgio Napolitano – che accettò il sacrificio di ricandidarsi – di fare sul serio e, fino ad ora, si è fatto sul serio; per cui auspico che i cittadini riconoscano la necessità di andare verso un sistema che superi il bicameralismo perfetto, diminuisca e parlamentari e chiuda alcuni organismi non utili. La riforma è stata approvata dopo sei passaggi parlamentari (tre al Senato e tre alla Camera dei Deputati), ora sta ai cittadini sapere che c’è la possibilità di riformare la Costituzione oppure di lasciare tutto com’è.
Se dovessero vincere i “no”, sicuramente, il Governo e il Presidente del Consiglio prenderebbero atto che la missione di questa legislatura e su cui si erano costruiti due Governi (quello di Letta e quello di Renzi) è fallita e, quindi, si trarrebbero le conseguenze. Poi starà alla Presidenza della Repubblica valutare le misure successive.
C’è da considerare, però, che se vince il no al referendum e si dovesse tornare a votare subito, avremmo due sistemi elettorali diversi per Camera e Senato che poterebbe numeri diversi in Parlamento e si arriverebbe all’impossibilità di formare un governo. Rischiamo, quindi, di consegnarci ad anni di ingovernabilità in caso di vittoria del “no”.
Ciò che, invece, è necessario è rafforzare la nostra democrazia e modificare la nostra Costituzione e questo o lo si fa adesso, con questo referendum, o finirà che non se ne parlerà più per i prossimi vent’anni. La vittoria dei “no” diventerebbe un’ulteriore occasione persa per poter cambiare le nostre istituzioni in meglio. Questo è ciò che è in gioco con il referendum costituzionale. Non è un referendum pro o contro Renzi.
La riforma costituzionale proposta in questa legislatura non è uguale a quella del centrodestra. La riforma del centrodestra modificava in maniera significativa i poteri dell’esecutivo: dava al Presidente del Consiglio la possibilità di sciogliere le Camere, andava in senso presidenzialista. All’interno della riforma c’erano comunque sia l’abolizione del bicameralismo perfetto che la diminuzione dei parlamentari; per questo, i comitati del “no”, promossi da Forza Italia, credo che faranno fatica a spiegare nel merito perché andava bene la riforma proposta dal Governo Berlusconi e non questa.
Tornando alla direzione del PD, Dario Franceschini (video dell'intervento) ha posto una questione generale sul fatto che in tutta Europa e non solo (guardando anche alla vicenda americana) il conflitto si sta spostando da quello tra le tradizionali destra e sinistra a quello tra forze che esprimono un populismo fine a se stesso (che poi porta a produrre un risultato come quello inglese sulla Brexit che nessuno vuole gestire, neanche coloro che hanno proposto e vinto il referendum) e chi invece vuole stare dentro le regole e difendere il sistema cambiandone le cose che non funzionano. Rispetto a questo scenario, Franceschini ha invitato a ripensare l’Italicum dopo il Referendum Costituzionale (che non riguarda la legge elettorale), valutando se non sia il caso di garantire il premio di maggioranza alla coalizione invece che alla lista. Da qui a dire che Franceschini o altri stanno abbandonando Renzi ce ne passa, tanto che l’altra metà dell’intervento di Franceschini era incentrata a ricordare il fatto che solo con Renzi si sono potute fare riforme come quella della scuola (andando in urto con gli insegnanti) o le unioni civili (andando in urto con la Chiesa), mentre altri si sarebbero fermati davanti alle resistenze.
La discussione sulla legge elettorale e il premio alla coalizione piuttosto che alla lista è comunque da valutare ma anche rispetto alle forze in Parlamento: alla Camera la discussione è nelle mani del PD ma al Senato non si può prescindere da altre forze politiche.
Resta chiaro che non c’è l’idea di rendere sistemiche le grandi alleanze. Noi siamo alternativi alle altre forze. Il lavoro fatto in questi due anni è volto a completare una legislatura costituente per poi consentire agli elettori di scegliere tra opzioni diverse. La nostra opzione è quella del PD a vocazione maggioritaria.
In generale, il quadro nazionale e internazionale è mutato in questi anni ma Renzi ne è consapevole, tanto che ha invitato a lavorare per completare quelle riforme che il Paese aspetta da oltre vent’anni perché poi dobbiamo pensare a costruire un futuro in cui oggi serve anche altro per ridare forza alle istituzioni, non solo alla politica.
In un grande partito è fisiologico che ci siano dentro idee diverse. L’impressione, però, è che nel PD la differenza non stia nella concezione del mondo ma purtroppo stia nel valutare e sostenere o non sostenere lo sforzo riformista che ha fatto il Governo in questi due anni. Non voglio pensare che questa differenza sia anche dovuta al ruolo diverso che oggi si occupa nel partito. Credo che sia giusto stare in un partito anche criticando fortemente la posizione di chi lo gestisce ma fare di questo la ragione per cui si sta in un partito o far apparire che questa sia la ragione per cui si sta nel partito è sbagliato. Noi abbiamo bisogno di una minoranza che sia di stimolo ma che sostenga lo sforzo che stiamo facendo.
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