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Industry 4.0 leva per l’Italia ma serve formazione

Written by Patrizia Toia.

Patrizia ToiaIntervista pubblicata da K4B.
Industry 4.0, Internet of Things, Digital Fabrication. Sono questi i termini che sottendono quella che molti ormai definiscono la quarta rivoluzione industriale. Che, come quelle che l’hanno preceduta, non sarà indolore perché la trasformazione dei processi produttivi aprirà tante nuove opportunità per chi è pronto a coglierle, ma metterà fuori gioco tante aziende e tanti lavoratori. Serve dunque investire di più nella formazione sulle nuove tecnologie. Solo così anche l’Italia potrà cogliere i vantaggi del cambiamento. Ne abbiamo parlato con l’On. Patrizia Toia, capodelegazione PD al Parlamento europeo e Vicepresidente Commissione ITRE.
K4B. Onorevole Toia, la Commissione Europea ha accelerato sul tema del digitale con molteplici interventi in settori come la ricerca scientifica e l’industria manifatturiera. È una buona notizia per l’Europa. ritiene lo sia anche per l’Italia?
Sicuramente sì. Il fatto che questa Commissione europea abbia deciso di affrontare con decisione la sfida del cambiamento imposto dalle tecnologie digitali è anche una buona notizia per l’Italia. Innanzitutto perché l’economia del nostro Paese dipende in buona parte da quella del resto del Continente e se l’Europa cresce di più è indirettamente anche l’Italia a beneficiarne. In secondo luogo perché le nostre aziende e le nostre amministrazioni hanno maggiori possibilità di accedere ai tanti finanziamenti e alle tante opportunità offerte dai piani europei per la digitalizzazione. La Commissione europea, ad esempio, prevede di investire 500 milioni di euro in una rete paneuropea di poli di innovazione digitale e l’Italia ha tutte le carte in regola per fare la sua parte. In tutto si prevede che soltanto i piani per la digitalizzazione dell’industria mobiliteranno più di 50 miliardi di euro tra investimenti pubblici e privati. E’ vero che in passato le nostre amministrazioni locali non hanno saputo sfruttare le opportunità offerte dai finanziamenti europei, ma oggi il sistema Paese sta cambiando e il raccordo con Bruxelles è molto più stretto che negli anni passati. Il risultato è che oggi l’Italia è il primo Paese beneficiario del piano Juncker per gli investimenti con 29 iniziative già programmate per 1,7 miliardi di euro di fondi, che con l’effetto leva potranno mobilitare risorse fino a 12 miliardi di euro.
K4B. Tra i capitoli di intervento più rilevanti vi sono i fondi e le iniziative legate all’Industria 4.0 per temi all’avanguardia come l’Internet of Things e la Digital Fabrication. Si tratta di azioni utili anche per il nostro tessuto di PMI?
Si tratta di azioni utili soprattutto per le PMI. La grande industria ha meno problemi a investire in ricerca e nei nuovi processi produttivi. Sono proprio le piccole e medie imprese quelle che rischiano di rimanere indietro nella quarta rivoluzione industriale e quelle che beneficiano di più degli investimenti pubblici nelle infrastrutture come il 5G o la banda larga, così come nella formazione del personale. La sfida della competitività e del digitale potrà essere vinta dalle PMI solo se riusciranno a mettersi in rete, avviando partenariati e collaborazioni tra loro e con strutture pubbliche come centri di ricerca e università.
K4B. Molto interessante è il capitolo teso a fornire un ambiente di conoscenza e di confronto per i ricercatori e i professionisti dei settori scientifici. Quali ambiti ritiene siano maggiormente interessati da questa attività?
Il progetto della Commissione di creare un cloud europeo, che come primo obiettivo fornirà a 1,7 milioni di ricercatori e 70 milioni di professionisti della scienza e della tecnologia europei un ambiente virtuale per l’archiviazione, la gestione, l’analisi e il riutilizzo di grandi volumi di dati della ricerca, avrà ricadute su tutti gli ambiti di attività. Ovviamente però saranno i settori che puntano a prodotti ad alto valore aggiunto quelli che saranno più toccati da queste iniziative. In questo tipo di attività il settore italiano presenta molte punte di eccellenza ma anche molti ritardi che dobbiamo colmare velocemente. Se vogliamo essere presenti nei mercati mondiali con il nostro export dobbiamo puntare su produzioni che hanno una solida base di innovazione e creatività.
K4B. Il fil rouge di questo piano è la necessità di investire, a tutti i livelli, in educazione e formazione. Pensa sia un obiettivo raggiungibile per l’Italia?
Ce la possiamo fare a patto di riconoscere che in Italia su questo siamo in ritardo. Gli ultimi dati Eurostat indicano che l’Italia è in coda alla classifica europea per numero di laureati nella fascia di età tra i 30 e i 34 anni, che da noi sono il 25,3%, contro una media Ue del 38,7%. Certo sono stati fatti dei passi avanti negli ultimi anni. Nel 2002 questa percentuale era ferma al 13,1%, ma bisogna andare più veloci. Soprattutto bisogna investire di più nella formazione sulle nuove tecnologie. Tutte le stime indicano che in futuro ci saranno centinaia di migliaia di posti di lavoro nel settore dell’Ict che resteranno vacanti per mancanza di personale con una formazione adeguata.
K4B. La grande sfida è che il digitale in Europa aiuti a creare occupazione, il che è possibile solo se saremo capaci di qualificare sempre più le competenze. Pensa che questo piano vada nella direzione giusta?
Penso che il piano vada nella direzione giusta, ma non dobbiamo farci illusioni: la transizione all’economia digitale non sarà indolore. Il cambiamento dei processi produttivi aprirà tante nuove opportunità per chi è pronto a coglierle, ma metterà fuori gioco tante aziende e tanti lavoratori. Per questo è un processo che va guidato con attenzione, investendo in anticipo nelle nuove tecnologie, ma anche proteggendo e aiutando a riqualificarsi chi ha perso il posto. All’ultimo World Economic Forum di Davos sono state presente delle stime secondo cui nel mondo da qui al 2020 si perderanno 7,1 milioni di posti di lavoro, a causa della quarta rivoluzione industriale, a cui faranno da contrappeso la nascita di altri 2,1 milioni di posti di lavoro più specializzati. Significa che scompariranno 5 milioni di posti di lavoro. In Italia le stime sono più ottimistiche e indicano che da qui al 2020 si perderanno 200mila posti di lavoro ma se ne creeranno altrettanti, con un saldo pari a zero. A noi però questo non basta, dobbiamo cavalcare il cambiamento per diminuire la disoccupazione a garantire posti di lavoro stabili e qualificati alle nuove generazioni.

Per seguire l'attività dell'On. Patrizia Toia: sito web - pagina facebook

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