L’accordo tra UE e Turchia
Articolo pubblicato da L’Unità (PDF).
Per fare un accordo serio ed equilibrato ci vogliono due soggetti parimenti forti, interessati e leali. Un accordo Ue-Turchia deve essere negoziato da un’Unione Europa europea unita e con le idee chiare, non da un gruppo scoordinato di Paesi, barricato dietro i propri interessi nazionali, pronto a rinunciare ai propri valori, alla propria storia e all’imperativo categorico del rispetto del diritto internazionale.
Un gruppo del genere negozierà inevitabilmente in condizioni di subalternità con la pretenziosa e poco democratica Turchia.
Dopo il summit di lunedì scorso a Bruxelles e dopo la chiusura a catena delle frontiere dei Paesi della rotta balcanica di martedì, l’impressione è che gli Stati membri dell’Ue e gli aspiranti tali si illudano che la “soluzione esterna” li esoneri dalle proprie responsabilità storiche. Si pensa forse che vi sia la possibilità di “subappaltare” a qualcun altro la gestione di un fenomeno epocale come la crisi migratoria o che sborsando qualche miliardo sia possibile invertire il corso della storia, liberarsi magicamente della difficoltà di costruire l’Unione europea e riaccomodarsi nei propri confini nazionali fortificati. Non esistono scorciatoie. Possiamo offrire tutti i soldi del mondo, ma nessuno potrà sostituirsi a noi. Peraltro nelle ultime ore Ankara ha già mandato abbondanti segnali sul fatto che non è disponibile a diventare il campo profughi dell’Europa. Se poi si vuole tornare all’Europa degli Stati-Nazione quello che serve non è un frettoloso ed equivoco accordo Ue-Turchia, ma una DeLorean volante, la macchina del tempo di Ritorno al Futuro. Nel dibattito all’Europarlamento a Strasburgo molti di noi eurodeputati Pd, ma anche altri, hanno criticato duramente le troppe ambiguità della bozza di accordo con la Turchia uscita dal summit di lunedì.
Certamente una forte cooperazione con Ankara, così come con tutti i Paesi di transito e di origine. Però il rispetto del diritto internazionale è imprescindibile. Dunque sarebbe inaccettabile che il rimpatrio verso i campi profughi turchi sia applicato a quelle persone che hanno affrontato un viaggio durissimo e pericoloso per arrivare in Grecia. Nessuno tra quelli già presenti in Europa può essere rimandato alla casella di partenza come in un tragico gioco dell’oca. Dobbiamo farci carico urgentemente delle 42 mila persone intrappolate in Grecia e delle altre 10 mila nei Balcani.
In secondo luogo, l’idea di creare centri in Turchia e dare la possibilità ai rifugiati di presentare domanda di asilo direttamente da lì è positiva, ma è accettabile solo se c’è la garanzia che a gestire il processo e a effettuare la selezione sarà la stessa Ue in collaborazione con le organizzazioni internazionali umanitarie. Terzo, non accetteremo alcuna soluzione che contempli rimpatri di massa e non permetta la valutazione di ogni singolo essere umano, caso per caso, come prevedono tutte le convezioni internazionali.
Quarto, serve un’attenzione particolare ai gruppi più vulnerabili tra i rifugiati. Quinto, l’Unione europea non può venir meno alle proprie responsabilità di accoglienza e integrazione, quindi deve COMUNQUE avere (è inevitabile) un meccanismo di redistribuzione obbligatorio e permanente, né può venir alle proprie responsabilità sul piano internazionale e nella crisi siriana. Per questo chiediamo che la settimana prossima al vertice europeo del 17 e 18 marzo l’accordo sia modificato in questa direzione e che a Bruxelles si presenti l’Unione europea, quella vera, se ancora vuole esserci.
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