Niente diktat dall'Ue
“Ma no... certe preoccupazioni non le capisco. Il mercato non è una minaccia, e la globalizzazione è una grande opportunità: l’Italia deve aprirsi. E’ per questo che vado volentieri a Milano: per dare atto della grande sfida che il Paese lancia con la quotazione in Borsa della Ferrari...”. Domenica pomeriggio, voci di sottofondo, Matteo Renzi è a Pontassieve per ancora qualche ora in famiglia, e si entusiasma a parlare della rossa di Maranello.
«Quando Marchionne mi annunciò l’idea della quotazione in Borsa a New York - racconta ancora il premier - gli chiesi di farlo anche qui da noi. Magari ci aveva già pensato, ma voglio ringraziarlo lo stesso. E anche questa operazione, che io apprezzo, in fondo è il segno che il capitalismo di relazione è finito, e che è il tempo dell’apertura e della trasparenza».
Insomma una buona notizia, presidente: che certo aiuta, di fronte a certe turbolenze che paiono in arrivo da Bruxelles...
«A cosa si riferisce, scusi?».
Alla quantità di contenziosi che l’Italia ha aperto in Europa, e con la Germania in particolare.
«È sbagliato chiamarli contenziosi. Ho un ottimo rapporto con Juncker, che sarà qui a febbraio. E Angela Merkel volle conoscermi quando ero ancora sindaco di Firenze. Non ci sono contenziosi o problemi personali: ci sono solo questioni politiche e di regole che, come è giusto che sia, devono valere o per tutti o per nessuno».
E invece non è sempre così?
«L’Italia ha avuto per anni problemi con l’Europa: direi dai tempi del rispetto dei parametri di Maastricht per entrare nell’euro, passaggio rispetto al quale Prodi e l’Ulivo fecero un lavoro gigantesco. Oggi, però, non è più così: l’Italia è tornata e mantiene gli impegni, anche se qualcuno non si è ancora liberato dell’ansia italica dei compiti da fare a casa. Noi non vogliamo venir meno alle regole che ci siamo dati: chiediamo solo il rispetto di quelle regole. E bisogna smetterla di pensare a un’Italia sempre con il cappello in mano».
C’è qualcuno che non rispetta le regole, dunque? Lei ha molto polemizzato con Angela Merkel nelle ultime settimane...
«Nessuna polemica tra me e Angela. Io ho solo fatto delle domande: per esempio, se i gasdotti vanno bene quando sono fatti nell’Europa del nord e meno bene quando si ipotizza di farli al sud. Oppure se la flessibilità possono praticarla alcuni Paesi mentre altri no. Ma vedrà che - come sempre e nell’interesse di tutti - troveremo buone soluzioni...».
Quindi non teme “vendette” per le questioni poste - e poste con inedita franchezza? Per esempio: è aperta una procedura d’infrazione per l’intervento del governo sull’Ilva di Taranto: cosa si aspetta?
«Vendette? Non credo alle vendette. E a certo provincialismo nostrano, anzi, dico: basta considerare l’Europa una nemica o una maestrina. Porre le questioni con chiarezza è utile a noi e all’Europa stessa. Poi, che qualcuno amerebbe veder chiudere Taranto, è cosa nota: ma non lo accetteremo. Per l’Italia è finito il tempo della paura: rispetto per tutti ma paura di nessuno. E diciamo una parola chiara sulla Germania: su alcune cose abbiamo da imparare, da copiare. Ma quel che non mi piace, qui da noi, è una certa subalternità psicologica che ormai trovo surreale».
Intende il sentirsi sempre indietro, sempre alla ricerca di legittimazioni?
«Si tratta di stati d’animo non più comprensibili. Si pensi a quel che abbiamo fatto in questi venti mesi e dove eravamo due anni fa. In un anno abbiamo fatto la riforma del lavoro tenendo i conti in ordine (la Germania ci mise di più e sforò nel rapporto debito Pil; abbiamo riformato la giustizia, la scuola, la legge elettorale, le norme in materia di corruzione... L’Italia di questi giorni è altra cosa rispetto a prima: il Paese riparte, ripartono i mutui, l’edilizia, c’è ottimismo tra i consumatori...».
Però Eurostat segnala una crescita più lenta rispetto ai grandi Paesi europei: l’industria è ripartita con più fatica e la disoccupazione giovanile diminuisce a velocità ridotta...
«Ma dico: scherziamo? Abbiamo avuto tre anni di recessione sconosciuta in altri Paesi. Pensi al nostro Pil: -2,3 con Monti, -1,9 con Letta e con me -0,4 l’anno scorso. Quest’anno siamo cresciuti dello 0,8%, nel 2016 lo faremo del doppio. L’Italia è ripartita, siamo fuori dal pantano del 2013. Dopo anni di grigiume, come diciamo a Firenze, il clima è decisamente cambiato. Del resto, un Paese nel quale i commentatori si esercitano da giorni su 30 secondi di ritardo nel segnalare l’avvio dell’anno nuovo, mi rassicura: vuol dire che problemi più seri su cui discettare non ce ne è...».
Purtroppo ce ne sono, presidente... Uno l’aspetta al varco: la disciplina delle unione civili. Come pensa di uscirne?
«È una ferita che va sanata, siamo fanalino di coda in Europa».
Già, ma come? Come pensa di risolvere, per esempio, il problema della cosiddetta stepchild adoption? Stralcerà la norma o andrà avanti, chi ci sta ci sta?
«Il tema è di quelli che toccano la sensibilità dei singoli parlamentari, e bisogna tenerne conto: su alcuni punti ci sarà la libertà di coscienza. Quello che è certo è che la legge va fatta, subito. C’è discussione nei partiti, lo so. E anche nel Pd ci sono idee diverse. Discuteremo ancora, naturalmente: ma il momento di tirare le fila e concludere ormai è venuto».
Ed è vero che la sua principale preoccupazione, di questi tempi, è la crescita del Movimento di Beppe Grillo, che pure è pronto a votare quel provvedimento?
«La mia preoccupazione è il Paese, la sua ripresa, il suo rilancio. Quanto ai Cinque Stelle, il loro modo di governare è il miglior spot per il Pd. Io li rispetto, ma amministrano una dozzina di Comuni su 8mila e lo fanno tra fallimenti ed espulsioni. Passare dalle veline del blog alla realtà è complicato, me ne rendo conto...».
Un’ultima cosa: è proprio vero che ha visto il film-evento di Checco Zalone?
«Sì, con i miei figli, che conoscono a memoria tutte le battute dei suoi film. Io ho riso dall’inizio alla fine».
E il dibattito che ne è sorto? Se è di destra, di sinistra, di centro, insomma?
«Sorrido di fronte a certi cambi di atteggiamento: fino a ieri era un reietto, volgare, snobbato da certi intellettuali».
E invece?
«Non entro nel dibattito. Dico che Zalone è un uomo molto intelligente, e che l’operazione di lancio del film è un capolavoro, geniale. In sala c’era gente normale, che si è divertita. E i professionisti del radical-chic, che ora lo osannano dopo averlo ignorato o detestato, mi fanno soltanto sorridere».