Yes she can, con lei è tornata la speranza
Articolo della Stampa.
Il “ragazzo magro con un nome buffo” è diventato grande. E ora, vent’anni dopo la prima apparizione a una Convention, Boston 2004, si trova a lanciare un’altra persona con un nome «buffo che crede in un Paese in cui tutto è possibile».
Sono passati vent’anni da quando Barack Obama, allora un illustre sconosciuto in cerca di un posto di senatore, teneva il keynote speech alla Convention di Boston per lanciare il ticket democratico Kerry-Edwards. Quella notte Barack Obama raccontò in appena 16 minuti la sua storia, gettò le basi della «politica della speranza» e degli Stati Uniti rafforzati dalle loro differenze. Divenne quattro anni il primo presidente black. E ieri è toccato a lui, che l’American Dream l’ha portata sull’uscio del 1600 di Pennsylvania Avenue, lanciare la corsa di Kamala Harris, la prima donna di colore che potrebbe approdare alla Casa Bianca.
Obama è considerato uno dei registi occulti dell’uscita di scena di Biden. I suoi collaboratori – fra tutti David Axelrod – sono stati fra i primi a sottolineare l’impossibilità da parte del presidente di sconfiggere Trump.
Quando Harris è scesa in campo però Barack e Michelle hanno atteso cinque giorni prima di concederle l’endorsement. Una mossa dettata dalla strategia di evitare un’incoronazione bypassando comunque la volontà della base. Perché il legame fra Harris e Obama è saldo e risale sin al 2008 quando l’allora procuratrice di San Francisco fu fra i primi politici eletti a dichiarare il suo sostegno per il giovane senatore nero nelle primarie democratiche. Una mossa che evidentemente ha pagato vent’anni dopo.
Obama ha spiegato perché Harris potrà portare i democratici alla vittoria, ma è stato anche schietto sulla missione difficile che attende i democratici nelle prossime 11 settimane. Un’affermazione in linea con quando va ripetendo a Chicago David Axelrod, lo stratega che portò Obama alla Casa Bianca, il quale alla CNN ha detto che se si votasse oggi Trump potrebbe vincere.
È stata la serata degli Obamas, prima dell’ex presidente infatti ha scaldato il popolo democratico Michelle Obama con un discorso potente, fortissimo, pronunciato talvolta in un silenzio sin spettrale davanti a una platea pronta a esplodere in boati e applausi e a ripetere “do something”, fate qualcosa, diventato lo slogan di un’America democratica pronta a mobilitarsi nelle prossime settimane per impedire a Trump di tornare alla Casa Bianca.
Michelle ha descritto Kamala Harris come «pronta» per la presidenza ma è stato quando ha affondato i colpi contro il tycoon che ha mostrato il perché il popolo democratico da anni sogna una sua candidatura alla presidenza. «Per anni Donald Trump ha fatto ogni cosa in suo potere per far sì che la gente ci tema». «La sua limitata e ristretta visione del mondo l’ha fatto sentirsi minacciato dall’esistenza di due instancabili lavoratori, altamente istruiti, persone di successo che sono pure black. E ora chi gli dirà che il lavoro che sta cercando potrebbe essere uno di quei black jobs», ha detto Michelle incendiando la platea e dipingendo lo scontro fra Kamala e Trump come quello fra chi ha «idee reali e soluzioni che rendono migliore la vita degli americani” chi invece duplica “bugie perfide, misogine e razziste».
Michelle ha poi introdotto “il 44esimo presidente degli Stati Uniti” e i decibel allo United Center sono saliti ancora. Il presidente ha mostrato che la chimica con il suo popolo non è cambiata, che il legame con i democratici è intatto da quando nel 2008 incassò lui la nomination. La gente lo ha seguito in quasi religioso silenzio infiammandosi di tanto in tanto, ridendo ad alcune battute, «non fate buu, votate» e poi riferendosi a un eventuale ritorno di Trump alla Casa Bianca: «l’abbiamo già visto questo film e sappiamo che i sequel sono sempre peggiori». Ma Obama ha messo la gravitas nelle sue parole evitando illusioni e facili entusiasmi perché la sfida è “difficile”. Ma Kamala, «she can» ha detto chiamando la folla a scandire lo slogan che è diventato il marchio di fabbrica. Obama ha onorato Biden, ha difeso la democrazia.
È stata anche la serata di Doug Emhoff, il second gentleman, che ha raccontato la sua storia e di come ha conosciuto – a un appuntamento al buio – Kamala Harris, diventata dieci anni fa (domani l’anniversario) sua moglie dopo il divorzio dalla prima, Kerstin. “Kamala è un guerriero gioioso” l’ha definita il marito dicendo che non “scappa mai davanti a una battaglia”. E in questo momento – ha concluso – è esattamente il presidente giusto.
Gli Obama scesi in campo per Kamala Harris non risparmiano colpi contro Donald Trump, usando una delle espressioni più criticate, quella del lavoro da neri che aveva indispettito anche la star della ginnastica Simone Biles. A lanciare l’artiglieria pesante è Michelle, che ha detto: «Chi dirà a Donald Trump che il lavoro che vuole potrebbe essere un altro di quei "lavori da neri”?».
Con graffiante ironia, Michelle Obama, durante il suo intervento la notte scorsa al dibattito, ha ricordato agli americani, in particolare agli elettori afroamericani, le dichiarazioni, da toni sia xenofobi che razzisti, dell'ex presidente riguardo al fatto che i migranti ruberebbero «black jobs», posti di lavoro da neri.
E l'ex first lady non ha esitato ad accusare Trump di fatto razzismo ricordando il ruolo che ebbe il tycoon nell'attaccare e minare la legittimità della presidenza del marito, Barack, primo presidente afroamericano della storia: «Per anni, Donald Trump ha fatto tutto quello che era in suo potere per spingere la gente a temerci - ha detto - la sua limitata e miope visione del mondo si sentiva minacciata da due grandi lavoratori, persone altamente istruite e di successo che erano afroamericane».
In contrasto con la visione di Trump, Michelle Obama, nel suo discorso tutto all'attacco, lontano dal motto diventato proverbiale del suo intervento alla convention del 2016, «quando vanno in basso, noi voliamo in alto», ha messo la candidatura di Kamala Harris che «comprende veramente il lavoro nascosto e l'impegno indefesso che ha sempre reso l'America grande».
Video degli interventi.
Articolo di Avvenire
«Yes, she can», cioè «Sì, lei può». Parla al cuore dell'America e alle orecchie del mondo l'endorsement da parte dell'ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama nei confronti della candidata democratica alla presidenza Kamala Harris durante il discorso di chiusura del secondo giorno della convention nazionale del partito. «Sta tornando la speranza» gli ha fatto eco l'ex first lady Michelle: «L'America è pronta per un nuovo capitolo. L'America è pronta per una storia migliore. Siamo pronti per una presidente, Kamala Harris» ha detto Obama a una folla acclamante a Chicago.
Michelle e Barack, gli ospiti forse più attesi dell'appuntamento, si sono contesi la prima serata americana. E se lui, che ha già messo a disposizione di Harris il suo staff elettorale e presidenziale, ha avuto il posto d’onore, era per lei che ci si attendeva il massimo degli ascolti. Michelle, la vera star dei democratici, che ha rifiutato di candidarsi al posto di Biden quando le è stato proposto, aprendo la porta a Kamala, ha accettato di parlare nella sua città natale solo per Harris, alla quale è legata da vent’anni da una calorosa amicizia. Nella vicepresidente l’ex first lady vede una versione al femminile del marito, che come lei ha mosso i primi passi in politica a livello locale, lui in Illinois lei in California, con la stessa determinazione di scrivere una nuova pagina di storia americana.
È stata proprio Michelle dare la parola al marito sul palco, da dove ha detto che lei e Harris hanno costruito le loro vite sugli stessi valori fondanti, nonostante le loro madri siano nate dall'altra parte dell'Oceano, facendo un velato riferimento alle dichiarazioni di Trump sulle origini della vicepresidente. «Harris è più che pronta per questo momento. È una delle persone più qualificate che si siano mai candidate alla presidenza. Ed è una delle più meritevoli» ha detto. In questo senso, ha aggiunto che la storia della vicepresidente «è quella della maggioranza degli americani che stanno cercando di costruire una vita migliore'', perché «nessuno ha il monopolio di ciò che significa essere un americano». Concetti ribaditi anche da Obama: «Kamala Harris è pronta per questo incarico» ha detto l'ex presidente sottolineando che Kamala «ha passato la vita a lottare per le persone che hanno bisogno di una voce. Abbiamo la possibilità di eleggere una persona che ha passato tutta la vita a cercare di dare alla gente le stesse possibilità che l'America ha dato a lei - ha proseguito -. Qualcuno che vi vede e vi ascolta e che si alzerà ogni singolo giorno e combatterà per voi: il prossimo presidente degli Stati Uniti d'America, Kamala Harris».
Prima degli Obama sul palco di Chicago era salito il second gentleman Doug Emhoff. «Kamala è una guerriera gioiosa. Sta facendo per il suo Paese quello che ha sempre fatto per le persone che ama. La sua passione andrà a beneficio di tutti noi quando sarà la nostra presidente» ha detto colui che potrebbe diventare il primo first gentleman nella storia americana. Nel frattempo Kamala e Walz erano a Milwaukee per un comizio nel forum in cui un mese fa i repubblicani hanno tenuto la loro convention. Per la campagna sono giornate di grandi successi se si considera non solo il buon andamento della della kermesse (con oltre 20 milioni di telespettatori che l'hanno seguita il primo giorno) ma anche la raccolta di quasi mezzo miliardo di dollari da quando il presidente Joe Biden ha abbandonato la corsa alla Casa Bianca.
Il “ragazzo magro con un nome buffo” è diventato grande. E ora, vent’anni dopo la prima apparizione a una Convention, Boston 2004, si trova a lanciare un’altra persona con un nome «buffo che crede in un Paese in cui tutto è possibile».
Sono passati vent’anni da quando Barack Obama, allora un illustre sconosciuto in cerca di un posto di senatore, teneva il keynote speech alla Convention di Boston per lanciare il ticket democratico Kerry-Edwards. Quella notte Barack Obama raccontò in appena 16 minuti la sua storia, gettò le basi della «politica della speranza» e degli Stati Uniti rafforzati dalle loro differenze. Divenne quattro anni il primo presidente black. E ieri è toccato a lui, che l’American Dream l’ha portata sull’uscio del 1600 di Pennsylvania Avenue, lanciare la corsa di Kamala Harris, la prima donna di colore che potrebbe approdare alla Casa Bianca.
Obama è considerato uno dei registi occulti dell’uscita di scena di Biden. I suoi collaboratori – fra tutti David Axelrod – sono stati fra i primi a sottolineare l’impossibilità da parte del presidente di sconfiggere Trump.
Quando Harris è scesa in campo però Barack e Michelle hanno atteso cinque giorni prima di concederle l’endorsement. Una mossa dettata dalla strategia di evitare un’incoronazione bypassando comunque la volontà della base. Perché il legame fra Harris e Obama è saldo e risale sin al 2008 quando l’allora procuratrice di San Francisco fu fra i primi politici eletti a dichiarare il suo sostegno per il giovane senatore nero nelle primarie democratiche. Una mossa che evidentemente ha pagato vent’anni dopo.
Obama ha spiegato perché Harris potrà portare i democratici alla vittoria, ma è stato anche schietto sulla missione difficile che attende i democratici nelle prossime 11 settimane. Un’affermazione in linea con quando va ripetendo a Chicago David Axelrod, lo stratega che portò Obama alla Casa Bianca, il quale alla CNN ha detto che se si votasse oggi Trump potrebbe vincere.
È stata la serata degli Obamas, prima dell’ex presidente infatti ha scaldato il popolo democratico Michelle Obama con un discorso potente, fortissimo, pronunciato talvolta in un silenzio sin spettrale davanti a una platea pronta a esplodere in boati e applausi e a ripetere “do something”, fate qualcosa, diventato lo slogan di un’America democratica pronta a mobilitarsi nelle prossime settimane per impedire a Trump di tornare alla Casa Bianca.
Michelle ha descritto Kamala Harris come «pronta» per la presidenza ma è stato quando ha affondato i colpi contro il tycoon che ha mostrato il perché il popolo democratico da anni sogna una sua candidatura alla presidenza. «Per anni Donald Trump ha fatto ogni cosa in suo potere per far sì che la gente ci tema». «La sua limitata e ristretta visione del mondo l’ha fatto sentirsi minacciato dall’esistenza di due instancabili lavoratori, altamente istruiti, persone di successo che sono pure black. E ora chi gli dirà che il lavoro che sta cercando potrebbe essere uno di quei black jobs», ha detto Michelle incendiando la platea e dipingendo lo scontro fra Kamala e Trump come quello fra chi ha «idee reali e soluzioni che rendono migliore la vita degli americani” chi invece duplica “bugie perfide, misogine e razziste».
Michelle ha poi introdotto “il 44esimo presidente degli Stati Uniti” e i decibel allo United Center sono saliti ancora. Il presidente ha mostrato che la chimica con il suo popolo non è cambiata, che il legame con i democratici è intatto da quando nel 2008 incassò lui la nomination. La gente lo ha seguito in quasi religioso silenzio infiammandosi di tanto in tanto, ridendo ad alcune battute, «non fate buu, votate» e poi riferendosi a un eventuale ritorno di Trump alla Casa Bianca: «l’abbiamo già visto questo film e sappiamo che i sequel sono sempre peggiori». Ma Obama ha messo la gravitas nelle sue parole evitando illusioni e facili entusiasmi perché la sfida è “difficile”. Ma Kamala, «she can» ha detto chiamando la folla a scandire lo slogan che è diventato il marchio di fabbrica. Obama ha onorato Biden, ha difeso la democrazia.
È stata anche la serata di Doug Emhoff, il second gentleman, che ha raccontato la sua storia e di come ha conosciuto – a un appuntamento al buio – Kamala Harris, diventata dieci anni fa (domani l’anniversario) sua moglie dopo il divorzio dalla prima, Kerstin. “Kamala è un guerriero gioioso” l’ha definita il marito dicendo che non “scappa mai davanti a una battaglia”. E in questo momento – ha concluso – è esattamente il presidente giusto.
Gli Obama scesi in campo per Kamala Harris non risparmiano colpi contro Donald Trump, usando una delle espressioni più criticate, quella del lavoro da neri che aveva indispettito anche la star della ginnastica Simone Biles. A lanciare l’artiglieria pesante è Michelle, che ha detto: «Chi dirà a Donald Trump che il lavoro che vuole potrebbe essere un altro di quei "lavori da neri”?».
Con graffiante ironia, Michelle Obama, durante il suo intervento la notte scorsa al dibattito, ha ricordato agli americani, in particolare agli elettori afroamericani, le dichiarazioni, da toni sia xenofobi che razzisti, dell'ex presidente riguardo al fatto che i migranti ruberebbero «black jobs», posti di lavoro da neri.
E l'ex first lady non ha esitato ad accusare Trump di fatto razzismo ricordando il ruolo che ebbe il tycoon nell'attaccare e minare la legittimità della presidenza del marito, Barack, primo presidente afroamericano della storia: «Per anni, Donald Trump ha fatto tutto quello che era in suo potere per spingere la gente a temerci - ha detto - la sua limitata e miope visione del mondo si sentiva minacciata da due grandi lavoratori, persone altamente istruite e di successo che erano afroamericane».
In contrasto con la visione di Trump, Michelle Obama, nel suo discorso tutto all'attacco, lontano dal motto diventato proverbiale del suo intervento alla convention del 2016, «quando vanno in basso, noi voliamo in alto», ha messo la candidatura di Kamala Harris che «comprende veramente il lavoro nascosto e l'impegno indefesso che ha sempre reso l'America grande».
Video degli interventi.
Articolo di Avvenire
«Yes, she can», cioè «Sì, lei può». Parla al cuore dell'America e alle orecchie del mondo l'endorsement da parte dell'ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama nei confronti della candidata democratica alla presidenza Kamala Harris durante il discorso di chiusura del secondo giorno della convention nazionale del partito. «Sta tornando la speranza» gli ha fatto eco l'ex first lady Michelle: «L'America è pronta per un nuovo capitolo. L'America è pronta per una storia migliore. Siamo pronti per una presidente, Kamala Harris» ha detto Obama a una folla acclamante a Chicago.
Michelle e Barack, gli ospiti forse più attesi dell'appuntamento, si sono contesi la prima serata americana. E se lui, che ha già messo a disposizione di Harris il suo staff elettorale e presidenziale, ha avuto il posto d’onore, era per lei che ci si attendeva il massimo degli ascolti. Michelle, la vera star dei democratici, che ha rifiutato di candidarsi al posto di Biden quando le è stato proposto, aprendo la porta a Kamala, ha accettato di parlare nella sua città natale solo per Harris, alla quale è legata da vent’anni da una calorosa amicizia. Nella vicepresidente l’ex first lady vede una versione al femminile del marito, che come lei ha mosso i primi passi in politica a livello locale, lui in Illinois lei in California, con la stessa determinazione di scrivere una nuova pagina di storia americana.
È stata proprio Michelle dare la parola al marito sul palco, da dove ha detto che lei e Harris hanno costruito le loro vite sugli stessi valori fondanti, nonostante le loro madri siano nate dall'altra parte dell'Oceano, facendo un velato riferimento alle dichiarazioni di Trump sulle origini della vicepresidente. «Harris è più che pronta per questo momento. È una delle persone più qualificate che si siano mai candidate alla presidenza. Ed è una delle più meritevoli» ha detto. In questo senso, ha aggiunto che la storia della vicepresidente «è quella della maggioranza degli americani che stanno cercando di costruire una vita migliore'', perché «nessuno ha il monopolio di ciò che significa essere un americano». Concetti ribaditi anche da Obama: «Kamala Harris è pronta per questo incarico» ha detto l'ex presidente sottolineando che Kamala «ha passato la vita a lottare per le persone che hanno bisogno di una voce. Abbiamo la possibilità di eleggere una persona che ha passato tutta la vita a cercare di dare alla gente le stesse possibilità che l'America ha dato a lei - ha proseguito -. Qualcuno che vi vede e vi ascolta e che si alzerà ogni singolo giorno e combatterà per voi: il prossimo presidente degli Stati Uniti d'America, Kamala Harris».
Prima degli Obama sul palco di Chicago era salito il second gentleman Doug Emhoff. «Kamala è una guerriera gioiosa. Sta facendo per il suo Paese quello che ha sempre fatto per le persone che ama. La sua passione andrà a beneficio di tutti noi quando sarà la nostra presidente» ha detto colui che potrebbe diventare il primo first gentleman nella storia americana. Nel frattempo Kamala e Walz erano a Milwaukee per un comizio nel forum in cui un mese fa i repubblicani hanno tenuto la loro convention. Per la campagna sono giornate di grandi successi se si considera non solo il buon andamento della della kermesse (con oltre 20 milioni di telespettatori che l'hanno seguita il primo giorno) ma anche la raccolta di quasi mezzo miliardo di dollari da quando il presidente Joe Biden ha abbandonato la corsa alla Casa Bianca.