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Non esiste libertà senza dignità femminile

Written by Emilia De Biasi.

Emilia De Biasi
Articolo pubblicato da Lettera 43.
C'era anche una donna nel covo di Saint Denis, oggetto il 19 novembre del blitz della polizia francese contro i responsabili degli attentati di Parigi. Lei si chiamava Hasna Aït Boulahcen ed era una shaheeda, una martire del jihad. Pronta a immolarsi, pronta a uccidere. 
Oltre la cronaca è un particolare che induce a riflessioni su certa retorica degli anni passati sulla natura buona delle donne, contrapposta a quella malvagia degli uomini, preposti per natura alla guerra.
La capacità di generare, di essere madri porta naturalmente alla non violenza, si diceva, forse per giustificare una certa subalternità, un essere in secondo piano, in quanto portatrici di vita, ai portatori di morte.
Leggiamo ogni giorno di donne musulmane ancelle del terrorismo, guardiane di una rivoluzione di civiltà che condanna il velo troppo attillato, il trucco, il volto scoperto di altre donne musulmane che osano voler vivere la propria religione con la misura della libertà.
Sappiamo da tanto tempo che il fondamentalismo nega alle bambine l’istruzione, e a tutte persino di guardare la televisione. Ribellarsi porta alla condanna a morte, alla lapidazione.
DONNE ANNICHILITE NON SOLO IN MEDIO ORIENTE. Il mondo è globale per tutto, ma non ancora per la libertà femminile, annichilita in troppi luoghi della nostra terra da carcerieri, oppressori, assassini che si arrogano potere su corpi e menti femminili, su cui esercitano violenze inaudite e insopportabili per qualunque coscienza degna di questo nome.
Not in my name hanno detto le comunità islamiche a Roma e a Milano. Sono con loro. Not in my name la barbarie, not in my name la violenza contro le donne.
Ma sbaglieremmo se circoscrivessimo il fenomeno al solo fondamentalismo islamico, ingiustificabile sempre e comunque anche perché legato ad una strategia politica e militare in cui la religione si fa Stato in una gerarchia sociale che esclude dalla vita pubblica e dall’autonomia la popolazione femminile, o meglio il soggetto donna. LE LEGGI NON BASTANO. Nel mondo la violenza contro le donne fa più morti del cancro e degli incidenti stradali, e si annida dovunque, compreso nell’Occidente pasciuto e democratico. In Africa le bambine, le giovani donne sono le più povere tra i poveri, le più analfabete, vessate da mutilazioni genitali, dall’Aids contratto in orribili rapporti con uomini infetti. In India le bambine, le giovani donne vengono stuprate e si dà loro fuoco, rapite e fatte sparire nel nulla da poteri castali che in realtà nascondono solo l’eterna violenza su un soggetto considerato inferiore, meno ancora di un animale.Da noi, che pensiamo di essere moderni e avanti, è la violenza nel privato delle mura domestiche che la fa da padrona. Abbiamo le leggi, ma le leggi non bastano, se non cambia la cultura delle relazioni fra uomini e donne.
Ancora oggi abbiamo paura ad uscire da sole la sera, e speriamo che quando una storia d’amore finisce lui non diventi stalker, non ci ossessioni col suo non farsene una ragione.
Per troppo amore sì può morire, forse, come nelle migliori romanze della lirica, anche se consiglio di prendere tempo, perché tutto cambia se diamo tempo al tempo.
Ma per troppo amore non si può uccidere, eh no, questo proprio no.
SI IMPONE UNA RIFLESSIONE SERIA. L’amava troppo, lei non lo voleva più e allora lui l’ha riempita di coltellate, ma l’amava tanto...
Che pena gli uomini e le donne, spesso le mamme, che in tivù la menano con quel refrain.
E che palle sentire ancora che lei se l’è voluta la violenza, era sola, di notte, con quella gonna così corta… La sindrome dell’uomo cacciatore che perde la testa solo a immaginare cosa c’è dopo la coscia, quasi che quelle ragazze fossero delle fagianelle da impallinare e da esibire come trofeo agli amici fessi come loro.
Fermiamoci a pensare alla libertà femminile, in questo mese in cui il mondo celebra il suo impegno contro la violenza alle donne.
E se ci viene in mente Istanbul per una volta non pensiamo alla sicurezza globale ma alla Convenzione Internazionale che porta il nome di quella città, sottoscritta dai grandi della Terra per affermare la dignità delle donne, la loro libertà come condizione per la libertà di tutti, il loro diritto a una vita autonoma e pubblica, la maternità non più come inevitabile destino, ma come scelta, il rispetto del loro corpo come misura di civiltà.
Pensiamoci un minuto, forse capiremo meglio le origini di quel fondamentalismo che rende cupo il nostro presente.

Per seguire l'attività della Senatrice Emilia De Biasi: sito web - pagina facebook

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