Una deriva plebiscitaria
Articolo di Piero Fassino.
Inizierà questa settimana al Senato l'esame della proposta della destra di elezione diretta del primo ministro.
Una proposta che punta a cambiare radicalmente l'assetto della Repubblica Parlamentare introducendo un profilo plebiscitario del tutto escluso dalla nostra Costituzione.
Una proposta che riduce la figura del Presidente della Repubblica a semplice passivo notaio degli esiti elettorali, facendo venir meno quel ruolo di garanzia che in molti passaggi della vita politica italiana si è rivelato prezioso.
Ruolo peraltro confermato dal gradimento per il Presidente Mattarella, unica personalità a riscuotere la fiducia di 2/3 degli italiani, quando tutti i leader politici raccolgono la fiducia di non più di 1/3 dei cittadini.
Peraltro la elezione diretta del premier marginalizza del tutto il ruolo del Parlamento, puntando ad un rapporto diretto leader-popolo che mette in un angolo ogni istituzione e soggetto di rappresentanza.
Rivolgendosi ai cittadini la Presidente Meloni ha detto: "volete decidere voi o lasciare che a decidere siano i partiti". Frase di effetto efficace, ma del tutto demagogica.
Intanto è francamente sconcertante che demonizzi i partiti una personalità politica che ha costruito tutto il suo percorso solo e sempre in un partito, prima nelle organizzazioni giovanili del MSI, poi in Alleanza Nazionale di cui è stato parlamentare e ministro, e infine in Fratelli d'Italia di cui è fondatrice e presidente.
Ma poi non è vero che a decidere saranno i cittadini. L'esito della elezione diretta è che si consegna ogni decisione in modo esclusivo a una persona sola. Ed è la ragione per cui l'elezione diretta del capo del governo non è adottata in nessun Paese democratico. E l'unico Paese che lo ha sperimentato - Israele - dopo pochi anni lo ha abbandonato.
La verità è che la Presidente Meloni cerca il plebiscito che rafforzi ulteriormente il suo potere. Lo dimostra anche la tentazione di candidarsi in tutte le circoscrizioni alle prossime elezioni europee, concentrando il voto su per sé e il suo governo. Lo fa pensando che la distanza in questi anni cresciuta tra cittadini e politica - di cui è segno evidente l'aumento delle astensioni elettorali - sia un terreno favorevole a una deriva plebiscitaria. E i sondaggi peraltro dicono che non è impopolare la suggestione di affidare ogni decisione a una persona sola.
Che i cittadini vogliano un sistema politico e istituzionale più capace di decidere, più trasparente, più rapido e più in sintonia con le loro aspettative non è certo motivo di sorpresa o di scandalo.
Ma se si vuole davvero accrescere il potere dei cittadini le modalità non mancano. Intanto adottare una legge elettorale che restituisca agli elettori la scelta di chi eleggere (oggi l'elettore può solo votare una lista bloccata).
Altra misura - già adottata in Italia in precedenti elezioni - è l'indicazione nei simboli sottoposti a voto del nome del leader che, vincendo, avrà titolo per essere incaricato di formare il governo.
Ancora: in altri Paesi - Spagna, Polonia, Grecia - è formalmente statuito che il Presidente della Repubblica conferisca l'incarico di formare il governo al leader della lista che ha ottenuto più voti. Se questi non ottiene la fiducia del Parlamento, l'incarico passa al leader della seconda lista. Se anche in questo caso non si manifesta una maggioranza, il Presidente della Repubblica o conferisce l'incarico a una personalità terza o rinvia a nuove elezioni. Un sistema che rispetta il voto dei cittadini, ma consente di evitare paralisi.
La destra giustifica la sua proposta sostenendo che l'elezione diretta garantisce maggiore stabilità di governo, mettendolo al riparo da crisi, ribaltoni o maggioranze spurie.
Ma la maggiore stabilità si può benissimo conseguire con altri strumenti già in vigore in altri Paesi, come il "cancellierato" in Germania: "sfiducia costruttiva" per cui non si può aprire una crisi al buio e il governo in carica viene sostituito solo se preventivamente si formalizza una maggioranza alternativa; fiducia del Parlamento al solo Premier, rendendolo libero da condizionamenti e veti di maggioranza; potere del Premier non solo di proporre i ministri, ma anche di revocarli; corsie preferenziali e tempi certi di approvazione delle leggi. Sono le proposte che avanza il PD. E se davvero si volesse rendere più efficienti e rapide le decisioni si riproponga la riforma del bicameralismo, differenziando le competenze delle due Camere e evitando il doppio esame di ogni provvedimento.
Insomma: in gioco non è la efficienza del sistema, ma il profilo della democrazia, la rappresentatività delle istituzioni e la salvaguardia della sovranità dei cittadini.
Inizierà questa settimana al Senato l'esame della proposta della destra di elezione diretta del primo ministro.
Una proposta che punta a cambiare radicalmente l'assetto della Repubblica Parlamentare introducendo un profilo plebiscitario del tutto escluso dalla nostra Costituzione.
Una proposta che riduce la figura del Presidente della Repubblica a semplice passivo notaio degli esiti elettorali, facendo venir meno quel ruolo di garanzia che in molti passaggi della vita politica italiana si è rivelato prezioso.
Ruolo peraltro confermato dal gradimento per il Presidente Mattarella, unica personalità a riscuotere la fiducia di 2/3 degli italiani, quando tutti i leader politici raccolgono la fiducia di non più di 1/3 dei cittadini.
Peraltro la elezione diretta del premier marginalizza del tutto il ruolo del Parlamento, puntando ad un rapporto diretto leader-popolo che mette in un angolo ogni istituzione e soggetto di rappresentanza.
Rivolgendosi ai cittadini la Presidente Meloni ha detto: "volete decidere voi o lasciare che a decidere siano i partiti". Frase di effetto efficace, ma del tutto demagogica.
Intanto è francamente sconcertante che demonizzi i partiti una personalità politica che ha costruito tutto il suo percorso solo e sempre in un partito, prima nelle organizzazioni giovanili del MSI, poi in Alleanza Nazionale di cui è stato parlamentare e ministro, e infine in Fratelli d'Italia di cui è fondatrice e presidente.
Ma poi non è vero che a decidere saranno i cittadini. L'esito della elezione diretta è che si consegna ogni decisione in modo esclusivo a una persona sola. Ed è la ragione per cui l'elezione diretta del capo del governo non è adottata in nessun Paese democratico. E l'unico Paese che lo ha sperimentato - Israele - dopo pochi anni lo ha abbandonato.
La verità è che la Presidente Meloni cerca il plebiscito che rafforzi ulteriormente il suo potere. Lo dimostra anche la tentazione di candidarsi in tutte le circoscrizioni alle prossime elezioni europee, concentrando il voto su per sé e il suo governo. Lo fa pensando che la distanza in questi anni cresciuta tra cittadini e politica - di cui è segno evidente l'aumento delle astensioni elettorali - sia un terreno favorevole a una deriva plebiscitaria. E i sondaggi peraltro dicono che non è impopolare la suggestione di affidare ogni decisione a una persona sola.
Che i cittadini vogliano un sistema politico e istituzionale più capace di decidere, più trasparente, più rapido e più in sintonia con le loro aspettative non è certo motivo di sorpresa o di scandalo.
Ma se si vuole davvero accrescere il potere dei cittadini le modalità non mancano. Intanto adottare una legge elettorale che restituisca agli elettori la scelta di chi eleggere (oggi l'elettore può solo votare una lista bloccata).
Altra misura - già adottata in Italia in precedenti elezioni - è l'indicazione nei simboli sottoposti a voto del nome del leader che, vincendo, avrà titolo per essere incaricato di formare il governo.
Ancora: in altri Paesi - Spagna, Polonia, Grecia - è formalmente statuito che il Presidente della Repubblica conferisca l'incarico di formare il governo al leader della lista che ha ottenuto più voti. Se questi non ottiene la fiducia del Parlamento, l'incarico passa al leader della seconda lista. Se anche in questo caso non si manifesta una maggioranza, il Presidente della Repubblica o conferisce l'incarico a una personalità terza o rinvia a nuove elezioni. Un sistema che rispetta il voto dei cittadini, ma consente di evitare paralisi.
La destra giustifica la sua proposta sostenendo che l'elezione diretta garantisce maggiore stabilità di governo, mettendolo al riparo da crisi, ribaltoni o maggioranze spurie.
Ma la maggiore stabilità si può benissimo conseguire con altri strumenti già in vigore in altri Paesi, come il "cancellierato" in Germania: "sfiducia costruttiva" per cui non si può aprire una crisi al buio e il governo in carica viene sostituito solo se preventivamente si formalizza una maggioranza alternativa; fiducia del Parlamento al solo Premier, rendendolo libero da condizionamenti e veti di maggioranza; potere del Premier non solo di proporre i ministri, ma anche di revocarli; corsie preferenziali e tempi certi di approvazione delle leggi. Sono le proposte che avanza il PD. E se davvero si volesse rendere più efficienti e rapide le decisioni si riproponga la riforma del bicameralismo, differenziando le competenze delle due Camere e evitando il doppio esame di ogni provvedimento.
Insomma: in gioco non è la efficienza del sistema, ma il profilo della democrazia, la rappresentatività delle istituzioni e la salvaguardia della sovranità dei cittadini.