Parigi: sentimenti a caldo
É stato detto di tutto, anche che non è tutto. Dobbiamo prepararci a nuovi attacchi, dice il Ministro francese, e non solo in Francia. L'Europa è sotto assedio? É guerra? O Parigi è il detonatore di una futura inevitabile guerra a cui non siamo preparati, forse non sappiamo come si fa, e ci sembra di parlare di qualcosa di estraneo che si è infiltrato nella nostra vita, a cui soccombere impotenti, perché non sappiamo nemmeno cosa sia la potenza di fuoco, di terra, di bombe?
Come fare a individuare un kamikaze, a fermarlo prima che sia troppo tardi, noi che abbiamo lasciato correre, che tanto mica capita qui. E invece è capitato proprio qui, qui vicino, in quella Parigi che amiamo come patria della libertà, della vita lieve e frizzante, luogo privilegiato di vacanze d'amore, d'arte, di letteratura.
La Parigi del suo centro e delle sue periferie operaie di un tempo, dei film, non quella delle banlieu separate da strade e da disuguaglianze, ghetti in cui il fanatismo fondamentalista affonda nelle coscienze delle nuove generazioni islamiche come un coltello nel burro. Non concordo con chi con troppa facilità costruisce equazioni fra malessere sociale e terrorismo: si rischia un giustificazionismo che vela invece di rivelare la realtà. Certo ci sono anche ragioni sociali, c'è un terreno di coltura, ma sbaglieremmo se confondessimo emarginazione e terrorismo, religione e fondamentalismo. Erano giovani i kamikaze e i componenti dei commandos, giovani come tutti quelli innocenti che hanno ucciso senza alcuna pietà, come si spara agli uccelli nella stagione della caccia, la più terribile, che speravamo fosse scomparsa, quella agli esseri umani. Uso la ragione come un sentimento, e non va bene, ma non ho altri strumenti se non la razionalità illuminista per tentare una distanza dallo sconcerto e dall'inquietudine. Nessuno è più al sicuro, a quanto pare. E io che pensavo che fosse il momento di agire per evitare che la sicurezza potesse limitare la libertà mi trovo adesso a tifare per una sicurezza totale, efficace, spietata.
Oriana dunque aveva ragione? Ma no, l'odio semina odio. Ma non abbiamo esagerato in sottovalutazione, in buonismo, direbbe qualcuno? Non ho mai pensato che il laicismo neutrale possa tenerci al riparo dai fondamentalismi. Che sciocchezza il dibattito su se tenere o meno il crocifisso nelle aule delle nostre scuole, che miseria educativa non far vedere un quadro di Chagall col crocifisso per non offendere la sensibilità religiosa dei non cristiani. Che barbarie non fare il presepe a scuola perché ci sono bambini di altre religioni. É la nostra storia, sono le nostre pacifiche tradizioni. È di una cultura del rispetto e della reciprocità ciò di cui abbiamo tutti bisogno, indipendentemente da etnie, religioni, ideologie. Questa è l'Italia, un Paese in cui il rispetto non si misura dall'assenza di simboli nei luoghi pubblici. Non siamo neutrali, non possiamo permetterci un multiculturalismo che esalta la società come somma di minoranze che non comunicano fra di loro, se non per agire conflitto e contrapposizione. Convivere nelle differenze è forse un'utopia? La laicità è un valore essenziale dei nostri tempi, non lo è l'indifferenza. E allora mi chiedo perché le comunità islamiche non prendono pubblicamente e in modo definitivo le distanze dal terrorismo, se è vero come è vero che il tema non è se esista un islam moderato, ma come e se l'Islam intenda collocarsi come religione capace di convivere nella contemporaneità. Sono domande difficili e aspre, scomode, inevitabili. Lo sono nella vita quotidiana e nel lavoro della grande storia, quella delle diplomazie, che non hanno altra soluzione se non unirsi, tutte, contro la barbarie. La lotta è totale o non è. Non ci sono vie di mezzo, opportunismi, ragion di stato, c'è solo connivenza.
Ma alla fine Valeria non c'è più, e con lei quei tanti troppi, insopportabili morti, i feriti, le coscienze scosse che si leggono sui volti dei parigini, di cui sappiamo tutto, appagati anche nella morbosità di un'informazione sinceramente invadente, esagerata, allarmante e, in alcuni casi persino volgare nei titoli di quotidiani che si accontentano dell'insulto per non prendersi responsabilità nelle soluzioni. Sappiamo tutto, ma non il perché, quello profondo, quello che porta gli uomini a diventare come bestie che annientano i propri simili e si nascondono dietro la fede, vigliacchi fino a prendersela con le vignette, con chi ama la musica, chi va allo stadio, chi cammina per strada. Con tutti noi, in buona sostanza.
Non mi sento colpevole di nulla, non sopporto chi specula sui rischi del mondo per farci tornare indietro, non mi va di tenere bordone alla sociologia della miseria.
Il terrorismo è terrorismo, e non ammette relativismi, giustificazioni, neutralità.
La libertà è libertà, non sono ammesse gradazioni. Chi sa fare farà. Ma non ci è concesso restare alla finestra. La storia non aspetta i ritardatari del dubbio. Il nostro destino è il destino del mondo. Nessuno può chiamarsi fuori, neanche volendo. Roncisvalle è il passato, l'olifante ha suonato a Parigi speriamo per l'ultima volta.
Per seguire l'attività della Senatrice Emilia De Biasi: sito web - pagina facebook