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I danni del sovranismo

Written by Piero Fassino.

Articolo di Piero Fassino.

Diciamoci la verità: l'on. Meloni nell'Unione europea non ha mai creduto. Basta rivisitare discorsi, interviste, dichiarazioni di questi anni per ritrovare le parole d'ordine sovraniste, quali l'Europa delle nazioni, la Confederazione europea (l'opposto dell'Europa federale), la prevaricazione della burocrazia di Bruxelles, la denigrazione dell'euro.
E coerentemente l'on.Meloni ha coltivato alleanze con i sovranisti antieuropei, da Orban a Abascal ai populisti polacchi. E se non ha stabilito relazioni con la Le Pen è non solo perché Salvini è stato più lesto, ma anche per sottrarsi a una rischiosa competizione con la leader francese per la guida della destra europea. Ma per ciò che riguarda la UE le due donne la pensano allo stesso modo.
Naturalmente divenuta Presidente del Consiglio ha dovuto far di necessità virtù e per qualche mese ha moderato i toni, assestandosi su una posizione utilitaristica: prendo dall'Europa quel che mi serve, ma non condivido responsabilità. Una linea ambigua ed equivoca che non ha fugato le diffidenze di molte cancellerie e ha messo a rischio gli interessi del Paese.
E lo si è visto in questi giorni sul Patto di Stabilità, dove Roma è stata passiva spettatrice di ciò che si decideva a Bruxelles, Parigi e Berlino. E che i ministri francesi e tedeschi si siano affrettati a "informare" il ministro Giorgetti sottolinea ancor di più la irrilevanza del nostro governo.
Scelta incomprensibile, tanto più quando il governo dispone di due strumenti - il Trattato Italo-francese del Quirinale e il Piano di Azione Italo-tedesco - sottoscritti dal nostro Paese proprio per realizzare con Francia e Germania un'azione comune sui dossier strategici, esercitando una funzione di guida dell'Unione europea. Il che è inequivocabile conferma che l'attuale maggioranza di destra in quelle intese non crede, come non crede nella integrazione europea.
Un'ulteriore conferma è venuta dalla scelta di non ratificare la riforma del MES, il meccanismo europeo di intervento a sostegno dei Paesi che debbano gestire criticità finanziarie. Uno strumento già in vigore, ma che è in via di riforma per migliorarne efficacia e sostenibilità. Tutti i Paesi dell'Unione - salvo l'Italia - hanno già ratificato il testo riformato che tuttavia per entrare in vigore richiede l'unanimità. Il veto italiano ne blocca perciò l'attivazione con evidente danno per tutti. Una scelta incomprensibile perché si tratta semplicemente di ratificare il testo riformato, lasciando libero ogni Paese di decidere se utilizzarlo.
Insomma, due scelte che isolano l'Italia e ne danneggiano interessi e credibilità.
Peraltro anche sull'immigrazione il governo dopo tanto declamare subisce una sconfitta. Il "nuovo" Patto sull'asilo infatti non modifica significativamente il Regolamento di Dublino. Anzi, rende più stringente l'obbligo per i Paesi di primo approdo - come l'Italia - a gestire in casa i flussi migratori, rendendo più difficili i cosiddetti movimenti secondari (cioè la mobilità dei migranti tra paesi europei).
Se a questo si aggiunge la renitenza del governo italiano a dare corso alle strategie europee per la transizione energetica e la green economy, risulta evidente che l'atteggiamento di ostilità all'Unione europea è una delle linee guida del governo Meloni.
È forse per dare forza a una linea di isolamento che la Presidente del Consiglio ha indossato negli ultimi tempi toni particolarmente aggressivi.
C'è da chiedersi perché?
Nessuno ha contestato il successo elettorale conseguito alle elezioni di settembre e la legittimità del governo che ne è scaturito.
Essere la prima donna italiana a ricoprire l'incarico di capo del governo le ha conquistato simpatie, anche al di là della destra.
Sul piano internazionale non ha subito alcuna forma di discriminazione.
Il governo persegue legittimamente i suoi obiettivi e legittimamente l'opposizione fa valere le sue posizioni, come è del tutto normale in una democrazia.
Insomma, non ci sarebbe nessuna ragione per arroccarsi nella aggressività e nella arroganza.
In realtà la spiegazione c'è: ed è che l'on. Meloni non si sente "riconosciuta" perché sa che la storia politica da cui proviene - e da cui non ha mai preso le distanze - non appartiene alle radici della Repubblica democratica, né alle radici dell'Unione europea. E anziché fare i conti con questo limite, l'on. Meloni ha imboccato una linea di destabilizzazione. Lo ha fatto proponendo la elezione diretta del premier, ispirata da un rapporto plebiscitario leader-popolo che sovverte l'architettura costituzionale, emargina Parlamento e partiti, esalta la intermediazione sociale. E analogo atteggiamento destabilizzante persegue nei confronti dell'Europa.
Ma così si mettono a rischio gli interessi del Paese, senza peraltro che la credibilità di chi lo governa non ne risulti rafforzata.
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