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Una Chiesa che dialoga e si confronta

Written by Lorenzo Gaiani.

Lorenzo Gaiani
Articolo pubblicato su Il Giornale dei lavoratori.

E' inutile dire che sul discorso che Papa Francesco ha rivolto alla Chiesa italiana nel corso del V Convegno ecclesiale nazionale in corso a Firenze si tornerà a lungo: non sono parole di occasione, è una vera e propria Enciclica, sia pure breve ma densissima, rivolta alla Chiesa e al popolo italiano, anzi alle Chiese locali presenti nel corpo vivo del popolo di Dio che è in Italia.
Per importanza questo discorso può essere paragonato solo a quello svolto da Giovanni Paolo II a Loreto nel 1985 nel corso del II Convegno ecclesiale, solo che quel discorso aveva un segno completamente diverso. Con quell'intervento infatti il Papa polacco chiudeva definitivamente la vicenda della gestione post conciliare che l'episcopato scelto da Paolo VI aveva avviato e difficoltosamente cercava di portare avanti nella presenza di fenomeni di contestazione e di secolarizzazione che la Chiesa italiana era chiaramente impreparata ad affrontare, e che si rifletteva sulla questione irrisolta del rapporto con la politica, ed in particolare con l'esistenza di una dialettica pietrificata fra un partito di ispirazione cristiana ed il più forte partito comunista d' Occidente che richiamava non poche simpatie anche fra i credenti.
A questa Chiesa Giovanni Paolo – che l'Italia la capiva poco e che anzi in fondo non la capì mai completamente, visto che si muoveva su di un orizzonte globale – additava la via del ritorno ad un cattolicesimo militante che prendesse di petto la secolarizzazione sotto il profilo culturale e politico prima ancora che religioso fidando nello slancio dei nuovi movimenti ecclesiali più che nelle strutture associative ed ecclesiali tradizionali. L’'intervento del Papa a Firenze delinea un'altra stagione partendo soprattutto dal rifiuto di due tentazioni.
La prima è quella del pelagianesimo, così definita da un'antica eresia che riteneva che l'uomo potesse operare il bene anche senza l'aiuto della grazia divina ma fidando soprattutto sulle proprie buone opere. In senso traslato, il Papa applica questa categoria a chi primariamente pone la sua fiducia “nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte”, e qui il riferimento pare essere quello della complessa architettura della struttura della CEI.
La seconda è quella dello gnosticismo, ossia della tendenza a racchiudere nelle definizioni intellettualitiche la complessità della vita dimenticando la “tenerezza della carne”, la vita concreta delle persone. Anche questo sembra essere un preciso richiamo ad un'ufficialità ecclesiale che per molti, troppi anni è stata ammalata di “-ismi” , ossia di definizioni astratte delle varie correnti negative che attraversavano la società, quasi a voler costruire delle barriere artificiose che negavano la complessità dell'esistenza in favore dell'esercizio di un controllo intellettuale e disciplinare sulle persone.
In sostanza Francesco ripudia tutto ciò e chiede alla Chiesa italiana di recuperare la logica dell'incarnazione che implica l'inserimento del Logos divino nella realtà umana: in questo senso si comprende il richiamo al Don Camillo di Guareschi come ad una rappresentazione felice della modalità con cui il pastore sta in mezzo al suo gregge. E si comprende anche il richiamo ai Vescovi ad essere pastori “Niente di più: pastori”, che “annunciatori di Cristo, morto e risorto per noi”, puntando “all'essenziale, al kerigma”. Questa parola greca letteralmente significa “annuncio”, ma più in generale richiama all'essenzialità del messaggio cristiano – “convertitevi e credete al Vangelo” – senza quelle formulazioni teologiche e sociologiche, spesso legate, come dice il Papa a “conservatorismi e fondamentalismi” che sono essenzialmente sterili perché nella loro formulazione esauriscono ed estenuano le ben maggiori potenzialità della Parola di Dio vissuta sine glossa.
Questa è la radice della riforma della Chiesa, che non è riforma delle strutture ma dei cuori e delle menti, e che si esprime in pienezza essenzialmente nella pratica della carità a tutti i livelli, poiché è su essa che verremo giudicati dal Signore che “ha versato il suo sangue non per alcuni, né per pochi né per molti, ma per tutti”.
Ai laici il Papa dice in sostanza: fate voi, vedete nella situazione concreta quale è il vostro compito, avendo come stella polare l'opzione per i poveri come forma concreta dell'agire sociale e politico dei credenti e lo stile del dialogo, che non è negoziazione ma è ascolto, è ricerca del bene comune, è anche, sì, accettazione del conflitto per risolverlo e trasformarlo in una anello di collegamento di un nuovo processo.
L'unica richiesta specifica che il Papa formula a chi lo ascolta – e quindi non solo ai delegati al Convegno – è quella di avviare a tutti i livelli un “percorso sinodale” di approfondimento della Evangelii gaudium, confermando così il pensiero di molti per cui quell'Esortazione apostolica risalente ormai a circa due anni fa è il vero manifesto di questo pontificato.
E' evidente che Francesco considera ormai esaurita una stagione della vita della Chiesa italiana, quella della nostalgia, quella dei “principi non negoziabili”, quella dominata – come scrive Gianni Valente – dall'“angoscia per l'irrilevanza sociale della Chiesa”. Ovviamente a quella stagione sono legati nomi e cognomi ben precisi.
Ma Francesco non è venuto “dai confini del mondo” per dare ragione o torto agli uni o agli altri, né per dirimere questioni annose che mostrano solo l'arretratezza e la miseria culturale del cattolicesimo italiano: piuttosto egli è venuto, in modo spiazzante, a dire che il mondo ha fame del Vangelo, e che sarebbe ora di spalancare le porte e le finestre per dare aria, per uscire dalle logomachie e dalle formule preconfezionate e cercare di andare per le strade con “umiltà, disinteresse e beatitudine”.

Per seguire l'attività di Lorenzo Gaiani: sito web - pagina facebook

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