Aumentare il Fondo sanitario di 4 miliardi l’anno nel prossimo quinquennio
Intervista di Quotidiano Sanità a Marina Sereni.
Si torni ad investire in sanità o potrebbe sparire il Servizio sanitario nazionale universalistico per come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi. Servono 4 miliardi l'anno per i prossimi cinque anni per potersi riallineare almeno con la media Ocse. L'altra emergenza da affrontare è quella del personale migliorando le loro remunerazioni e condizioni di lavoro. Stop al fenomeno dei gettonisti in corsia. Questa la ricetta della responsabile sanità del PD, Marina Sereni, che in questa intervista a Quotidiano Sanità traccia le priorità dei dem in vista della prossima legge di Bilancio.
Di recente su QS abbiamo analizzato i più recenti dati Ocse, ne emerge un Ssn che nonostante un forte sottofinanziamento riesce a fare ancora miracoli in termini di esiti. Si evidenziano però criticità su personale e accesso ai servizi. Cosa ne pensa?
I dati sul definanziamento del Servizio sanitario nazionale non risalgono ad oggi, sono noti da tempo con la lodevole ma insufficiente eccezione degli ultimi anni della precedente legislatura. In Italia ormai da decenni si spende meno, sia in rapporto al Pil che per spesa pro capite, rispetto alla media dei paesi Ocse e molto meno di quei paesi maggiormente avanzati. Il fatto che in termini di esiti si abbiano ancora dati importanti ci dice che abbiamo un buon sistema sanitario, con un livello alto di professionalità capaci di garantire una buona qualità dei servizi nonostante le difficoltà. Ma ormai siamo su un piano inclinato molto pericoloso che, se non corretto, potrebbe portarci verso la fine del Servizio sanitario nazionale universalistico per come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi. Possiamo notarlo già oggi da due fattori.
Quali?
Abbiamo chi per mancanza di risorse proprie si trova nell’impossibilità di ricevere risposte adeguate alle proprie esigenze di salute. Al contempo, come spiega una ricerca condotta dalla Lumsa, abbiamo un ceto medio che si impoverisce se, come capita, si trova nelle condizioni di dover affrontare una malattia. Abbiamo quindi i poveri che non riescono a curarsi e un ceto medio che per curarsi si impoverisce. Si mettono così in discussione articoli 3 e 32 costituzione e rischia di venire meno la natura universalistica della nostra sanità pubblica. L’allarme per noi è molto forte. La crisi pandemica ci ha aperto gli occhi costringendoci a aumentare le risorse e a capire quanto sia importante investire sulla sanità pubblica, in particolare sulla sanità territoriale e sulla prevenzione, quindi su tutto ciò che viene prima dell’ospedale. Non solo screening, in una società dove c’è molta prevenzione conta anche l’attenzione a quei determinanti di salute sociali che fanno parte di una buona politica sanitaria di prevenzione. Il Covid dovrebbe aver fatto capire a tutti noi che non si può tornare indietro dal trend di crescita della spesa sanitaria e che sia quanto mai necessario raggiungere almeno la media di spesa dei paesi Ocse, con un livello superiore a 7% Pil. Per noi questo obiettivo è realizzabile in 5 anni aumentando il fondo sanitario di 4 miliardi l’anno. Poi c’è l’emergenza riguardante il personale sanitario.
Che si può fare?
Sul piano normativo per noi è fondamentale togliere il tetto alla spesa per il personale. Un tetto anacronistico che non ha mai prodotto un reale risparmio di spesa visto che nel tempo si è in parte aggirando l’ostacolo ricorrendo alla voce per spese e servizi e accrescendo il ricorso verso cooperative e gettonisti. Questo dei gettonisti è un fenomeno che dobbiamo stroncare. Mi rendo conto che non si potrà fare dall’oggi al domani, ma dobbiamo chiudere alla possibilità che negli ospedali vadano a lavorare cooperative mediche e gettonisti disincentivando il lavoro dipendente. Si pensi piuttosto ad investire sul personale sia in termini remunerativi che di organizzazione del lavoro e riorganizzazione delle strutture. Tutto questo deve essere fatto molto rapidamente. Sul piano numerico, non sono pochi i medici che abbiamo, siamo in piena media Ocse, il problema è che soprattutto i più giovani scelgono di non impegnarsi nelle strutture pubbliche a causa di stipendi bassi e turni di lavoro massacranti.
Di infermieri invece e abbiamo pochi.
Sì, ne mancano tantissimi come emerge anche dal rapporto Ocse. Se non aumentiamo la loro retribuzione e non riconosciamo un maggior valore al loro lavoro in termini anche di possibilità di carriera, non riusciremo ad invertire la tendenza della carenza alle iscrizioni al corso di laurea in scienze infermieristiche.
Negli ultimi mesi sia il ministro Fitto che il sottosegretario Gemmato hanno un po’ messo in discussione il progetto case della comunità, che idea si è fatta?
Mettere in discussione le case comunità per noi è un errore. Sentir dire da Fitto che si taglieranno oltre 400 case comunità e 96 ospedali di comunità dal Pnrr per realizzarli con i soldi per poi realizzarli con i finanziamenti per l’edilizia sanitaria non ha senso, quelle risorse servivano ad altro. Perché riduciamo gli investimenti su queste strutture del territorio? Il Pnrr che era stato pensato proprio per ridurre i divari territoriali. Così potrebbe invece acuirli dal momento che magari si realizzeranno case e ospedali comunità su quei territori dove già oggi esistono e non dove non c’è invece nulla per dare risposte sul territorio alle domande di salute dei cittadini. Così si continua a scaricare tutto sui pronto soccorso. La casa della comunità, insieme alla rete dei medici di famiglia e alle farmacie dovrebbe servire a fare anche da filtro. Cercare di smontare quell’impianto del Pnrr è un grave errore del governo Meloni.
Continua a crescere la spesa out of pocket, ulteriore segnale della difficoltà di accesso al Ssn.
Ormai è in atto un processo di privatizzazione inerziale, la spesa pubblica diminuisce - con la piccola parentesi del triennio 2019-2021 - ma la spesa privata aumenta ad un ritmo significativo, si rischia così di avere un sistema sanitario di serie A per chi può permetterselo e uno di serie B per gli altri. Noi non possiamo accettare questa idea. Abbiamo delle responsabilità sul passato che non neghiamo, ma proprio perché abbiamo visto in faccia l’importanza della salute come bene comune nel periodo del covid abbiamo il dovere di non ripetere gli errori commessi. Servono risorse in più ed una capacità di visione che non avvertiamo nelle politiche del governo. Il ministro Schillaci ha chiesto 4 miliardi, il Mef ha dato risposta negativa, non si può giocare con i numeri in sanità. Servono quei 4 miliardi in più per poter rinvertire la freccia. Ci sono anche disattenzioni che andrebbero denunciate. C’è circa 1 miliardo che sono appostati sul bilancio del ministero del Lavoro relativi a impatto delle disposizioni sulla regolarizzazione degli stranieri da ripartire alle Regioni. Questo conteggio è stato portato a termine, ci sono tutti i dati per ripartire queste risorse ma ancora non lo si fa. In una situazione di questo genere si deve avere anche l’attenzione a sentire quello che chiedono le Regioni.
Dal ministero della Salute si sta ipotizzando la possibilità di offrire il vaccino Covid gratuitamente solo a quelle fasce per cui è raccomandato lasciandolo a pagamento per gli altri. Sarebbe d’accordo?
Con le nuove varianti in circolazione e una ripresa dei contagi spero che il ministero possa fare scelte diverse. Bene una campagna vaccinale per sollecitare i fragili, soprattutto oggi che la tensione sul tema è molto calata. Molti fragili non hanno ricevuto ancora neanche la quarta dose. Starei però attenta a pensare che tutti gli altri debbano pagarsi il vaccino, si rischia così di disincentivare un’ampia copertura per tutta la popolazione.
A che punto siamo sulla non autosufficienza?
Sulla non autosufficienza è stata fatta legge delega, è tempo di fare decreti attuativi ma anche in quel caso se si vuole irrobustire la medicina del territorio e l’assistenza domiciliare in modo da non costringere le famiglie a portare i non autosufficienti in strutture assistenziali bisogna che quella riforma venga applicata e che, soprattutto, vengano immesse le necessarie risorse. Senza risorse la legge resterà solo sulla carta.
Si torni ad investire in sanità o potrebbe sparire il Servizio sanitario nazionale universalistico per come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi. Servono 4 miliardi l'anno per i prossimi cinque anni per potersi riallineare almeno con la media Ocse. L'altra emergenza da affrontare è quella del personale migliorando le loro remunerazioni e condizioni di lavoro. Stop al fenomeno dei gettonisti in corsia. Questa la ricetta della responsabile sanità del PD, Marina Sereni, che in questa intervista a Quotidiano Sanità traccia le priorità dei dem in vista della prossima legge di Bilancio.
Di recente su QS abbiamo analizzato i più recenti dati Ocse, ne emerge un Ssn che nonostante un forte sottofinanziamento riesce a fare ancora miracoli in termini di esiti. Si evidenziano però criticità su personale e accesso ai servizi. Cosa ne pensa?
I dati sul definanziamento del Servizio sanitario nazionale non risalgono ad oggi, sono noti da tempo con la lodevole ma insufficiente eccezione degli ultimi anni della precedente legislatura. In Italia ormai da decenni si spende meno, sia in rapporto al Pil che per spesa pro capite, rispetto alla media dei paesi Ocse e molto meno di quei paesi maggiormente avanzati. Il fatto che in termini di esiti si abbiano ancora dati importanti ci dice che abbiamo un buon sistema sanitario, con un livello alto di professionalità capaci di garantire una buona qualità dei servizi nonostante le difficoltà. Ma ormai siamo su un piano inclinato molto pericoloso che, se non corretto, potrebbe portarci verso la fine del Servizio sanitario nazionale universalistico per come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi. Possiamo notarlo già oggi da due fattori.
Quali?
Abbiamo chi per mancanza di risorse proprie si trova nell’impossibilità di ricevere risposte adeguate alle proprie esigenze di salute. Al contempo, come spiega una ricerca condotta dalla Lumsa, abbiamo un ceto medio che si impoverisce se, come capita, si trova nelle condizioni di dover affrontare una malattia. Abbiamo quindi i poveri che non riescono a curarsi e un ceto medio che per curarsi si impoverisce. Si mettono così in discussione articoli 3 e 32 costituzione e rischia di venire meno la natura universalistica della nostra sanità pubblica. L’allarme per noi è molto forte. La crisi pandemica ci ha aperto gli occhi costringendoci a aumentare le risorse e a capire quanto sia importante investire sulla sanità pubblica, in particolare sulla sanità territoriale e sulla prevenzione, quindi su tutto ciò che viene prima dell’ospedale. Non solo screening, in una società dove c’è molta prevenzione conta anche l’attenzione a quei determinanti di salute sociali che fanno parte di una buona politica sanitaria di prevenzione. Il Covid dovrebbe aver fatto capire a tutti noi che non si può tornare indietro dal trend di crescita della spesa sanitaria e che sia quanto mai necessario raggiungere almeno la media di spesa dei paesi Ocse, con un livello superiore a 7% Pil. Per noi questo obiettivo è realizzabile in 5 anni aumentando il fondo sanitario di 4 miliardi l’anno. Poi c’è l’emergenza riguardante il personale sanitario.
Che si può fare?
Sul piano normativo per noi è fondamentale togliere il tetto alla spesa per il personale. Un tetto anacronistico che non ha mai prodotto un reale risparmio di spesa visto che nel tempo si è in parte aggirando l’ostacolo ricorrendo alla voce per spese e servizi e accrescendo il ricorso verso cooperative e gettonisti. Questo dei gettonisti è un fenomeno che dobbiamo stroncare. Mi rendo conto che non si potrà fare dall’oggi al domani, ma dobbiamo chiudere alla possibilità che negli ospedali vadano a lavorare cooperative mediche e gettonisti disincentivando il lavoro dipendente. Si pensi piuttosto ad investire sul personale sia in termini remunerativi che di organizzazione del lavoro e riorganizzazione delle strutture. Tutto questo deve essere fatto molto rapidamente. Sul piano numerico, non sono pochi i medici che abbiamo, siamo in piena media Ocse, il problema è che soprattutto i più giovani scelgono di non impegnarsi nelle strutture pubbliche a causa di stipendi bassi e turni di lavoro massacranti.
Di infermieri invece e abbiamo pochi.
Sì, ne mancano tantissimi come emerge anche dal rapporto Ocse. Se non aumentiamo la loro retribuzione e non riconosciamo un maggior valore al loro lavoro in termini anche di possibilità di carriera, non riusciremo ad invertire la tendenza della carenza alle iscrizioni al corso di laurea in scienze infermieristiche.
Negli ultimi mesi sia il ministro Fitto che il sottosegretario Gemmato hanno un po’ messo in discussione il progetto case della comunità, che idea si è fatta?
Mettere in discussione le case comunità per noi è un errore. Sentir dire da Fitto che si taglieranno oltre 400 case comunità e 96 ospedali di comunità dal Pnrr per realizzarli con i soldi per poi realizzarli con i finanziamenti per l’edilizia sanitaria non ha senso, quelle risorse servivano ad altro. Perché riduciamo gli investimenti su queste strutture del territorio? Il Pnrr che era stato pensato proprio per ridurre i divari territoriali. Così potrebbe invece acuirli dal momento che magari si realizzeranno case e ospedali comunità su quei territori dove già oggi esistono e non dove non c’è invece nulla per dare risposte sul territorio alle domande di salute dei cittadini. Così si continua a scaricare tutto sui pronto soccorso. La casa della comunità, insieme alla rete dei medici di famiglia e alle farmacie dovrebbe servire a fare anche da filtro. Cercare di smontare quell’impianto del Pnrr è un grave errore del governo Meloni.
Continua a crescere la spesa out of pocket, ulteriore segnale della difficoltà di accesso al Ssn.
Ormai è in atto un processo di privatizzazione inerziale, la spesa pubblica diminuisce - con la piccola parentesi del triennio 2019-2021 - ma la spesa privata aumenta ad un ritmo significativo, si rischia così di avere un sistema sanitario di serie A per chi può permetterselo e uno di serie B per gli altri. Noi non possiamo accettare questa idea. Abbiamo delle responsabilità sul passato che non neghiamo, ma proprio perché abbiamo visto in faccia l’importanza della salute come bene comune nel periodo del covid abbiamo il dovere di non ripetere gli errori commessi. Servono risorse in più ed una capacità di visione che non avvertiamo nelle politiche del governo. Il ministro Schillaci ha chiesto 4 miliardi, il Mef ha dato risposta negativa, non si può giocare con i numeri in sanità. Servono quei 4 miliardi in più per poter rinvertire la freccia. Ci sono anche disattenzioni che andrebbero denunciate. C’è circa 1 miliardo che sono appostati sul bilancio del ministero del Lavoro relativi a impatto delle disposizioni sulla regolarizzazione degli stranieri da ripartire alle Regioni. Questo conteggio è stato portato a termine, ci sono tutti i dati per ripartire queste risorse ma ancora non lo si fa. In una situazione di questo genere si deve avere anche l’attenzione a sentire quello che chiedono le Regioni.
Dal ministero della Salute si sta ipotizzando la possibilità di offrire il vaccino Covid gratuitamente solo a quelle fasce per cui è raccomandato lasciandolo a pagamento per gli altri. Sarebbe d’accordo?
Con le nuove varianti in circolazione e una ripresa dei contagi spero che il ministero possa fare scelte diverse. Bene una campagna vaccinale per sollecitare i fragili, soprattutto oggi che la tensione sul tema è molto calata. Molti fragili non hanno ricevuto ancora neanche la quarta dose. Starei però attenta a pensare che tutti gli altri debbano pagarsi il vaccino, si rischia così di disincentivare un’ampia copertura per tutta la popolazione.
A che punto siamo sulla non autosufficienza?
Sulla non autosufficienza è stata fatta legge delega, è tempo di fare decreti attuativi ma anche in quel caso se si vuole irrobustire la medicina del territorio e l’assistenza domiciliare in modo da non costringere le famiglie a portare i non autosufficienti in strutture assistenziali bisogna che quella riforma venga applicata e che, soprattutto, vengano immesse le necessarie risorse. Senza risorse la legge resterà solo sulla carta.
Per seguire l'attività di Marina Sereni: sito web