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Quando si aprono le porte di un carcere per un adolescente, lo Stato ha già perso

Written by Michela Di Biase.

Articolo di Michela Di Biase pubblicato da Huffington Post.

I tragici fatti di Caivano hanno scosso la coscienza del Paese. La violenza perpetrata da un gruppo di minori ai danni di due coetanee ci ha lasciati sgomenti. Come purtroppo è capitato anche in passato, davanti a questi episodi la destra ha reagito parlando di sicurezza, di carcere, di repressione, omettendo colpevolmente di andare alle radici del problema.
Le indiscrezioni sul decreto “Baby gang” dimostrano che ancora una volta abbiamo imboccato lo stesso sentiero: si predica e si pratica la cultura securitaria. Io credo che non è abbassando l’età in cui si entra in carcere, o mettendo in atto una reazione repressiva, che si potrà affrontare con serietà il problema. Abbiamo bisogno di politiche al contrasto del disagio giovanile in ogni suo aspetto, di educatori, di chi prenda per mano questi ragazzi perduti e li faccia uscire dalla condizione di degrado e povertà socioculturale in cui vivono.
Arturo Puoti, che appena 17enne venne aggredito e ferito con 18 coltellate da una baby gang a Napoli, in queste ore ha commentato: “Con la repressione si fa poco”. Vorrei che queste sue parole fossero ascoltate da chi oggi governa il Paese.
I tragici fatti di Caivano hanno scosso la coscienza del Paese. La violenza perpetrata da un gruppo di minori ai danni di due coetanee ci ha lasciati sgomenti. Come purtroppo è capitato anche in passato, davanti a questi episodi la destra ha reagito parlando di sicurezza, di carcere, di repressione, omettendo colpevolmente di andare alle radici del problema. Le indiscrezioni sul decreto “Baby gang” dimostrano che ancora una volta abbiamo imboccato lo stesso sentiero: si predica e si pratica la cultura securitaria. Io credo che non è abbassando l’età in cui si entra in carcere, o mettendo in atto una reazione repressiva, che si potrà affrontare con serietà il problema. Abbiamo bisogno di politiche al contrasto del disagio giovanile in ogni suo aspetto, di educatori, di chi prenda per mano questi ragazzi perduti e li faccia uscire dalla condizione di degrado e povertà socioculturale in cui vivono.
Arturo Puoti, che appena 17enne venne aggredito e ferito con 18 coltellate da una baby gang a Napoli, in queste ore ha commentato: “Con la repressione si fa poco”. Vorrei che queste sue parole fossero ascoltate da chi oggi governa il Paese.
La senatrice Giulia Bongiorno (con il vice premier Salvini al seguito) ha commentato: “Aprire le porte del carcere anche a chi ha meno di quattordici anni”. Voglio dirlo con chiarezza: sarebbe una scelta scellerata.
Provo a spiegarmi: la soluzione non è il carcere. Non basta la reclusione in un istituto penitenziario per pensare che lo Stato abbia assolto al proprio dovere. Anzi, la realtà – e vale anche per gli adulti – è che troppo spesso si lascia tutto nelle mani del sistema penale per evitare di affrontare la complessità dei problemi e del disagio sociale. La pena non è un deterrente a non commettere nuovi reati: serve un investimento sull’educazione, sul contrasto al disagio giovanile, sull’inclusione sociale. Servono investimenti sociali e culturali nelle periferie urbane (e invece proprio i progetti relativi a queste aree vengono definanziati dal Pnrr). Serve la lotta alla dispersione scolastica, non attraverso l’arresto dei genitori.
Quando si aprono le porte di un carcere per un adolescente, lo Stato ha già perso.
Dovremmo invece ribaltare questi ragionamenti e partire dalle scuole, dalle famiglie, dalle istituzioni: dare spazio alla cultura dell’inclusione, del prendersi cura degli altri. Soprattutto, dobbiamo andare a fondo delle condizioni di vita di chi commette reati a queste età. Caivano, da questo punto di vista, ci dice qualcosa: le insicurezze, il contesto sociale, sono fattori decisivi per condizionare le scelte di vita dei più giovani.
Il mio è un appello al governo a cambiare paradigma. Si abbandonino gli slogan facili costruiti sulla paura e sulla reazione del momento, il principio repressivo e securitario non migliorerà la nostra società. Occupiamoci invece delle condizioni di vita dei nostri ragazzi della loro crescita, delle possibilità educative e formative che gli sono vietate.
Lo dobbiamo alle vittime di violenza e a quei ragazzi che colpevolmente sono stati lasciati in balìa del degrado.
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