La politica non deve dimenticare chi è più fragile
Articolo di Mauro Magatti pubblicato da Famiglia Cristiana.
Quando si è all’opposizione è sempre facile accusare il Governo di non fare quello che si deve per risolvere i problemi. È una dinamica normale della democrazia. Accade oggi con il PD e con i Cinque stelle. Accadeva ieri con Fratelli d’Italia, l’unico partito all’apposizione e non a caso il più votato alle ultime elezioni.
Adesso che governa, anche Giorgia Meloni fa i conti con la complessità delle nostre società. Scopre quello che ogni governante impara. La coperta è sempre corta, far quadrare i conti e soddisfare tutti è un’impresa impossibile. Col rischio che, al di là delle dichiarazioni di principio, si ritorni sempre allo stesso punto: quando si deve tagliare, si comincia dai più poveri. Che il reddito di cittadinanza necessitasse di essere aggiustato per raggiungere meglio gli obiettivi dichiarati erano in molti a sostenerlo. Il taglio, però, è stato così duro e repentino da provocare scompensi sociali e territoriali che rischiano di aggravare la sofferenza sociale già diffusa nel Paese. Sul salario minimo, il governo tende a fare melina.
Si può certamente discutere sullo strumento. A condizione che si metta finalmente e chiaramente a tema il vero problema: e cioè l’abnorme diffusione del lavoro povero. Cioè di quella situazione in cui, pur lavorando, si permane in una condizione di indigenza. Infine, la lunga trattativa per rinegoziare i fondi del Pnrr.
È davvero triste apprendere che, alla fine, a essere tagliato sia stato oltre un miliardo di mezzo di euro per gli interventi di riqualificazione delle periferie.
Punto delicatissimo del tessuto sociale di tutte le grandi città del nostro Paese. Qual è la logica per cui questo intervento non è stato più considerato una priorità? Negli ultimi due anni l’Italia ha fatto registrare un forte rimbalzo del Pil. Ma, come spesso accade, i benefici non si sono equamente distribuiti. Così oggi l’Italia è un Paese ancora più squilibrato. Territorialmente, laddove la distanza tra Nord e Sud è ancora più grande di qualche anno fa; e socialmente, perché la distanza tra la fascia relativamente piccola di benestanti e il numero di poveri (5,6 milioni in povertà assoluta, poco meno del 10% della popolazione) è in continuo aumento. A conferma del fatto che la crescita da sola non basta. La direzione che si sta prendendo non è quella giusta. Servono politiche efficaci per riassorbire gli squilibri che continuamente si vengono a creare tra le diverse componenti del Paese. Non serve una spesa assistenzialistica. Ma un investimento adeguato e di lungo periodo sulle persone e nei territori. A partire da chi è più fragile.
Perché, come recita un proverbio africano: da soli si va più in fretta, insieme si va più lontano.
Quando si è all’opposizione è sempre facile accusare il Governo di non fare quello che si deve per risolvere i problemi. È una dinamica normale della democrazia. Accade oggi con il PD e con i Cinque stelle. Accadeva ieri con Fratelli d’Italia, l’unico partito all’apposizione e non a caso il più votato alle ultime elezioni.
Adesso che governa, anche Giorgia Meloni fa i conti con la complessità delle nostre società. Scopre quello che ogni governante impara. La coperta è sempre corta, far quadrare i conti e soddisfare tutti è un’impresa impossibile. Col rischio che, al di là delle dichiarazioni di principio, si ritorni sempre allo stesso punto: quando si deve tagliare, si comincia dai più poveri. Che il reddito di cittadinanza necessitasse di essere aggiustato per raggiungere meglio gli obiettivi dichiarati erano in molti a sostenerlo. Il taglio, però, è stato così duro e repentino da provocare scompensi sociali e territoriali che rischiano di aggravare la sofferenza sociale già diffusa nel Paese. Sul salario minimo, il governo tende a fare melina.
Si può certamente discutere sullo strumento. A condizione che si metta finalmente e chiaramente a tema il vero problema: e cioè l’abnorme diffusione del lavoro povero. Cioè di quella situazione in cui, pur lavorando, si permane in una condizione di indigenza. Infine, la lunga trattativa per rinegoziare i fondi del Pnrr.
È davvero triste apprendere che, alla fine, a essere tagliato sia stato oltre un miliardo di mezzo di euro per gli interventi di riqualificazione delle periferie.
Punto delicatissimo del tessuto sociale di tutte le grandi città del nostro Paese. Qual è la logica per cui questo intervento non è stato più considerato una priorità? Negli ultimi due anni l’Italia ha fatto registrare un forte rimbalzo del Pil. Ma, come spesso accade, i benefici non si sono equamente distribuiti. Così oggi l’Italia è un Paese ancora più squilibrato. Territorialmente, laddove la distanza tra Nord e Sud è ancora più grande di qualche anno fa; e socialmente, perché la distanza tra la fascia relativamente piccola di benestanti e il numero di poveri (5,6 milioni in povertà assoluta, poco meno del 10% della popolazione) è in continuo aumento. A conferma del fatto che la crescita da sola non basta. La direzione che si sta prendendo non è quella giusta. Servono politiche efficaci per riassorbire gli squilibri che continuamente si vengono a creare tra le diverse componenti del Paese. Non serve una spesa assistenzialistica. Ma un investimento adeguato e di lungo periodo sulle persone e nei territori. A partire da chi è più fragile.
Perché, come recita un proverbio africano: da soli si va più in fretta, insieme si va più lontano.